BGeek 2015: BadComics.it intervista Zerocalcare
Al BGeek 2015, Raffaele Caporaso ha intervistato Zerocalcare, autore di Dimentica il mio nome, Kobane Calling e La città del decoro
Ciao Zero, e bentornato su BadComics.it!
Ciao a voi, ragazzi, e grazie.Cominciamo la nostra intervista da uno dei tuoi più recenti lavori: "Kobane Calling", una storia intensa pubblicata sulle pagine della rivista Internazionale. Come è nata l'idea di questo racconto, quali sono le indiscrezioni e i dietro le quinte di questo tuo progetto ed esperienza di vita?
La storia di Kobane Calling nasce da un rapporto che io, ma in realtà tutta la mia generazione dei centri sociali di Roma, abbiamo con la comunità curda da molti anni a questa parte. Personalmente, conosco questa comunità dalla fine degli anni '90, quando il presidente del PKK [Partito dei Lavoratori del Kurdistan] venne a chiedere asilo politico a Roma. I centri sociali, sin da allora, si sono fatti carico dell'accoglienza di queste persone, e quindi si è creato un legame che è perdurato negli anni. In quel periodo ho ricevuto i primi schiaffi da parte della Polizia.Devo ammettere che con il passare del tempo questo rapporto si era un po' sfilacciato, oltre al fatto che l'attenzione mediatica nei confronti del Kurdistan è progressivamente diminuita, almeno fino all'estate scorsa. Da allora si è ricominciato a parlare di questa comunità in occasione dell'assedio di Kobane da parte dell'ISIS. Spesso i media ne hanno riportato una visione un po' distorta e folkloristica: per esempio mostrando sempre le immagini delle donne in tenuta da battaglia, che sono diventate un po' un feticcio, senza che nessuno si informasse e riportasse l'ontologia, il perchè si è arrivati a tale situazione. Intanto quello che non era stato detto da nessuno è che in quella striscia di terra, che si chiama Rojava, da anni è in corso una vera e propria rivoluzione: tale processo metteva al centro l'emancipazione della donna, la distribuzione del reddito, l'ecologia, la pacifica convivenza fra etnie e credi religiosi diversi.
Tutto questo è davvero bellissimo, e mi sono sentito naturalmente in dovere di sostenere questa rivoluzione e poi raccontarla. Qui poi non si tratta solo di me, ma di tutto il collettivo Rojava Calling, composto da tantissime persone. Ho così preso la decisione di partire, anche perché in quel momento avevo finalmente accettato l'idea che nella vita "faccio fumetto" (questo momento dura tuttora, ma sono sicuro che stia per finire da un momento all'altro). Lavorando già con Internazionale, proposi loro questo progetto. Per loro mi occupavo di fare strisce settimanali, il che era un vero inferno, sia per le scadenze sia per la necessità di sintetizzare all'osso una storia. Così abbiamo deciso di realizzare qualcosa di più corposo, con cadenza magari annuale o semestrale.
Parlando del collettivo Rojava Calling, abbiamo recentemente appreso che ti sei occupato della prefazione a fumetti e della copertina del libro "Kobane, diario di una resistenza". Cosa puoi raccontarci a riguardo?
Kobane, diario di una resistenza è una raccolta di scritti, testimonianze e documentazioni messe assieme dal nostro collettivo. Siamo stati in tanti e provenienti da tutta Italia ad alternarci nel recarci in quella terra, creando una vera e propria staffetta continuativa, specie per portare rifornimenti di tipo sanitario.
Recentemente abbiamo appreso dai principali organi di stampa che la città di Kobane è stata ripresa in mano dall'ISIS. Avendo contatti in loco, puoi confermare questa notizia?
Il problema non è che io abbia o meno contatti in loco, basterebbe guardare a una qualsiasi agenzia di stampa del mondo, a parte quelle italiane (le quali hanno evidentemente bisogno di sparare titoloni necessari per ottenere un gran numero di visualizzazioni, senza mai approfondire ciò che scrivono, nemmeno con una telefonata), per capire qual è la situazione reale. In realtà, Kobane non è stata ripresa dal Califfato, anche perché l'avanzata curda procede spedita. Quello che è successo effettivamente è che quattro camion-bomba e un contingente di un centinaio scarso di guerriglieri dell'ISIS sono passati dal confine turco: questa incursione ha provocato molti morti e molti dei guerriglieri si sono asserragliati negli edifici con ostaggi. Si tratta di un terribile attentato terroristico, ma Kobane è libera e viva.
Veniamo ora a La città del decoro, breve storia pubblicata su La Repubblica. Questa parla di un luogo ideale, la "Città dei Puffi", e ha come tema principale, appunto, il decoro. Come nasce questo progetto?
