Campo di battaglia, Gianni Amelio: "Non un film di guerra, ma sulla guerra"

Gianni Amelio, Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini hanno presentato Campo di Battaglia al Festival di Venezia

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È il giorno di Campo di Battaglia al Festival di Venezia, un film di guerra senza la guerra che racconta eventi accaduti oltre un secolo fa ma di un'incredibile attualità. A portarlo sullo schermo Gianni Amelio, che torna al Festival due anni dopo Il signore delle formiche, accompagnato dal co-sceneggiatore Alberto Taraglio e dai protagonisti Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini.

Un film che dialoga col presente grazie a due temi attuali (la guerra e la pandemia) e che è basato su un saggio-romanzo di Carlo Patriarca intitolato La sfida. "Una dissertazione filosofica sulla necessità di intervenire sui soldati per salvare loro la vita, rendendoli però sciancati", spiega Taraglio. "Uscivamo dalla pandemia, ero reduce da un anno passato in casa, senza lavoro… Amelio mi chiama e mi dice che questo libro parla di prima guerra mondiale e pandemia. E così abbiamo iniziato a mettere insieme una storia che non esisteva, creata dal nulla, prendendo due personaggi scritti per essere esemplari di un’idea e trasformandoli in persone in carne e ossa. Ma la cosa fondamentale per noi era raccontare come la guerra si svolgesse non al fronte ma in ospedale, e raggiungesse l’apice all’arrivo della pandemia di Spagnola, quando dalla guerra si sarebbe passati ad un’altra guerra ancora più crudele".

Ma per Amelio il riferimento all'attualità è la conseguenza, non il punto di partenza: "Ho un modo di lavorare che probabilmente non è condiviso da altri registi: io non penso, sento. Sento nelle viscere le cose, quindi metto delle idee una appresso all’altra perché le ho sentite dire, perché l’attualità racconta questo, o decido di fare riferimento a un argomento perché tira… È proprio il contrario".

Un film di guerra senza immagini di guerra

Continua Amelio: "Le immagini di guerra sono usurate, paradossalmente sembrano oggi irreali, perché ne siamo invasi. Siamo abituati a vederle scorrere sulla televisione mentre facciamo altro, e non parlo solo dell'Ucraina o di Gaza, ma anche di un gommone affondato. Consumiamo immagini di morte in situazioni che, per fortuna, non sono cinematografiche. Perché la sala è un tempio che offre emozioni. A casa, invece, si rimane assuefatti alla guerra, alle sue immagini e al suo concetto, perché queste emozioni le subiamo, non partecipiamo. Per questo il mio film non va visto in televisione, ma in una sala cinematografica. Nel mio film c’è la guerra, molto più che in un film di guerra. Questo non è un film di guerra ma un film sulla guerra".

E per raccontare l'Italia in guerra Amelio si è avvalso dell'aiuto del direttore casting Maurilio Mangano, con cui ha vagliato un gruppo sterminato di attori provenienti da tutte le regioni d'italia: "Abbiamo scoperto attori meravigliosi sparpagliati in punti del paese con lingue completamente diverse tra loro".

Una delle tante sfide produttive di un film imponente che è stato girato perfino a 2500 metri di altezza, tra le montagne, a novembre. Spiega il produttore Simone Gattoni: "Amelio stava da dio, la troupe moriva congelata! Ma quando hai condottiero così, non ti fermi. È stata una produzione complicata, ma credo che in quest'epoca in cui si cercano ossessivamente formule per trovare la medietà cinematografica, provare a darsi da fare per raccontare qualcosa di diverso è la vera essenza del cinema".

Le scene cambiavano ogni giorno

Un'altra sfida è stata quella di lavorare con una sceneggiatura in costante evoluzione, come hanno ricordato anche gli attori Gabriel Montesi e Alessandro Borghi, che ricevevano quotidianamente nuove versioni delle scene che dovevano girare. "Gianni non viene mai a dirti: «Ho trovato una soluzione a una cosa». Ti dice: «Cosa pensi se...». Quindi ti responsabilizza rispetto a una scelta e ti rende soprattutto parte del processo che è una cosa è un grande vantaggio per fare questo lavoro bene. E questo è continuato sul set. Ogni mattino io e Gabriel stavamo lì ad aspettare una nuova scena, ma è molto bello, perché abbiamo fatto un buon lavoro prima e sai che sono i personaggi che si stanno evolvendo. Dover poi cambiare ogni tanto lievemente la direzione ti consente anche di scoprire delle cose che non avevi considerato".

Un processo, secondo Borghi, guidato dall'entusiasmo di Amelio: "Quest'uomo mi ha fatto ricordare la bellezza del cinema, di un modo di fare cinema che io non vedo più tanto in giro, sostanzialmente, perché ovviamente ormai ci basiamo tutti sui numeri, parlo soprattutto delle piattaforme. Ogni cosa deve essere spiegata, deve essere travolta dai pareri, dai giudizi. Lui invece mi ha detto semplicemente che voleva raccontare questa storia. Questa è la bellezza di raccontare una storia senza farsi troppi problemi, rispetto a tutta la monotonia delle cose che ci propongono solitamente".

Montesi aggiunge che ogni giorno il dialogo con Amelio gli permetteva di inquadrare il suo personaggio sempre meglio: "Ogni giorno mi dava un disegno insieme alla scena. Non un disegno di carta, ma un disegno fatto con le sue mani, e mi faceva vedere la direzione di questo disegno. Questa cosa mi ha fatto capire che agire come attore è anche saper leggere i registi, saper leggere le persone, saper leggere i colleghi, gli attori".

Anna, il personaggio di Federica Rossellini, incarna il punto di vista dello spettatore: "Tutti i nostri personaggi all’inizio stanno scappando da qualcosa, anche se magari non lo sanno. Il mio personaggio è quasi inafferrabile, lei stessa non riesce a prendersi nelle mani. È colei che sta, colei che rimane, colei che offre un sistema differente nella cura del vivente, nella possibilità di guardare al mondo con occhi diversi. Anna è anche il ponte dello sguardo, gli occhi del pubblico. Gianni mi diceva sempre: tieni gli occhi aperti. È gli occhi erano laghi nei quali il pubblico potesse specchiarsi".

Campo di battaglia esce al cinema il 5 settembre.

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