Intervista a C.B. Cebulski, editor-in-chief della Marvel Comics: "Gli albi spillati ci saranno sempre"
Il nostro incontro con C.B. Cebulski, editor-in-chief della Marvel Comics, in occasione di Lucca Comics & Games
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
A Lucca Comics & Games 2022 abbiamo avuto l’occasione di fare una chiacchierata con C.B. Cebulski, semplicemente una delle personalità più importanti ed influenti del fumetto internazionale, nelle vesti di Editor-in-Chief della Marvel Comics. Grazie alla gentilezza dello staff Panini presente alla kermesse toscana, ecco le domande che gli abbiamo fatto e le risposte che ci ha regalato.
Lavoro alla Marvel full time da più di vent’anni e ho fatto il talent scout per qualcosa come… diciassette anni, includendo anche quelli da Editor-in-Chief, perché nonostante il ruolo dirigenziale mi considero ancora uno scout. E non mi stanco mai, mi diverte ogni giorno. Non il lavoro più facile del mondo, devo ammettere, perché…
Verissimo! E poi è vero che regali ad alcuni la realizzazione del sogno di una vita, ma non bisogna mai dimenticare il rischio di distruggere speranze e regalare delusioni enormi. Una parte del lavoro che non è semplice accettare. Fortunatamente quel che v’è di buono batte tutto il resto, perché anche chi non è ancora pronto può capire che, sebbene io non gli dia il lavoro alla Marvel o critichi le loro opere lo faccio sempre per il meglio, per dare l’occasione di crescere. E la gente lo capisce sempre prima e sempre di più, anche grazie alla crescita dei social media, grazie a cui è sempre più facile sapere in anticipo come prepararsi per un colloquio e quali siano i requisiti che ci aspettiamo di trovare. Quindi, in effetti mi piace sempre questo lavoro, incontrare la gente armato delle migliori speranze di trovare il prossimo Jim Lee, Steve McNiven o Jimmy Cheung. E il bello è che mi capita, mi è capitato, ci capita di trovarne in continuazione. Il mio assistente in questo momento è a Londra a caccia di talenti e amiamo quel che facciamo. Il fatto di poter aiutare la gente a realizzarsi è grandioso. Noi possiamo aprire la soglia, ma poi sono gli artisti a dover entrare. In pratica non sono altro che un portiere glorificato [ride], ma non mi stanco mai. E sono felice di dire che quella di questa settimana a Lucca è stata una delle portfolio review più fruttuose degli ultimi anni.
Felice di sentirglielo dire. Pensa che essere ancora oggi uno scout la renda un Editor-in-Chief migliore?
Sì, credo di sì onestamente. Il titolo di Editor-in-Chief si porta dietro un sacco di implicazioni e di responsabilità, soprattutto alla Marvel Comics, cosa che non prendo assolutamente alla leggera. Devo camminare dentro le scarpe di giganti. Scarpe che non sono in grado di riempire, ma in cui devo camminare per creare il mio percorso. Credo che la mia caratteristica sia quella di essere sia un fan che un Editor-in-Chief, perché di base sono il più grande tifoso della Marvel. I nostri fumetti, fumettisti, i nostri prodotti, i nostri film… voglio contribuire a tutto quel che facciamo, perché se non fossi da questa parte della scrivania, sarei comunque dall’altra, a comprare, leggere, guardare le cose della Marvel. Ma vedi… sapere quel che passano gli artisti, essere sul terreno di battaglia con loro, e poi con gli scrittori… a volte facciamo scouting anche su di loro, anche se ovviamente meno che con i disegnatori, ma mi capita spesso di parlare anche con gli esordienti delle vecchie storie, perché questo è il modo migliore per confrontarsi con loro e decidere insieme la linea… fare queste cose mi ricorda come mi sentivo io quando faticavo per conquistare il mio posto da editor nel mondo dei comics. Vedere la speranza negli occhi di tutte le persone che si presentano a noi, analizzare i talenti che ci sono in giro e il livello cui aspirano è uno strumento importantissimo per capire cosa funziona e cosa no alla Marvel. Questo mi rende migliore nel mio lavoro, mi dà modo di informare di tutte queste cose il mio team e mi dà l’occasione di rendere i nostri fumetti migliori e più forti.
