Bonelli, 70 anni di Tex: intervista a Roberto De Angelis
Per i 70 anni di Tex abbiamo intervistato per voi uno degli artisti di punta della nuova collana mensile
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Diamo il benvenuto su BadComics.it a Roberto De Angelis, che ci ha omaggiato con una splendida illustrazione, realizzata per un collezionista privato. Ecco la bella chiacchierata che abbiamo fatto con questo straordinario e affabile artista. Fin troppo modesto, come vi accorgerete...
Ciao, Roberto! Grazie per la tua disponibilità.
Grazie a voi per l’attenzione. Che Tex sia un personaggio molto amato lo so da tempo, eppure resto sempre stupito dall’affetto e la partecipazione che circondano questo autentico mito del Fumetto.Il tuo debutto nel mondo dell'icona di Sergio Bonelli Editore risale al 2004, con “Tex Speciale 18: Ombre nella notte”. Prima di allora, i lettori ti conoscevano soprattutto per i tuoi notevoli contributi alle serie di "Nathan Never". È stato un bel salto dalla Fantascienza al Western, due generi molto diversi tra loro.
Non fu semplice, generi così diversi richiedono stili e scelte grafiche profondamente differenti. Il Western è assolato, polveroso, epico e richiede un tratto vigoroso per le figure, arioso per gli sfondi. Al suo opposto troviamo la Fantascienza, almeno quella di “Nathan Never”, cupa, notturna, caratterizzata da luci fredde e ingabbiata in architetture complesse. Inutile dire che è pressoché impossibile affrontare questi due generi con lo stesso stile.
Però, all’epoca, ero forse un filo più duttile. Ero ancora alla ricerca di quella particolare luce che avrei voluto dare ai miei disegni, quindi convertire questo tratto ancora indeterminato in un altro che si adattasse meglio al Western, fu una complicazione di "livello 1".
Conoscevi bene “Tex” come lettore o per te è stata una "scoperta" in qualità di disegnatore?
Chi non conosce “Tex”? Non posso definirmi un esperto al livello di quelli che conoscono a memoria e in ordine cronologico tutti gli eventi della sua vita editoriale, ma lo conosco.
Se ci sono state, quali difficoltà hai incontrato nell'affrontare un personaggio come Tex e cosa ti piace di più disegnare del suo universo narrativo?
Prima ho parlato di difficoltà di "livello 1"; bene, ce ne sono altre. Di livello 2, 3, 4 ecc… Più è strutturato il tuo stile, più alto sarà il livello di difficoltà che incontrerai. Ma devo proprio provare a spiegarmi meglio.
La luce di cui parlavo prima, quella che ancora cercavo, in seguito l’ho trovata. Una luce dal taglio espressionista, inquietante e a tratti angosciosa. Mi ci sono voluti trent’anni per distillarla. Passo dopo passo, di tentativo in tentativo, l’ho cercata, corteggiata e infine conquistata. Era quella giusta per me, perfetta per illuminare superfici levigate e volti nella semi oscurità. Lampi, più che luce vera e propria.
Bene. Anzi, male. Tutto questo per “Tex” non serve. Ho dovuto buttare tutto alle ortiche e ricominciare da capo. Questo non è solo difficile, è innaturale. Il tuo sentire ti porta in una direzione ma le necessità editoriali e il rispetto della tradizione ti impongono di andare nella direzione opposta. Quindi sono arrivato alla conclusione che per disegnare “Tex” devi conoscere bene il mestiere, padroneggiare con disinvoltura stili e strumenti, e sapere quando fare un passo indietro.
Nel 2004 esce “Ombre nella notte” (“Tex Speciale 18”), scritto da Claudio Nizzi: un esordio con il botto, direttamente su un Texone. Da dove hai preso spunto per i tuoi disegni, in termini di artisti e fonti?
Più che botto lo definirei tonfo.
Noi e i lettori la pensiamo diversamente, è un ottimo albo. Cosa non ti è piaciuto di quel lavoro?
Se lo dite voi! La verità è che avrei voluto farlo meglio. Non so dire cosa sia andato storto, ma continuo a considerare quella prova incolore, deludente, inadeguata e potrei trovare un'altra ventina di aggettivi per descriverla. Non so dire molto di quell’esperienza, era un periodo strano. Guardavo un po’ di tutto, da Giraud a Serpieri, da Ticci a Hermann… ne è venuto fuori un minestrone, neanche tanto saporito.
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Dopo quella storia hai continuato a collaborare con lo staff di “Nathan Never” su diverse testate, firmando il numero 300 di quella regolare e la miniserie “Annozero”. “Tex” sembrava un capitolo chiuso, finché non ti ritroviamo coinvolto nel progetto “Tex Willer”. Ci racconti com'è avvenuto tutto ciò?
Lucca 2015, mi trovo al tavolo con Mauro Boselli e altri colleghi. Quel “Texone” continua a turbarmi. Ho voglia di riscatto. E poi lo devo a Sergio che aveva creduto in me. Non l’ha mai detto, non a me almeno, ma credo che si aspettasse una prova di altro tenore. Quindi, parlando con Mauro, gli chiedo se ha una storia breve, tipo “Color”, da darmi. Lui ci pensa un po’ su e mi risponde che una storia ci sarebbe, forse un “Color”, forse un “Maxi”. Ci risentiamo a distanza di qualche settimana per definire le cose, ma reciproci impegni si mettono di traverso.
Così arriviamo al 2016, novembre 2016. Mauro mi chiede alcune prove di un Tex ventenne per una nuova testata ancora segretissima. Le faccio. Piacciono (o almeno non dispiacciono). E mi trovo di punto in bianco con una sceneggiatura di 248 tavole e nessuna idea precisa su come affrontarla.
