Blonde, Andrew Dominik al Festival di Venezia: ”La mia Marilyn, Afrodite incompresa”
Il regista Andrew Dominik ha incontrato la stampa al Festival di Venezia in occasione della presentazione di Blonde, su Marilyn Monroe
Il regista Andrew Dominik ha preso parte a un incontro con la stampa per presentare Blonde, in concorso al Festival di Venezia
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Saving Ms. Monroe
Il legame tra Dominik e Monroe emerge con chiarezza dalle sue parole. ”Abbiamo effettuato riprese nella casa in cui Marilyn è morta, nella stanza in cui è morta, e lì ho avvertito fortissima la sua presenza. Alla fine delle riprese, dopo che tutti se ne erano andati, io mi sono trattenuto lì; mi sono sdraiato sul suo letto e ho avuto la netta percezione della profonda disperazione che ha vissuto. In quel caso, si trattava di un mio momento di relazione con la ”vera” Marilyn, quella realmente esistita, non quella raccontata dal film.”
Proprio a proposito della ”sua” Marilyn, Dominik chiarisce come non si tratti, appunto, di un personaggio originale, ma di una fantasia basata sul personaggio reale. Una fantasia, dice il regista, che manifesta il desiderio - comune a quasi chiunque abbia scritto di lei - di salvarla tardivamente. “L’idea dietro la maggioranza delle opere su Marilyn è: ”Io sì che l’avrei capita, e se fossi stato lì avrei potuto salvarla.” Blonde non fa differenza in questo senso.”
La luce di Ana
Per la sua eroina da salvare, Dominik ha scelto Ana de Armas dopo averla sottoposta a un provino impegnativo, di cui ha rivelato i dettagli: ”Ana aveva tutti gli elementi caratteristici di Marilyn; l’ho vista in diversi film, e per me era Marilyn. L’unico ostacolo era che, all’epoca, Ana non parlava ancora inglese. Aveva lo stesso viso, lo stesso naso, gli stessi occhi, le stesse pieghe vicino alla bocca. E, soprattutto, aveva un quid, una luce che era propria di Marilyn, e che non trovi di certo in tutte le attrici. Mettendoti al lavoro su un film su un personaggio del genere, non puoi scegliere un’attrice qualunque; hai bisogno di un’interprete che abbia proprio quel quid specifico che la faceva brillare.
“Il provino che le abbiamo fatto era basato sulla scena di dialogo tra lei e Joe DiMaggio”, ha continuato Dominik. “C’è una sorta di superstizione riguardo i provini, per cui si dice che se un attore riesce ad azzeccare una scena quando viene provinato, poi non riuscirà più a ripeterla allo stesso livello. Per fortuna non è stato così con Ana, anzi: è andata sempre migliorando. Quella scena, assieme a quella del primo dialogo con Arthur Miller, rappresenta un momento di svolta; ho pensato che, se Ana si fosse dimostrata in grado di reggere una scena così intensa dal punto di vista del dialogo, sarebbe stata l’interprete giusta per il nostro film.”
Nessun Happy Birthday
Sebbene nel film venga affrontata anche la relazione tra Monroe e Kennedy, anche con toni piuttosto forti e lontani dall’agiografia riservata solitamente al presidente, Dominik non ha voluto inserire la scena del celebre compleanno in cui l’attrice intonava Happy Birthday, Mr. President. ”Non l’abbiamo mai presa in considerazione.”
Proprio sul crudo ritratto di Kennedy che riceviamo attraverso Blonde, il regista aggiunge: ”Tutto il film è visto dal punto di vista di Marilyn. I rapporti con tutti gli altri personaggi sono comunque filtrati dal suo punto di vista. L’immedesimazione, da parte dello spettatore, è solo con lei. Blonde non pretende assolutamente di essere giusto o equo; rappresenta un punto di vista, quello di Marilyn, o meglio quello che noi riteniamo probabile lei abbia provato.”
Licenze poetiche
E per quanto riguarda le misteriose circostanze della morte della diva, avvenuta a soli 36 anni? Dominik ha una sua idea, e la esprime senza mezzi termini: ”Non credo alla teoria dell’omicidio; potrei aprire un lungo discorso sull’argomento, ma non lo farò. Credo che probabilmente la sua morte sia dovuta a un’overdose accidentale, che è comunque una forma di suicidio. Non è la scelta intenzionale di assumere farmaci per morire, certo; ma è comunque un uso fatto in maniera disattenta che porta alla morte.”
