David Cage inaugura la sezione Videogiochi del Museo del cinema di Torino: "I materiali sono gli stessi dei film"

David Cage ha aperto la nuova sezione dedicata ai videogiochi del Museo del cinema di Torino e ha parlato con noi di che senso abbia

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Abbiamo parlato con David Cage la più grande autorità su cinema e videogiochi, all'inaugurazione della nuova sezione permanente del Museo del cinema di Torino dedicata alla videoludica

"Non sono molti i musei dell’audiovisivo che iniziano a conservare i videogiochi; è qualcosa che si fa da poco, come fa per esempio il l'Australian Center for Moving Image di Melbourne, ma il Museo del Cinema di Torino è il primo in Europa", spiega Domenica De Gaetano, direttore del museo, e conferma Fabio Viola, che si è occupato della nuova ala sui videogiochi: "Vogliamo convincere creatori, developer e publisher a declassificare materiali non di pubblico dominio."

Nella sezione si trovano sceneggiature, oggetti di uso tecnico e, più che altro, materiali utilizzati nella progettazione, ovviamente tutta la parte analogica. È uno spazio piccolo, di circa 30 mq, ma del resto la parte della collezione permanente del museo dedicata all’animazione è di poco più grande. All'apertura ci si possono trovare pezzi di un certo livello, come i fotogrammi degli attori che hanno fatto da reference per il rotoscoping di Prince of Persia, oltre a bozzetti dello storyboard in cui si capisce come sono state lavorate e concepite le dinamiche di gioco. Ci sono addirittura illustrazioni inedite e bozzetti sui movimenti di Braid, forniti da Jonathan Blow, le maschere per il motion capture di Detroit: Become Human e la ramificazione narrativa di Red Dead Redemption fatta con i post-it.

"Stiamo lavorando su Final Fantasy VII direttamente con il Giappone e su Life is Strange. È una collezione che cambierà e si evolverà, tutto anche in previsione di progetti futuri" continua Fabio Viola. Quello che non dice ma che è chiaro dall’esposizione è che, almeno al momento, il museo è interessato più che altro a quei videogiochi che per una ragione o per l’altra sono più vicini alle immagini in movimento. Soprattutto, sembra di capire, ora sono interessati agli autori più che agli studi o ai grandi videogame. Quindi a Blow, a Cantamessa e a David Cage, il nome più importante che ci sia quando si parla di videogiochi e film e che, non a caso, era a Torino per l’inaugurazione di quest’ala.

Cage, fondatore dello studio Quantic Dream e con quello designer, sceneggiatore e regista di videogiochi che hanno cambiato la grammatica della narrazione audiovisiva dei videogame come Heavy Rain (un noir investigativo recitato in motion capture), Beyond: due anime (con Elliott Page e Willem Dafoe a dare i movimenti e la voce ai personaggi) e Detroit: Becoming Human (4000 pagine di sceneggiatura), ha tenuto una breve masterclass sulla sua carriera e come i videogame da lui creati hanno preso ispirazione dal cinema. "Per il prossimo anno poi il museo progetta una grande mostra che analizzi il rapporto stretto tra cinema e videogiochi" ha detto il direttore.

Separatamente abbiamo potuto fare delle domande con David Cage.

Che senso ha un museo dei videogiochi?

"Serve ad affermare i videogame come una forma di produzione culturale che ha la medesima dignità delle altre. Testimonia il contributo della videoludica alla cultura moderna."

Ma per gli avventori, che senso ha? Di solito nei musei si va per vedere artefatti del passato o le opere d'arte in sé, non gli oggetti che sono serviti per realizzarle.

"Qui puoi vedere costumi, oggetti di scena, sceneggiature... Tutte cose che evocano diverse parti di un videogioco che per sua natura è immateriale. In fondo, il museo fa la stessa cosa con i film, li evoca attraverso gli oggetti con cui sono stati fatti. Ed è curioso come in fondo i materiali per fare i videogiochi siano gli stessi di quelli usati per fare i film. La parte fisica che crea qualcosa di immateriale."

I videogiochi per decenni sono stati qualcosa di condannato dall’establishment culturale, additati come corruttori di giovani menti e, nel migliore dei casi, visti come trastullo. Ora tutto questo è cambiato anche perché chi è adulto nella maggior parte dei casi li conosce e ci si è formato. Ora i videogiochi sono qualcosa anche da genitori se non da nonni. E addirittura non certo da oggi entrano nei musei! Questo non gli leva tutta una componente ribelle e controculturale?

"Hai ragione. È capitato lo stesso al rock o ai fumetti, ma anche alla street art. Adesso Banksy fa le mostre! Penso sia una traiettoria naturale: una forma d’espressione parte da una minoranza e si allarga a una maggioranza fino a diventare mainstream."

In questo processo non si perde qualcosa?

"Lavoriamo a questo mezzo per convincere quante più persone a giocare. Penso che si possa diventare mainstream senza perdere la propria anima. Alcuni videogiochi sono prodotti, ma altri sono opere d’arte."

Cosa troverei nel tuo personale museo dei videogiochi?

"Ci metterei sicuramente le console, perché è un mezzo molto legato all’hardware. Ed è interessante come per questa ragione alcuni dei giochi più vecchi oggi non si possano giocare più, cosa che non avviene con la musica o con i film. E ci sarebbero i giochi ,per mostrare come si siano evoluti nel tempo. E poi ci sarebbe una parte che spiega come si creano i videogiochi, perché poche persone sanno l’incredibile sforzo richiesto. Molti pensano che i videogiochi li facciano dei ragazzini in un garage e non 500 persone con uno sforzo pazzo. Non è come il cinema che ha un secolo di storia dietro di sé; qui reinventiamo il medium ogni volta."

Beh, i videogiochi hanno almeno 50 anni di storia, non è un secolo ma nemmeno poco...

"Eppure, credimi, continuiamo a scavalcare barriere e inventare soluzioni. Ci metti 4 anni a fare un gioco e per il successivo devi ripartire da capo perché c’è una nuova console."

I videogiochi sono l’unica forma d’arte per godere della quale devi saperli usare, che insomma ha una barriera all'ingresso. Per vedere un film o sentire un brano musicale non serve saper fare delle cose; per i videogiochi chi non ne ha mai giocati può faticare anche moltissimo e provare frustrazione davanti al suo primo gioco. Questa è una barriera che si supererà mai?

"I videogiochi sono l’unico mezzo in cui il fruitore partecipa e contribuisce attivamente alla creazione dell’esperienza; è normale che siano richieste delle abilità o almeno un po' di esperienza. Ma è anche vero che molti studi stanno cercando modi di semplificare il gioco per allargare i possibili giocatori. Noi abbiamo sperimentato la possibilità di sostituire il controller con il telefono cellulare per alcuni nostri giochi e abbiamo scoperto che molti li hanno finiti con il cellulare. Ma devi anche considerare che ci sono modi differenti di godere dei videogiochi: noi sappiamo che moltissime persone che giocano ai nostri giochi lo fanno con qualcuno accanto che aiuta, commenta e indica le cose da fare; spesso sono coppie."

Continua a leggere su BadTaste