Ha parlato dei giganti che l’hanno preceduta, ha parlato di persone che aprono le porte ai sogni della gente. E questo mi fa venire in mente che lei ha avuto un mentore il cui nome è Joe Quesada. Che ora si è ritirato.
Ritirato ma non dimenticato! Ho pranzato con lui… o meglio avrei dovuto ma è rimasto incastrato al Comic Con a San Diego quindi abbiamo parlato su Zoom… e lui mi diceva: “La gente dice che sono andato in pensione, ma non è vero. Dicono che vado a lavorare per la DC e non è vero”. [Ride]
E allora? Come stanno le cose? Che cos’è Joe Quesada ora come ora?
Joe è un amico e lo sarà sempre ed è stato il mio mentore. Mi ricordo ancora tutti i consigli che m ha dato e che mi hanno aiutato a far progredire la mia carriera. Uno di essi è: “Gli artisti ti vogliono un bene dell’anima, ma sei un pessimo editor” [ride]. Mi volevano bene perché gli concedevo il beneficio del dubbio, quindi Joe mi disse che mi avrebbe cambiato mansioni e mi avrebbe spostato alla gestione dei talent sotto David Bogart, perché aveva bisogno di qualcuno che sapesse parlare agli artisti, soprattutto quelli nuovi, e farli sentire a proprio agio, proteggerli come facevo io. Joe, poi mi aiutò ancora, perché mi fece capire che Axel Alonso, l’Editor-in-Chief che mi ha preceduto e con cui ho lavorato fianco a fianco per anni, poteva entrare in una sala convention e, improvvisamente tutti gli scrittori volevano parlare con lui, Joe voleva che io facessi la stessa cosa con i disegnatori. Dovevo essere la versione da disegnatori di Axel, tutti dovevano sapere che potevano parlare con me. E lo diventai. Non sarebbe stato possibile senza Joe.
E quando ho accettato questo ruolo di Editor-in-Chief, il primo giorno di lavoro mi sono trovato una lettera sulla scrivania. Un po’come quelle che il presidente degli U.S.A. uscente lascia al suo successore. Ed era una lettera davvero sentita e di cuore, in cui Joe mi diceva di avermi sempre supportato e che avrebbe continuato a esserci per me.
E allora parliamo di artisti. Tantissimi, alla Marvel sono stranieri. Se non sbaglio i Brasiliani sono in testa, ma posso sbagliarmi.
In questo momento, non conosco i numeri precisi. Americani e Canadesi sono ovviamente primi. Brasiliani e Italiani credo siano secondi e terzi. Spagnoli terzi.
La domanda è questa: siete voi della Marvel che avete conquistato l’Europa, e il mondo, nel corso degli anni, oppure sono gli artisti europei e stranieri che hanno conquistato voi?
Cavolo, non so come risponderti, onestamente. Credo… ti dirò… Italia, Filippine e Messico sono i paesi che spiccano di più rispetto agli altri in questo senso, perché hanno iniziato a tradurre e adattare i fumetti americani e Marvel in particolare prima rispetto agli altri. In questi paesi l’arrivo dei film ha contribuito a fortificare una popolarità che già esisteva, mentre in moltissimi altri non esisteva, prima dell’arrivo dei personaggi al cinema. Non c’erano licenze per i nostri eroi e non c’erano, per questo, artisti che tentassero di rompere la parete tra i nostri continenti e di lavorare per la Marvel o nel nostro mondo del Fumetto. Nessuno sapeva che potevi essere un nostro collaboratore senza venire a vivere a New York o in California. Quindi per me non è questione di conquistare il mondo, ma certamente la crescita del brand della Marvel, la creazione di una cultura legata ai nostri prodotti in vari paesi, specialmente grazie a quel che è successo sui social media, hanno aperto gli occhi alla gente sulle possibilità che esistono di collaborare con noi. Ormai siamo a distanza di una singola e-mail dall’avere a disposizione i giusti talenti con il giusto stile per un prodotto, anche se vivono dall’altra parte del globo. Quindi direi che, riguardo alla tua domanda, sono vere entrambe le cose o nessuna. Sono due processi che procedono mano nella mano.