La storia parte dal fatto che la parola "decoro" è diventata sempre più importante nel discorso pubblico, quasi un'ossessione per tanti. Nel senso che, per esempio, in una città dove c'è gente che muore di fame in mezzo alla strada non c'è decoro, secondo molti. In un luogo idealmente decoroso situazioni del genere sembrano non doverci o poterci essere, non nel senso che ci si adoperi per trovare una sistemazione ai senzatetto, ma che questi semplicemente non si debbano poter vedere, quasi non abbiano il diritto di esistere.
Oggi sembra quasi che il senso civico consista nel fotografare queste persone e postare tali immagini su internet per denunciare non tanto il fatto che ci sia gente senza casa, quanto che questi mangino e dormano in mezzo alla strada. La mia idea era raccontare questo spaccato, e farlo su uno spazio che non fosse quello mio personale, o di quello di coloro che la pensano necessariamente come me, ma su una rivista con lettori quanto più eterogenei possibile, così da aprire eventuali porte di discussione. Di queste porte, alla fine, ne ha aperte anche troppe: ogni giorno leggevo commenti o mail dove mi scrivevano cose del tipo "E allora voglio che i tuoi figli crescano nella merda", o cose così. Evidentemente, ho raccontato di un nervo molto scoperto.
Perché la scelta dei Puffi come protagonisti di questa storia di denuncia sociale?
Innanzitutto perché volevo raccontare di qualcosa in termini quanto più generali, e non necessariamente della mia città. E poi perché il luogo dove abitano i Puffi è quasi lo stereotipo della città perfetta, dove sono assenti problemi. E ancora, perché trovo molto buffo che queste persone che magari invitano ad ammazzare di botte i barboni poi nel loro spazio social personale postino anche foto di gattini o cose così. Tutto molto "puffoso", non credi?
A proposito sempre di Puffi e cultura pop: quanto i personaggi di fantasia della tua infanzia e giovinezza hanno influenzato la tua formazione di vita prima e professionale poi?
Questi personaggi mi hanno influenzato molto: il mio sistema di valori, per esempio, mi è stato dato da Ken il Guerriero! L'italiano l'ho imparato guardando i Cavalieri dello Zodiaco. Tutti questi personaggi, per me, sono reali, nel senso che hanno avuto conseguenze pratiche nella mia vita, quanto in quella di molte altre persone. Per esempio, non è che io un personaggio pubblico come Obama lo abbia mai "toccato con mano" o abbia avuto implicazioni tangibili nella mia vita.
Parliamo ora del famoso murales che hai realizzato presso la stazione della metropolitana di Rebibbia nel corso della scorsa edizione del festival della piccola e media editoria "Più libri, più liberi". Ci racconti la genesi di questa idea e cosa ha significato per te realizzare quest'opera? Cosa provi ogni volta che ci passi davanti?
Oramai quel murales porta solo dolore, sofferenza e frustrazione. Mi spiego meglio, è stato fatto con le migliori intenzioni: ho scelto di ritrarre il mammut perché per me è il simbolo in termini positivi del mio quartiere, mentre il carcere quello negativo. Confermo la presenza di tale reperto, anche se in realtà si tratta di un elefante antico. Però c'è, giuro. Non potevo immaginare le conseguenze che questa mia opera avrebbe poi generato.
Intanto, ha scatenato la "jihad dei writer": la realizzazione del murales era qualcosa di autorizzato e in realtà le cose autorizzate vanno contro il codice dei writer. Ma io non sono un writer, quello è un disegno che ho fatto con il pennello! Poi, ancora, c'è stato il discorso derivante dal fatto che la presenza del murales avrebbe potuto dar vita al processo di gentrificazione di Rebibbia: nel senso che, la presenza di tale opera avrebbe potuto accrescere il "valore" del mio quartiere, con conseguente arrivo di gente più ricca, aumento del costo della vita e conseguente esilio delle fasce più povere. Tutto questo discorso è un po' ridicolo, perchè a Rebibbia non abbiamo nemmeno un pub! Ho passato circa tre mesi a litigare con tante persone, che a volte nemmeno riuscivo a capire.
Veniamo al tuo prossimo libro: "L'elenco telefonico degli accolli", che uscirà il prossimo 2 ottobre per BAO Publishing. Questa sarà la seconda raccolta delle storie del tuo blog, dopo "Ogni maledetto lunedì (su due)", e conterrà una storia inedita "di raccordo", di circa 40 pagine. Cosa puoi raccontarci a riguardo? E cosa puoi dirci della copertina che ti vede a cavallo su un toro meccanico?
Allora, le storie del blog che saranno raccolte nel libro rimarranno in bianco e nero, come in originale, mentre la parte inedita avrà una variazione cromatica per distinguerla dalle prime. Su questo aspetto, ci sto ancora lavorando. La copertina ritrae ciò che faccio quotidianamente: io investo tutte le mie energie per rimanere in equilibrio e cercare di far quadrare tutti i pezzi della mia vita, professionale e non. Ti dico, è il primo pensiero che mi viene in mente la mattina: rimanere in equilibrio. Dunque, la copertina è una metafora di tutto questo.
