Bonelli, 70 anni di Tex: intervista a Claudio Villa

Abbiamo intervistato uno degli artisti più iconici di Tex, nonché impareggiabile copertinista: Claudio Villa

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Dopo la prima - e finora unica - disegnatrice di Aquila della Notte, in occasione dei settant'anni di Tex abbiamo incontrato per voi uno dei più grandi fumettisti italiani, colonna del nostro ranger e suo impareggiabile copertinista: Claudio Villa.

L'autore comasco, a cui siamo profondamente riconoscenti, ci ha omaggiato con ben tre splendide immagini inedite: si tratta degli sketch preparatori (poi scartati) per le copertine di Tex 691, Tex 701 e Maxi Tex 20. Ecco com'è andata la nostra chiacchierata con lui...

Ciao, Claudio! Benvenuto su BadComics.it e grazie per la tua disponibilità, nonostante i tuoi innumerevoli impegni. Partiamo dal tuo debutto su “Tex”, avvenuto nel settembre del 1986 con il numero 311, “Il ranch degli uomini perduti”. Che ricordi hai di quel momento?

Claudio Villa

Grazie a voi per l'interessamento dimostratomi. I ricordi legati al momento a cui ti riferisci sono belli e terribili allo stesso tempo. Come premessa, devo dire che ho sempre amato il western. Quando ero a bottega da Franco Bignotti per imparare il mestiere, mi ripeteva spesso: “Lo so che ti piace il western, ma qui in Italia non è facile, perché western vuol dire 'Tex' e per arrivare a disegnarlo la strada è difficile”. Per me “Tex” è sempre stato un sogno, poi, un giorno, vengo chiamato dalla Casa Editrice e mi viene proposto di disegnare “Tex”.

Ho così scoperto la differenza tra sogno e realtà: mi sono trovato davanti un vero e proprio universo, che non è tutto rose e fiori - come credevo anch'io - quando non l'hai mai affrontato prima. Ti rendi conto che hai a che fare con un monumento del Fumetto italiano e senti su di te una responsabilità enorme, perché “Tex” non è tuo. Altri lo hanno creato e altri lo hanno disegnato prima di te, contribuendo a farlo entrare nel cuore dei lettori e a renderlo il fumetto per eccellenza nel nostro Paese.

Senti il dovere, innanzitutto, di non rovinare il loro lavoro. Sei tu che ti devi mettere al servizio dell'eroe e non viceversa. La tentazione di disegnare "finalmente" una propria versione di "Tex", sganciata dalla tradizione si rivela ben presto un'idea sbagliata. Invece, devi renderti conto di cosa stai maneggiando, che è qualcosa di veramente delicato e che ha bisogno del massimo rispetto.

Per “Il ranch degli uomini perduti”, la mia prima storia di “Tex” sceneggiata da G.L. Bonelli in persona, con la supervisione di Tiziano Sclavi, ero molto preoccupato per ogni cosa, in particolare i cappelli: i cappelli insieme ai cavalli sono i soggetti più difficili da disegnare. E infatti li ho sbagliati in gran parte, disegnandoli enormi. Per cui prima della pubblicazione ho dovuto mettere mano alle vignette e ridurne la dimensione.

Anche il viso di Tex era ancora "acerbo": lo disegnavo sempre incazzato per una mancanza di conoscenza profonda del personaggio. Rammento che un lettore aveva scritto, riguardo quella mia prima esperienza, che avrei fatto meglio a disegnare “Diabolik” e non “Tex”. [Ride] Non aveva torto. Sul foglio era finita l'idea che avevo allora di Tex, uno che la sapeva lunga ma che era sempre un po' incazzoso e attaccabrighe.

In che modo è maturato e si è affinato in seguito il tuo approccio al personaggio, divenuto poi iconico?

Claudio Nizzi è stato fondamentale nel farmi comprendere Tex, e ce ne vuole per arrivare a comprenderlo a fondo. Ancora oggi sono alla ricerca del vero Tex, una ricerca che non finisce mai, perché imparo nuove cose su di lui ogni volta che lo disegno. Disegnare un personaggio è come frequentare una persona: sai che non puoi mai dire di conoscerla alla perfezione, ma continuando a stare insieme a lei entrerai più con confidenza e la sua conoscenza sarà sempre più approfondita.