Durante la sua gestione come Editor-in-Chief, lei ha sempre cercato di avere un occhio al passato e uno al futuro. La mia opinione personale è che l’attenzione al passato abbia in qualche modo preso un po’ il sopravvento. Molti sceneggiatori e disegnatori storici sono tornati a lavorare su testate su cui hanno lasciato il segno quindici o venti anni fa. John Romita, che è qui ospite a Lucca in questi giorni, è appena tornato su Amazing Spider-Man, per esempio. Forse l’effetto nostalgia sta un po’ dominando? Come si fa a coniugare la volontà di sfruttarlo e quella di innovare e investire sul futuro?
Ottima domanda. E nessuno me l’ha mai fatta prima. Innanzitutto sai benissimo che la nostalgia è una forza che non ha mai avuto potere quanto ne ha oggi. Ti direi una bugia se ti dicessi che non stiamo cercando di trarne vantaggio e ci sono… direi… tre ragioni per cui lo facciamo. La prima: sono un enorme fan di un sacco degli artisti e degli sceneggiatori di una volta e non vedevo l’ora di coinvolgerli. Quando li contattai, molti di loro non volevano saperne di entrare nella continuity odierna, ma interessava loro soprattutto raccontare quel che non avevano potuto in passato, quindi sono stato felice di dar loro l’occasione di farlo. La seconda è la pandemia.
Ok. Questo non me l’aspettavo.
Sì. Quando il lockdown ha preso possesso degli States c’è stata una richiesta pazzesca sia presso di noi che presso Amazon, per esempio, di un sacco di arretrati. Parecchia gente ha ripreso daccapo vecchie collezioni e ci chiedevano storie di DeMatteis, Simonson, Sienkiewicz, Ann Nocenti, Gerry Conway. Era tutta gente che si è messa a rovistare nelle soffitte e a rileggere vecchie storie. Ne volevano ancora ed erano i venditori e distributori che hanno iniziato a chiederci di agire in tal senso. E questa cosa è molto importante, perché sono loro a orientare una fetta consistente del mercato. Non il 100%, ovviamente, perché siamo noi a decidere cosa pubblicare, ma abbiamo sempre un orecchio teso verso di loro, perché ascoltarli significa sentire anche le voci dei lettori. La richiesta c’era, noi abbiamo richiamato molte vecchie glorie, abbiamo testato il mercato ed esso ha risposto alla grande. Quindi abbiamo espanso la nostra offerta con cose come X- Men Legends, le storie di Chris Claremont recenti, quelle di Walt Simonson.
E la terza ragione è il mercato di speculazione, dei collezionisti. La crescita delle transazioni su E-Bay e roba così. La gente che compra e si diverte con queste cose vuole fortemente che le leggende tornino a lavorare e questo ci porta a fare alcune scelte. Non è il nostro lavoro occuparci di quel mondo, ma facciamo molta attenzione alle sue dinamiche. Non siamo direttamente impegnati nel mercato secondario, diciamo, ma sarebbe un errore ignorarlo. Il punto, però è che tutto quel che facciamo in relazione a questo sentimento di nostalgia è probabilmente il 10%, forse il 15% del nostro impegno produttivo. Tutto il resto è volto alla creazione di nuove testate, nuove storie tradizionali, dentro la continuità. Certamente alcune coinvolgono autori storici, come John Romita o, per esempio, Peter David, ma il nostro impegno principale è volto alle novità, a procedere in avanti. Quindi la nostalgia è una parte del nostro business ma non la principale. Io e gli editor passiamo altrettanto tempo alla ricerca dei nuovi talenti da mettere al lavoro sulle testate. Penso ad Alessandro Cappuccio che sta per occuparsi di Moon Knight, oppure a Bloodline, la figlia di Blade. Penso alla crescita di Peach Momoko negli ultimi anni. Quindi insomma, altrettanto tempo… che dico?… molto più tempo è investito sulla produzione di cose nuove. E così tra quindici anni le nuove leggende di cui la gente ci chiederà saranno Pepe Larraz e Steve McNiven.