Il tuo sodalizio con BAO Publishing continua a gonfie vele: come puoi definire questo rapporto lavorativo che ti lega alla casa editrice milanese?
Sono arrivato la prima volta in BAO come grande fan delle loro pubblicazioni: nel senso che tutta la roba che leggevo e mi piaceva veniva pubblicata da loro. In quel periodo è scoppiata la moda dei miei fumetti del blog e io avevo moltissime altre proposte, assieme a tante storie che volevo raccontare. L'approccio di tutte le altre case editrici è stato differente rispetto a quello di BAO, quasi mostruoso: in molti si sono avvicinati a me con poca umanità, con aggressività e prepotenza, mettendomi grande ansia addosso. Così ho realizzato quanto BAO sia tutta un'altra cosa.
In generale, al di là del fatto che con loro si lavora molto bene, io sono uno che ha delle esigenze editoriali particolari: mi piace lavorare soprattutto in bianco e nero, ma anche poter cambiare formato e stile della pagina. Loro mi danno la libertà di mettere in atto le mie idee, non c'è immobilismo con loro, e secondo me è proprio questo il valore aggiunto di questo rapporto. E poi, quando si va alle fiere, dopo aver lavorato, in BAO nessuno mi obbliga a recarmi alle feste o roba di questo tipo. Ci si va a mangiare una cosa assieme e poi tutti a dormire.
Arriviamo ora al tuo ultimo successo in ordine di tempo: "Dimentica il mio nome", opera che ha ricevuto grandi consensi in termini di critica e pubblico. Cosa pensi di tutto questo successo che ti è valso anche la candidatura al Premio Strega, dove ti sei classificato secondo fra i giovani? C'è qualcosa che rimpiangi o cambieresti nel racconto?
Di "Dimentica il mio nome" non cambierei nulla. Non perché ritengo sia un lavoro perfetto, ma perché questo rispecchia perfettamente i miei sentimenti, il mio modo di pensare, nel momento nel quale ci ho lavorato. In generale, i lavori del passato li lascio al loro posto, smettendo di pensarci. Ovviamente il successo derivante dall'uscita del libro mi ha gratificato. Ma devo anche ammettere che molte cose conseguenti a questo successo mi sono un po' aliene. Per esempio, ho trovato "buffa" la vicenda del Premio Strega, perché mi ha fatto strano che qualcuno abbia davvero pensato di candidare "Dimentica il mio nome". Certo, mia madre è stata felicissima, ma quel mondo è onestamente a me estraneo.
Guardando alla tua carriera, dagli esordi a oggi, come ti vedi proiettato nel futuro?
Non lo so, non so niente: ho il vuoto cosmico davanti. In generale, non vorrei mai cristallizzarmi su qualcosa, nel senso che voglio continuare a raccontare la mia vita come è adesso, senza ripercorrere tappe che sono già alle spalle. Questo è proprio quello che sto facendo attualmente con le storie del blog. Allo stesso tempo, mi sento incredibilmente nostalgico: ai tempi di "La Profezia dell'Armadillo", ero nostalgico di quando ero ragazzino, oggi sono nostalgico dei tempi nei quali lavoravo alla Profezia. Fa parte del mio modo di essere e di vivere, come se esistessi contestualmente nel presente e nel passato, però in quello che racconto voglio evolvermi, pur cercando di trasmettere sempre ciò che sento.
Un piccola curiosità cinematografica: immagino tu abbia visto Jurassic World e che ti sia piaciuto. Un tuo commento a riguardo?
In realtà avevo aspettative bassissime. Amo Jurassic Park, ma molto meno i suoi due sequel. Jurassic Park 3 mi fece proprio schifo. Con Jurassic World, inaspettatamente, mi sono divertito un sacco, non come per il primo, ma comunque questa visione ha spazzato via il ricordo pessimo dei due sequel. Non mi divertivo così tanto ad andare al cinema da secoli.
E, allora, dopo il libro sugli zombie, "Dodici", lo vedremo mai un libro di Zerocalcare con protagonisti i dinosauri?
Al momento, un libro di pura fiction come "Dodici" non rientra nei miei piani. Artisticamente, in questo momento, mi sento molto sincronizzato sul presente e sulla realtà.
Sempre parlando di Settima Arte, come attendi l'uscita di "Star Wars: Il Risveglio della Forza", dato che i personaggi di questo franchise cinematografico sono onnipresenti nella tua opera?
È davvero l'unico orizzonte che ho nella mia vita: il 16 dicembre 2015. Se domani mi venissero a dire che il film non esce più, io non avrei motivo di svegliarmi al mattino. Mi alzo pensando 'Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana..."
Grazie Zero per la tua disponibilità, alla prossima!
Ciao a tutti, e grazie a voi.