Il primo periodo è stato il più difficile. Un esperienza estraniante. Come guardarsi allo specchio e vedersi di nuca. Ho avuto spesso la sinistra sensazione che la storia si stesse ripetendo e che “Tex” si stesse dimostrando, ancora una volta, il mio personale, inaccessibile “grido di pietra”.
Poi, pian piano le cose sono migliorate, ho cominciato a farci la mano. C’è ancora un grosso gap da colmare, ma ora mi sento più sereno. Un po’ meno sereni sono Mauro e Giorgio che, dalla redazione, devono correggermi tutta una serie di inesattezze che nascono dalla mia scarsa conoscenza del Western in generale, di quello di metà Ottocento in particolare.
Per la nuova collana incentrata sulla gioventù fuorilegge del protagonista hai finora realizzato i primi tre numeri e il frontespizio degli albi. Sappiamo che hai avuto un ruolo fondamentale nella definizione del character design del protagonista e dei comprimari storici, buoni e cattivi, come Kit Carson e Mefisto, dettando stilemi anche per i futuri disegnatori. Quanto è stato difficile? E su cosa ti sei basato per ringiovanire i loro volti?
In realtà un modello di riferimento già esisteva, quello di Andreucci del “Magnifico fuorilegge”. Un giovane Tex tanto convincente da diventare quello “ufficiale”, il prototipo da cui partire. Poi, ogni disegnatore finirà con il metterci qualcosa di suo, questo è normale. Stesso discorso per i vari comprimari. Sono già stati tutti disegnati, in passato.
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Quali sono le situazioni e il personaggio che ti diverti di più a rappresentare nelle storie di “Tex”?
Forse i personaggi di contorno, le comparse. Le figure principali vanno ritratte con estrema precisione e senza prendersi troppe libertà; con le comparse, invece, si può osare un pochino di più, a patto di non cadere mai nel grottesco. “Tex” è un fumetto realistico, quindi qualunque caratterizzazione deve essere ponderata con attenzione e realizzata con sobrietà. I paesaggi restano l’elemento che permette una maggior libertà, fermo restando che su “Tex” la parola libertà va interpretata con un discreto margine di approssimazione per difetto.
A parte la diversa collocazione temporale, in cosa “Tex Willer” si distingue dalla serie regolare? E quali sono i suoi punti di forza peculiari?
Le differenze sono veramente tante. Il Tex maturo che conosciamo tutti ha dei requisiti che fanno capo a un profondo senso di giustizia e di lealtà. Lodevoli sul piano morale, prevedibili su quello narrativo. Forse questa prevedibilità, nata anche da un profondo rispetto per la tradizione e dalle legittime aspettative dei lettori, ne hanno via via diluito la carica eversiva che possedeva nei primi tempi. Il Tex “classico”, quello del periodo pionieristico, firmato da Gianluigi Bonelli e Galep, era scapestrato, impulsivo, nemico del potere prepotente e pronto a farsi giustizia da solo, a sporcarsi le mani, per rimediare a un torto subito. La sua proiezione matura è decisamente più compassata, le sue azioni sono più equilibrate, meno emotive. Ha, come dire, messo la testa a posto. In lui vive ancora quel ventenne focoso, ma con il tempo ha imparato ad agire in modo socialmente più accettabile.
Anche la scrittura delle storie del giovane Tex segue questa evoluzione: la moderatezza che Boselli usa per la serie regolare qui lascia il posto a un ritmo precipitoso, a un vortice di eventi che sottolinea la natura impetuosa del protagonista. D’altra parte, le grandi capacità di adattarsi a generi e stili narrativi molto diversi dimostrate da Mauro sono sotto gli occhi di tutti. Basta guardare “Tex”, in tutte le sue declinazioni, e “Deadwood Dick”: due western che più diversi non si può, scritti entrambe così bene da sembrare nati da mani diverse.
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Lo abbiamo chiesto a tutti gli autori intervistati in occasione dei settant'anni di “Tex”: qual è la tua personale opinione sull’inossidabile successo del protagonista?
La prevedibilità di cui parlavo prima. I lettori di “Tex” non si sentiranno mai traditi dal loro eroe perché questi farà la cosa giusta, nei modi e nei tempi che il lettore si aspetta. Disarmante nella sua semplicità. Eppure le cose semplici sono spesso le più efficaci.
Puoi confidarci a quali progetti stai lavorando e quando ti rivedremo su “Tex Willer”?
Direi molto presto. Dopo i quattro albi di “Vivo o morto” ci sarà una lunga storia scritta sempre da Mauro e disegnata benissimo dal mio vecchio amico - nel senso che ci conosciamo da tantissimo tempo - Bruno Brindisi.
Poi, partirà la storia, scritta sempre dall’incredibilmente prolifico Boselli, che sto disegnando in questi giorni. Non mi è permesso dare anticipazioni, ma posso dire che in questi tre o quattro albi Mauro si è divertito a mescolare eventi storici e fiction, e che vedremo un personaggio femminile totalmente diverso da quelli puramente decorativi ai quali “Tex” ci ha abituato. L’ambientazione è di tipo urbano, cosa che mi ha costretto a una faticosissima ricostruzione d’epoca, ma non mancherà l’azione pura. Che diamine, si tratta pur sempre di “Tex”.
Grazie mille, Roberto, gentilissimo. E complimenti per il tuo lavoro!
Grazie per la chiacchierata, in bocca al lupo agli inossidabili ragazzi o ex ragazzi di BadComics.it e un saluto a tutti.