Tutto chiaro. Ma qui veniamo alla questione che generava la mia domanda, cui lei ha risposto. In Italia ci troviamo in un momento storico in cui fatichiamo abbastanza in quella che una volta era un’operazione scontata: coinvolgere i più giovani nella lettura dei fumetti, far crescere una nuova generazione di lettori. E basta guardarci attorno qui a Lucca. Ci sono molti più tizi come me, che ho quasi quarant’anni.
Siamo in due.
Perfetto. Ci sono molti più di noi nelle strade di Lucca di quanti non siano i ventenni e i più giovani. E sono pochi gli artisti che riescono a raggiungere quelle generazioni. Penso che il problema sia sentito anche al di là dell’Atlantico. Quindi, che si fa? Tocca arrendersi? L’amore per i vostri personaggi da parte dei ragazzini è ufficialmente appaltato al cinema?
No, non credo. Vorrei tanto avere una risposta più concreta e solida per te, ma non è così, perché il problema in effetti ce l’abbiamo anche noi. Probabilmente lo affrontiamo in maniera diversa. Molte delle serie nostalgiche di cui parlavamo, ad esempio, possono entrare in sintonia con i ragazzi di oggi, perché almeno in parte si sovrappongono ai vecchi fumetti che i padri stanno passando ai figli o che gli hanno fatto leggere durante la pandemia, ad esempio. Ma poi credo che non sia tanto un problema di quali storie e quali personaggi si raccontano, ma di come li si racconta. E allora diventa per noi fondamentale investire sul fumetto digitale, specialmente in formato verticale, pensato per i supporti che i ragazzi hanno in mano oggi giorno.
E quindi Marvel Unlimited è strategicamente importantissimo, per voi.
Esatto. In America gli albi escono ogni mercoledì, una volta a settimana. Su Marvel Unlimited escono ogni giorno. Un nuovo fumetto ogni giorno. E non so se esista il corrispettivo in Italia, ma per noi è importantissima la collaborazione con l’editore Scholastic, che produce libri per bambini e per tutte le età, in formato comicbook, non sottoforma di romanzo illustrato. E cerchiamo di evitare di essere paternalisti con loro. Oppure cerchiamo di affidare ad alcuni grandi artisti progetti come Fantastic Four: Full Circle di Alex Ross, prodotti in qualche modo fuori dal tempo e realizzati in maniera spettacolare che parlino a gente di tutte le età. Persino i miei nipotini di undici anni lo hanno capito e adorato. Avevano la bocca spalancata. Facciamo persino fumetti apposta per instagram. L’obiettivo è piazzare esperienze di lettura targate Marvel ovunque la gente abbia l’occasione di leggere fumetti, senza lasciare che tutto sia affidato al cinema, alle serie TV, alle serie animate, per quanto importanti. Per noi fondamentale segnalare in maniera forte che tutto quel che vedono con il marchio Marvel è originato dai fumetti. In Moon Knight e Miss Marvel, ad esempio, abbiamo piazzato i QRcode su Disney Plus, che permettono di scaricare e leggere delle storie in esclusiva. Circa cinquecentomila persone hanno letto la prima storia di Moon Knight, che è stata quella di maggior successo. Riusciamo a raggiungere migliaia e migliaia di persone con questo metodo ed è solo una delle iniziative che stiamo mettendo in campo.
E allora ecco l’ultimissima domanda. Risposta rapida. Per quanti anni gli albi spillati avranno ancora vita?
Per sempre!
Per sempre?
Sì.
Lo pensa davvero?
Finché ci saranno alberi e carta continueremo a pubblicare albi.
E non ci sarà nessuna migrazione verso la pubblicazione direttamente in volume, secondo lei?
No. Continuiamo a dimenticare un aspetto. Mia moglie mi detesta per questo, ma io sono un lettore e anche un collezionista. Siamo così e siamo in tanti. Il lettore di fumetto continuerà a volere il nuovo numero di X-Men il mese dopo, senza dover aspettare, e continuerà a volere le sue belle collezioni complete. Questa mentalità non scomparirà e per questo noi continueremo a pubblicare fumetti in formato spillato.
Grazie mille signor Cebulski.
Grazie a te.