Per entrare in quest'ottica devo molto a Claudio, che mi ha tracciato il profilo psicologico del personaggio e mi ha fatto capire che Tex è uno che sta "sopra" le cose, non si fa coinvolgere emotivamente e ha una vena ironica che stempera ogni situazione.

C’è un disegnatore storico di “Tex” che ti ha particolarmente influenzato nell’approccio iniziale o a cui ti senti più vicino graficamente ancora oggi?

Assolutamente sì. Certo. Il mio Tex si ispira a quello di Giovanni Ticci. Chiaramente il riferimento principale è quello di Aurelio Galleppini, però quello di Galep è un Tex molto personale, che solo lui sapeva gestire da un punto di vista stilistico. Tentare di imitarlo, a parer mio, sarebbe stato solo controproducente e poco convincente.

Noi della “nuova generazione”, che siamo venuti dopo grandi nomi storici quali Guglielmo Letteri, Fernando Fusco ed Erio Nicolò, il punto di riferimento era ed è Ticci. Ho amato fin dall'inizio il "suo Tex". Un Tex Willer con gli occhi a fessura, come quelli di chi è abituato a stare ore sotto il sole a picco, e con un'aria seria, da duro. A Ticci ci si ispira poi, anche per quanto riguarda tutto il resto di quel mondo, dai paesaggi ai dettagli di una sella o di un fucile. Giovanni ha lavorato per anni per il mercato americano disegnando fumetti western. Ha una documentazione e una conoscenza impeccabili.

Ho amato di Galep le atmosfere misteriose e magiche, quando per esempio rappresenta Mefisto: la capacità di raccontare con segni efficaci situazioni irreali rendendole vive e palpitanti.

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Cosa ha significato per te ricevere il testimone di copertinista dallo stesso creatore grafico di Tex, Aurelio Galleppini?

È stata un'altra responsabilità da far tremare le vene ai polsi. Speravo tanto che la vita regalasse più tempo a me e a Galep da trascorre insieme, perché potesse accompagnarmi nei miei primi, tremanti passi da copertinista; purtroppo è andata diversamente, e ho dovuto cavarmela perlopiù da solo, cercando di rispettare la tradizione.

Da esperto in materia, com'è cambiata in tutti questi anni la concezione di una copertina di “Tex”?

È cambiata tantissimo. Agli inizi, quando l'albo ha sostituito la striscia, le copertine venivano realizzate riutilizzando disegni già fatti da Galleppini. Nelle copertine dei primi numeri del cosiddetto “Tex Gigante”, l'attuale testata regolare, si vedono spesso interventi di Franco Bignotti, che ha disegnato particolari aggiuntivi come una pistola o teste di indiani, per completare l'immagine; inoltre, l'impostazione grafica era molto più libera e creativa in quel periodo.

Anno dopo anno, la gestione della copertina ha subito un processo di "evoluzione" fino a "cristallizzarsi" nella "copertinizzazione" di una scena proveniente dall'interno dell'albo. Sergio Bonelli, che curava personalmente la scelta dell'immagine, tendeva a preferire una scena dove non ci fossero sempre sparatorie o scazzottate, salvo quando necessarie, per evitare un'inflazione e dare la sensazione di vedere sempre la stessa scena in copertina.

Dall'arrivo di Mauro Boselli come curatore del personaggio, stiamo cercando di trovare spunti anche ispirandoci alla gestione libera e creativa dei primi periodi di "Tex", sempre restando nel solco della tradizione ormai cara al pubblico di affezionati lettori.

Ci hai spiegato come si è evoluta la concezione di una copertina di “Tex”. Ora ci potresti raccontare del tuo personale processo creativo che porta alla creazione di quei piccoli gioielli che ci regali con continuità?

Spesso parto dal titolo, ma a volte non è stato ancora deciso. Mi viene fornito l'albo in formato digitale, lo esamino tutto e poi, con Mauro [Boselli] e con il suo assistente Giorgio [Giusfredi] ragioniamo sull'immagine che può andar bene. Quindi, preparo degli schizzi sulle ipotesi vagliate e alla fine, Mauro e Giorgio , sentito anche il parere del direttore editoriale Michele Masiero, decidono quello che ritengono il più adatto.