Dominik non ha mancato di ribadire come Blonde non sia una biografia di Marilyn, essendosi concesso la massima libertà nel rielaborare eventi e relazioni della vita di Monroe (per esempio, il rapporto con il figlio di Charlie Chaplin e quello di Edward G. Robinson). Diverso il discorso per le sfuriate sul set di A qualcuno piace caldo, realmente avvenute durante la lavorazione del cult di Wilder. ”Trovo fantastico A qualcuno piace caldo, e trovoaffascinante prendere un classico della commedia e dargli delle sfumature horror.”
Il regista ha anche rivelato di non essere particolarmente preoccupato dal divieto ai minori di 17 anni in America, poiché Blonde approderà presto su Netflix dove - ne è convinto - avrà una diffusione a prescindere dai limiti di età.
Raccogliere, reinventare, sovvertire
Commentando l’eclettismo dello stile visivo della sua creatura cinematografica, il cineasta australiano ha spiegato di essersi rifatto alle immagini reali di Marilyn, calibrando in tal modo il passaggio dal bianco e nero al colore e da un formato all’altro. ”L’idea centrale era di raccogliere l’associazione visiva delle immagini e dei suoni che riguardavano Marilyn, rielaborandole in chiave nuova e dando loro un significato diverso rispetto a quello originario. Ad esempio, Bye bye baby diventa nel film una canzone sull’aborto, anche se tutti sappiamo che non era stata pensata così.”
“Blonde è un film sui sentimenti”, continua Dominik, ”e riguarda da vicino il desiderio di maternità di Marilyn. Essendo stata una figlia non voluta, con una madre affetta da disturbi psichiatrici e internata quando lei era ancora piccola, Marilyn era divisa a metà tra volere e non volere un figlio. Il suo rapporto con la maternità è molto conflittuale; da un lato, sappiamo che vorrebbe avere un bambino, e capiamo come mettere al mondo un figlio significhi per lei riappropriarsi del ruolo genitoriale che le era mancato nell’infanzia. Dall’altro lato, la sua esperienza come figlia è stata terribile, quindi è terrorizzata dalla prospettiva di diventare madre. È una ferita aperta, che il film affronta in profondità.”
Dominik ha inoltre tessuto le lodi di Brad Pitt, produttore del film, dichiarando scherzosamente di averlo visto molto più presente e attivo su questo set che su quello di pellicole in cui era il protagonista. ”Senza di lui, Blonde non sarebbe mai esistito,” ha detto alla stampa.
Una tragedia contemporanea
Per Dominik, inoltre, il dramma di Marilyn non conosce età. ”Oggi come allora, essere l’oggetto del desiderio di tante persone può risultare davvero pesante. Molte persone famose non sono in grado di reggere il peso dell’essere un’icona, precipitando nell’autodistruzione. Marilyn ha descritto questo peso nel modo più giusto, dicendo che ”essere famosi significa dover fronteggiare l’inconscio degli altri”. Le persone non interagiscono con te, ma con la fantasia che hanno di te. Pensano di avere un rapporto con te, ma hanno un rapporto con una versione ideale, scollegata dalla persona reale. Una cosa del genere può portare a esiti tragici, che si tratti di un’overdose accidentale o di altri metodi di autodistruzione.”
“L’abbiamo rappresentata come un’incompresa, perché non si è mai sentita pienamente capita. Tuttora, la consideriamo un personaggio di enorme rilevanza. Aveva fama, bellezza, successo, relazioni con gli uomini più in vista dell’epoca. Era la dea americana dell’amore, una sorta di Afrodite; aveva tutto ciò che la società ci indica come desiderabile. Tuttavia, queste cose l’hanno portata all’autodistruzione; ciò che le è accaduto ci dice che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che la società ci spinge a bramare.”
Blonde uscirà il 28 settembre su Netflix.
Trovate tutte le informazioni sul film nella nostra scheda.
Si ringrazia Bruna Cammarano per la collaborazione durante l'incontro.