Big Sky, parliamo con John Carroll Lynch: "Se le donne sono vittime non vuol dire che vadano vittimizzate"
La serie Big Sky vista da John Carroll Lynch dai temi trattati, al suo personaggio fino a David Lynch
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Forse non a caso John Carroll Lynch ha avuto l’onore di dirigere David Lynch nel suo film Lucky, e ha instaurato un rapporto con tutta la famiglia. A dirigere alcuni episodi di Big Sky infatti c’è Jennifer Lynch, con cui già aveva lavorato:
Hai usato il romanzo per dar forma al tuo personaggio?
“Ho iniziato a leggerlo ma quando ho capito che era troppo crudo per essere adattato fedelmente ho smesso. Il romanzo rimane la base ma di certo nel mio personaggio c’erano echi di molte persone egoiste e narcise che mi venivano in mente, non penso di doverle nominare, ce ne sono insomma!”.
Cosa c’è che ti piace in questo personaggio?
“Questo è un personaggio che va capito scena per scena. Parti dalle parole e poi inizi a farti strada. Certo crede nel patriarcato e ritiene che sia sua responsabilità imporlo. Per interpretarlo devi capire come prova a manipolare e soprattutto cosa rivela di sé con quelle manipolazioni. È una delle domande più interessanti possibili per qualsiasi attore “Quanto sto rivelando di me e perché?”
Hai interpretato dei serial killer come John Wayne Gacy in American Horror Story o Arthur Lee Allen in Zodiac, questo personaggio com’è rispetto a loro?
“Diverso. Gacy era così bravo a separare le sue personalità che era in grado di servire il tè alla polizia mentre aveva in casa i cadaveri delle sue vittime. È terribile ma meno complicato di Legarsky, che conosce i rischi che prende e dentro di sé sa che magari quel che fa non è giusto eppure ha le proprie ragioni. E poi non esiste. Negli altri casi invece le vittime erano reali, il che significa che hai un obbligo verso di loro nell’interpretarne l’assassino”.
Vedendo Big Sky ci sono così tanti rapporti tra uomini e donne che non vanno che viene da pensare che proprio non siano fatti per stare insieme. Pensi sia così?
“Ti posso dire una cosa: qualche anno fa ho visto un Ted Talk in cui una donna islandese e un uomo australiano di circa 30 anni (mi pare fossero in Sudafrica) parlavano della notte in cui lui violentò lei. Ne parlavano insieme, e lei usò una frase appoggiata anche da lui: “Lo stupro e lo sfruttamento delle donne non è un problema delle donne ma degli uomini”. Legarsky è proprio l’espressione di quel problema.
Al momento non c’è un paese o una società nel mondo (dalla Cina medievale fino a Victoria’s secret) che non cerchi di sfruttare il potere maschile sulle donne, per questo ne dobbiamo parlare, parlare di come gli uomini devono imparare ad affrontarlo. E se Big Sky lo esprime beh allora penso che siamo parte della conversazione e non la stiamo sfruttando”.
C’è una domanda che emerge riguardo questa storia, qual è la maniera corretta di mostrare la violenza sulle donne?
“È una buona domanda. Di certo si è scelto di non dipingere le donne come vittime, il fatto che siano effettivamente vittime non vuol dire che vadano vittimizzate, ed è un modo di raccontare che mi piace. Credo che una domanda che dobbiamo sempre farci sia: stiamo contribuendo a rendere la violenza contro le donne romantica o no? Big Sky penso non contribuisca perché mostra bene le conseguenze del danno e dello sfruttamento vero e che sia capace di riflettere la realtà per quanto possibile”.