Dopo oltre 700 numeri diventa sempre più complicato non ripetersi e creare un'immagine classica che risponda a certi canoni di racconto di un fumetto nato alla fine degli anni Quaranta, ma che sia al contempo moderna e accattivante, che susciti nei lettori di oggi la voglia di acquistare l'albo. Il momento più complicato, che assorbe più tempo, è ormai diventato la "messa a punto" dell'immagine: studiare innanzitutto una scena che non ricordi troppo da vicino un'altra copertina già pubblicata (in questo Sergio Bonelli era molto attento), poi calibrare l'inquadratura per suggerire anche, dove possibile, un minimo di emotività e non solo pura azione.

Durante tutti questi anni, alcune scene si sono rivelate anche una autentica "prima volta" per il mondo di Tex, anche se non credo che tutti i lettori se ne siano accorti. Per esempio, nell'albo intitolato “I cacciatori di bisonti” [“Tex 522”, luglio 2007 – NdR], Tex è visto di spalle e inquadrato leggermente dall'alto. Si trova di fronte una prateria ricoperta dalle carcasse abbandonate dei bovini uccisi. La cosa inusuale per Tex è l'inquadratura di spalle e dall'alto. Di solito l'eroe viene inquadrato frontalmente e leggermente dal basso, per enfatizzare l'aura da eroe. Ma qui il soggetto principale non è Tex , è lo scempio di quegli animali uccisi. E lui, da uomo del west che rispetta la Natura, è fermo, appena sceso da cavallo. Il lettore si trova a immaginare cosa stia provando Tex in quel momento. Non c'è azione. C'è una situazione, cosa per Tex piuttosto insolita. Nell'immagine c'è poi la citazione delle montagne sullo sfondo, che arrivano dritte dritte dal paesaggio immortalato nel film "Il cavaliere della valle solitaria", con protagonista Alan Ladd, un attore molto amato da Sergio Bonelli.

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Usi solo strumenti tradizionali o anche digitali?

Tradizionali. Sono ancora un dinosauro che usa carta, matita, pennarello e pennello. [Ride] Sono affezionato a questo modo di lavorare. Vedo miei colleghi che usano il digitale con risultati straordinari. In merito alla questione "digitale si, digitale no", penso a quando in un lontano passato l'uomo dipingeva solo con le mani e qualcuno si è presentato con un legnetto in mano che aveva un po' di pelo in cima: ci sarà stato sicuramente qualcuno che si è lamentato dicendo che quello non era dipingere. [Ride] Ma quel legnetto con il pelo in cima ha permesso di esprimersi in modi sconosciuti fino a quel momento.

È una questione di strumenti. Come il pennello, il computer è uno strumento: una volta che lo sai usare, sei sempre tu che realizzi il disegno, non lo strumento; anche se il progresso tecnologico ti fornisce mezzi con i quali riesci a fare sempre più cose e sempre in più breve tempo.

Va anche considerato che con il digitale si perde il concetto di originale: una tavola realizzata con i metodi tradizionali è unica e irripetibile, con il digitale è, a tutti gli effetti, una stampa. Credo che in fondo il digitale sia un'evoluzione inevitabile e, come sempre accade, si perde qualcosa e qualcosa si guadagna. Molti miei colleghi sanno usare bene sia il foglio che la tavoletta grafica e penso sia l'optimum: una buona manualità aiuta a destreggiarsi meglio anche sul digitale.

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Mi sembra doveroso ricordare che hai contribuito alla creazione grafica di Dylan Dog e sei stato il copertinista della sua serie regolare per i primi quarantuno numeri, per poi occuparti di quelle di “Tex” dal numero 401. Parliamo delle icone più rappresentative e amate di Sergio Bonelli Editore, due personaggi e due generi narrativi completamente diversi. Per te, a livello tecnico, cosa ha significato passare dall’Indagatore dell’Incubo ad Aquila della Notte?

Sì, è vero, le differenze sono nette. Le atmosfere di “Tex” sono molto solari; piene di azione, anche se ogni tanto si siedono a un tavolo e parlano per trenta pagine. [Ride] In "Dylan Dog" la protagonista è spesso la situazione, l'atmosfera. Ci può essere azione, ma è l'emozione che attrae l'attenzione del lettore. Sono due mondi completamente diversi che hanno bisogno di due linguaggi altrettanto differenti per essere interpretati.

Ho sempre amato le atmosfere cupe di "Dylan Dog", che danno la possibilità di giocare con il bianco e nero e le inquadrature ardite. In "Tex" conta soprattutto il "come fai vedere", in "Dylan Dog" il "come fai emozionare". Anche se, alla fin fine, in ogni fumetto sono importanti entrambi questi aspetti: il mostrare con efficacia e suscitare emozione.

