Denis Villeneuve ci parla della fantascienza di Arrival e di come si è immerso in Blade Runner 2!

Completamente assorbito da Blade Runner 2, Denis Villeneuve ci ha raccontato il suo approccio alla fantascienza e come è nato Arrival

Critico e giornalista cinematografico


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Per molti Arrival non è un film di fantascienza ma è l’esame di “licenza sci-fi” di Denis Villeneuve (dopo lo strano esperimento di Enemy), quello che determina se sarà in grado di gestire una belva come Blade Runner 2 (al momento in fase di riprese). Presentato alla Mostra del cinema di Venezia il film ha riscosso un buon successo, ma viste le sue caratteristiche peculiari forse non è un buon esempio di cosa possa essere fatto nell’universo di Blade Runner.

Appurato quindi che il film da sé non può dirci molto, a Venezia siamo andati a parlarci direttamente noi con Villeneuve per capire quali idee abbia, cosa lo abbia guidato nello scegliere proprio questa storia e ovviamente che cosa stia facendo con Blade Runner 2.

Hai finito Arrival e stai lavorando a Blade Runner 2, due film di fantascienza di seguito dopo che non ne avevi mai fatti, anzi dopo essere partito da tutt’altro. È una coincidenza?

“Sì e no. In realtà è qualcosa che sogno da tempo. Sono sempre stato un malato di fantascienza, fin da piccolo. Leggevo romanzi, fumetti e graphic novel, oltre ovviamente a vedere film, era la maniera con la quale mi approcciavo al mondo. anche perchè ero pessimo negli sport.
Pensa che chi mi conosce bene mi chiedeva sempre perché facessi dei drammi autoriali e non della fantascienza. Il punto è che non trovavo storie buone e soprattutto non avevo i soldi per farla per bene. Far cinema in Canada vuol dire molta libertà ma anche difficoltà a reperire i soldi necessari. Certo alle volte puoi fare un film come Under the Skin che è fantastico e costa poco ma in altri casi no”.

La storia breve da cui è tratto il film è molto diversa, sapevi da subito che l’avresti cambiata?

“L’ho letta dopo aver girato La Donna Che Canta, me la portarono due giovani produttori quando ricevetti la prima chiamata da Hollywood. Volevo farla subito ma non sapevo come approcciarla proprio perché molto piccola e speculativa. Qualche anno dopo gli stessi produttori sono tornati alla carica ma stavolta con uno sceneggiatore che aveva avuto l’idea giusta per adattarla e allora ho aderito immediatamente”.

Questo film ha una narrazione complessa, hai dovuto lavorare molto di montaggio?

“Gli eroi di questo film sono due: Amy Adams e Joe Walker. Grazie a loro posso definirlo un film riuscito. Amy la conoscete mentre Joe è il montatore.
Ho dovuto lavorare moltissimo in postproduzione per trovare l’equilibrio giusto tra i vari tempi in cui si svolge la storia. Volevo una trama e uno svolgimento capaci di confondere, in modo che non sempre fosse evidente se una certa scena è un flashback oppure no, ma al tempo stesso dovevo essere chiaro. Il primo cut che ho consegnato era decisamente più astratto di questo, si capiva poco e celava troppo i twist. Ho capito che era indispensabile dare di più al pubblico per far sì che potessero capire tutto”.

Il tema della difficoltà di comunicare sembra molto attuale...

“La cosa strana è che quando fai un film non lo fai di getto, ci vogliono anni, ma mentre lo fai alle volte capita che la realtà intorno a te sembri adeguarsi e interagire con la storia in maniere strane. Accade insomma che mentre fai il film tutto gli si colleghi in maniera particolare, creativamente è quasi rassicurante. Io mi sono innamorato della storia breve e paradossalmente poi la realtà si è adeguata”.

Qual è il momento del film che preferisci?

“Per me la scena migliore del film, quella che meglio ne spiega i sentimenti è quando la piccola bambina guarda la natura, l'inquadratura fondamentale è quella in cui osserva un cavallo. Per me è la più importante.
Ma non so dirlo davvero, questo film già non lo ricordo più, me l’hanno levato appena finito per portarlo qui e ora sono dentro Blade Runner 2 ci sto al 100%. Voi mi vedete qua ma in realtà io sto nel futuro. Mi sveglio ogni mattina alle 6 e vado a dormire a mezzanotte, 6 giorni a settimana. Sogno Blade Runner e mi sveglio in mezzo alla notte sapendo che non mi riaddormenterò. Non riesco a dormire molto perché sono troppo eccitato”.

Immagino la pressione…

“Esatto. La cosa buona è che tanto non si può essere a livello dell’originale, quindi non c’è competizione. Quello è qualcosa di magistrale, è Ridley Scott, uno dei film di sci-fi migliori di sempre e in assoluto uno dei migliori film degli ultimi 25 anni. Ciò che mi spaventa è che sto facendo il mio Blade Runner, quando guardo i giornalieri non è Ridley Scott ma sono io, è lo stesso universo, lo stesso sogno ma è mio”.

Aspetta, lo stesso universo? Vuoi dire che c’è il design di Syd Mead?

“Uhm… [ci pensa su perché non sa se rispondere o meno ndr] Ma sì dai! Diciamo che è lo stesso mondo”.

Hai già un progetto per il dopo Blade Runner 2?

“Sì è con Jake Gyllenhaal, stiamo cercando di adattare un libro che mi ha portato, ma anche se questa cosa non andasse in porto vorrei comunque lavorare con lui. Quando iniziammo a collaborare con Enemy, che era davvero un progettino piccolo, ci dicemmo che ci saremmo divertiti ma che nessuno l'avrebbe visto. Eravamo liberi e lavoravamo come in un laboratorio, testavamo strategie diverse davanti alla camera per trovare emozioni differenti.”

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