Cannes 70: Takashi Miike su Blade of The Immortal: “Ho dovuto ridurre sesso e violenza del manga”
L'adattamento di L'Immortale, lo stato dell'industria giapponese e le sue pigrizie a fronte di 100 film in carriera, Takashi Miike purissimo
I suoi film sono così particolari che nessun giornalista non appassionato né interessato proprio alle sue idee vorrebbe mai intervistarlo. Non esiste insomma una dimensione “generalista” di Takashi Miike.
Quest’anno è qui con il 100esimo film della sua carriera
“Per arrivare a questo numero però bisogna calcolare tutto, anche i primi film low budget in video, sono una categoria che credo non esista più all’estero. Pensa che uno di questi fu preso alla Quinzaine, Gozu, una storia originale e loro furono i primi a riconoscere che anche un film simile era un 'film' invitandomi”.
“Il materiale di partenza è unico. Hiroaki Samura lavora sul manga da 19 anni, è una storia lunghissima. Nei 30 volumi si susseguono diversi personaggi che diventano i nemici, farlo diventare un film voleva dire concentrarsi sui due protagonisti, non volevo perdere tempo con tutti gli altri. La versione che avete visto poi è ancora un po’ lunga secondo me, ci lavorerò ancora un po’”.
Il film sembra raccontato come un videogioco, con i nemici in sequenza a livelli crescenti di difficoltà e un protagonista che non muore...
“Essendo una storia che viene da un manga, cioè un prodotto seriale, non mi stupisce che abbia una narrazione da videogame, perché è un tipico espediente di serialità. Ed è un manga bellissimo, addirittura alle volte disegnato solo usando le matite. Inoltre è molto più sexy e violento del mio film”.
Quindi ha ridotto sesso e violenza?
“Sì”.
Non suona da Takashi Miike...
“Esatto ahahahaha ma è perché volevo che fosse parente del manga e non la copia.
Inoltre non potevo che ridurre l’appeal sessuale della ragazza che l’immortale protegge perché nel manga la vediamo crescere con il tempo, diventare adulta e sbocciare fino a stringere una storia con il protagonista. Non sarei mai riuscito a mantenere l’appeal senza inserirci anche un po’ di romance ed era una cosa che volevo evitare. La sua affezione per la ragazza è un rapporto di protezione”.
La battaglia del protagonista le pare futile?
“In realtà lui soffre il fatto di essere violento e più pratica violenza più soffre. Vorrebbe vivere una vita pacifica ma è immortale e c’è una persona che ha bisogno delle sue abilità e del suo potere. Nel manga ci vogliono 60 anni perché la storia finisca e a quel punto accade perché finisce proprio lo shogunato, cambia il sistema sociale, dunque per legge non è più possibile portare un’arma con sé. Ma non è che per questo il mondo sia migliore”.
Il protagonista Takuya Kimura è in realtà molto famoso per essere un cantante pop, un vero idol. Perché scegliere proprio lui?
“Sì, è stato un idol per almeno 25 anni, amato da tutti e braccato dalla stampa, era una persona che non poteva andare dove voleva. Eppure si è sposato e ha messo su una famiglia. Dei 5 membri della sua band, gli SMAP, è l’unico con una famiglia. Ha insomma lottato con il management e la vita pubblica per avere la sua vita e per la famiglia, ci vuole una forza incredibile per farlo.
La band poi si è sciolta l’anno scorso, non lo sapevamo quando gli abbiamo chiesto di fare il film. In realtà gliel’ho chiesto io, i produttori non credevano avrebbe mai accettato, ma ci ho voluto provare e ho trovato una persona davvero entusiasta”.
Blade of The Immortal ha un lavoro sul sound design fantastico, alle volte non mostra delle cose ma le suggerisce con il suono, ci ha lavorato in maniera particolare?
“Visto che la storia è ambientata nel passato volevo che le spade facessero un bel rumore o che ci fosse un buon rumore dei cavalli e con pochi soldi e tempo volevo esplorare il più possibile. Credo che il campo del sonoro sia uno di quelli che più è migliorato con la tecnologia anche se l’industria del cinema giapponese lo sottovaluta molto. I produttori vedono i sound designer come un bonus e ti permettono di spenderci pochissimo. Credo uno dei ruoli di un regista sia convogliare questo tipo di frustrazioni e farle esplodere, allora abbiamo fatto con i sound designer molte riunioni, in modo da convogliare le idee e cercare di ideare un sound design diverso. Per questo film ho fatto diverse proiezioni solo con i designer e ho sonorizzato tutto il film due volte, che magari è normale in America ma non in Giappone”.
Come riesce a fare così tanti film?
“Sono un pigro in realtà, se non faccio film inizio a bere birra dal mattino. Se li faccio invece non ho giorni di ferie, perché mi piace farli e stare sul set, lavorare mi porta meno stress che non lavorare, quindi è solo quello il motivo, non è mai stato un mio obiettivo fare tanti film. Continuerò a farne allo stesso passo? Non lo so, sarà l’ambiente a deciderlo e forse tra tre anni tutti si chiederanno “Che ne è stato poi di quel Miike??”
Crede che ci sia una tensione particolare verso la violenza nel cinema giapponese?
“Il 99% dei film giapponesi non sono violenti, se vai in sala in Giappone a vedere un film a caso potresti uscirne pensando che sono tutti infantili. Da qualche parte però qualcuno ha deciso che ci deve essere una forma d’equilibrio e quindi l’1% di questi sono come i miei o quelli di Sion Sono. Non è che ce lo chieda qualcuno di essere così violenti, ma accade organicamente”.