C'è una tua copertina di “Tex”, o più di una, che ami in maniera particolare?

Sì, certamente. Oltre a “I cacciatori di bisonti”, una a cui sono molto legato è quella di “Appuntamento con la vendetta” [“Tex 642”, aprile 2014 – NdR]: è una copertina che viene dalla disperazione. [Ride]

Nell'albo non c'erano situazioni che potevano ispirare una copertina classica con la contrapposizione tra il protagonista e gli antagonisti, perché quando si vedevano i cattivi, Tex non c'è, e un confronto tra loro in copertina sarebbe stato fuori luogo, non sarebbe stato corretto. Eravamo in difficoltà. L'unica strada percorribile è sembrata quella della doppia immagine. Era la prima volta che si adottava una soluzione del genere. Spero di non venire smentito, ma avevo fatto una ricerca accurata tra le copertine di Galep per cercare eventuali precedenti e gli unici che ho trovato altro non erano che una sorta di collage, non una doppia immagine originale. Così, ho disegnato Tex che spara col winchester nella parte superiore dell'illustrazione e che in basso sfuma in un'alba con in silhouette tre cavalieri al galoppo, che danno l'idea di essere i cattivi.

Sapevo che era un azzardo, ma ho provato lo stesso a mandarla per l'approvazione a Boselli, il quale l'ha approvata immediatamente. E pensare che ero veramente disperato per la mancanza di idee. A volte anche la disperazione aiuta.

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Oggi sei uno degli artisti di riferimento dell’eroe Bonelli per eccellenza: cosa ti lega così indissolubilmente a “Tex”?

Mi lega per prima cosa il fatto che è il mio lavoro, che è necessario fare in un certo modo, perché i lettori vanno rispettati. Il personaggio va conosciuto e raccontato al meglio, il resto è la naturale conseguenza. Finché ci saranno lettori che seguono Tex e lo amano, noi saremo qui a raccontarne le storie.

Quali sono i consigli che daresti a un giovane artista alle prese con “Tex”?

“Tex” è un fumetto che si sviluppa secondo i canoni del Fumetto classico. Per chi vive abituato alle potenzialità dei meccanismi del linguaggio e dell'immagine contemporanei, non è per nulla facile approcciarsi a “Tex”. Tuttavia l'avventura con la "A" maiuscola ha un suo fascino mai del tutto superato ed è questo spirito che va cercato per raccontare al meglio il mondo di Tex. È necessario, però, mettersi al servizio della storia, rinunciando a scelte di storytelling troppo moderne che farebbero sentire fuori luogo anche il personaggio.

Occorre scoprire la varietà di possibilità che offre il racconto per immagini più tradizionale. Quel che fa la differenza è sempre il bagaglio culturale di chi interpreta "Tex", che può arricchire anche una scena a prima vista banale. Per alimentare questo modo di vedere le cose è necessario essere sempre curiosi nei confronti di ogni cosa, critici verso se stessi e immersi completamente nel mood delle storie. Il punto di vista originale e irripetibile di un disegnatore, rispetto ad un altro, emergerà comunque, arricchendo anche il mondo di "Tex".

Ultima cosa: ogni disegnatore ha dentro di sé un lettore, spesso molto esigente, che chiede al disegnatore di vedere quella vignetta disegnata finalmente in un certo modo. Dargli ascolto è una buona norma per continuare a migliorarsi e non riposare su allori, veri o presunti.

È vero che hai raccomandato personalmente Maurizio Dotti a Mauro Boselli per il ruolo di copertinista della neonata testata “Tex Willer”? E se sì, cosa ti ha colpito maggiormente del suo lavoro?

È vero. Confermo. Ho detto a Mauro che Maurizio è un artista che ha uno stile classico, raffinato, che piace molto ai lettori e che avrebbe costituito una sorta di continuità stilistica nell'ambito del personaggio, anche se parliamo di un Tex molto più giovane. È un disegnatore capace e dal disegno curato.

Una volta gli ho detto che mi piace come disegna gli stivali di Tex, e lui mi ha confermato che ci mette molta cura, perché è un particolare che ritiene importante. Ecco la prova che i particolari, curati con attenzione, alla fine fanno emergere l'autentico Tex che i lettori hanno nel cuore.

Lo abbiamo chiesto a tutti gli autori intervistati in occasione dei settant'anni di “Tex”: qual è la tua personale opinione sull’inossidabile successo di questo personaggio ancora oggi, quando il western non è più un genere di moda?

Come diceva Sergio Bonelli, se lo sapessimo con certezza, ne creeremmo uno al mese di “Tex”. Io penso che uno dei punti di forza della serie sia l'eccezionale amalgama tra i quattro pards, anche se non agiscono sempre insieme. Dal loro interagire emerge uno speciale senso di famiglia e di amicizia, tra cui spicca il rapporto di confidenza e complicità tra Tex e Carson.

Poi, vengono i principi imprescindibili di onestà e di giustizia che contraddistinguono ognuno di loro, pronti a scagliarsi contro qualsiasi prepotente. Tex incarna questi valori che possono sembrare semplici, se vogliamo primordiali, ma che sono dentro ciascuno di noi. I lettori sentono il bisogno di rifugiarsi nel suo mondo, una metafora del nostro, dove finalmente c'è qualcuno che raddrizza i torti, dove i compagni e gli amici si rispettano, non si tradiscono, e ci si aiuta l'un con l'altro. In “Tex”, in sintesi, ci sono quei valori che tutti abbiamo nel cuore e che speriamo possano emergere prima o poi in questa nostra società reale, tanto martoriata. Un albo di “Tex” è come una boccata d'ossigeno, in questo senso.

Aggiungo, per concludere, che si tratta di storie piacevoli da leggere, che ti regalano mezz'ora di svago a basso costo, con un caro amico che conosci da tempo. Sergio diceva, scherzando, che il Fumetto è il "Cinema dei poveri". Nel Fumetto, inoltre, l'interazione che si instaura con il lettore va oltre a quella che esiste tra spettatore e film. Lo spettatore si trova tutto già fatto: movimento, voci, suoni, colonna sonora. Nel Fumetto è la fantasia del lettore che interagisce, fa muovere le figure, sente il rumore degli spari e riempie lo spazio bianco tra una vignetta e l'altra. Il Fumetto accende e stimola la fantasia e l'alchimia che si instaura con il lettore: è qualcosa di magico. I lettori hanno poi l'occasione di soffermarsi quanto vogliono su un dettaglio, cosa impossibile in un film, fino a trovare eventuali errori e scrivere in redazione che: “Villa ha sbagliato la posizione dell'anello del winchester, l'ha messo dalla parte sbagliata”. [Ride]

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All’ultima edizione di Lucca Comics & Games hai rivelato di essere quasi alla fine del “Texone” da te disegnato e scritto da Mauro Boselli: puoi rivelarci per quando sarà pronto?

Mauro mi ha consegnato qualche tempo fa le ultime cinquantaquattro pagine di sceneggiatura. Vedo la luce in fondo a un tunnel durato dodici anni, un tempo geologico per chi aspetta, ma che è abbastanza giustificato dalla mole di lavoro sostenuta per star dietro, fino a qualche tempo fa, alle tre copertine regolari (quando la nuova ristampa di "Tex" era quindicinale, in aggiunta alla copertina dell'inedito mensile) e alle quattro copertine mensili per la collana di "Repubblica".

Da fuori può sembrare un lavoro come un altro, ma è stato un periodo molto impegnativo, in cui sono arrivato in alcuni momenti, a causa degli anticipi editoriali, a fare otto copertine al mese. Spero sia chiara a tutti la differenza di impegno e di tempo necessari per realizzare una copertina, cosa che rende logico il fatto che la produzione del "Texone" in quel periodo si sia sostanzialmente bloccata. Tolta la ruggine allo storytelling, guai personali permettendo, siamo ormai alla fine di questa storia che batterà tutti i record di lentezza in negativo. Spero che almeno il risultato finale varrà l'attesa...

Dopodiché, ti vedremo ancora alle prese con gli interni di un albo regolare, oltre che con le copertine?

Sinceramente, non so cosa abbia in mente Mauro dopo il mio “Texone”. L'idea di una storia per la serie regolare, più breve, in modo da farla uscire in tempi più ragionevoli, non mi dispiacerebbe. La decisione spetta a Mauro e a Giorgio, com'è giusto che sia. Per il momento, portiamo a termine il “Texone”... poi vedremo.

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