BAO Publishing: Iperurania - Intervista a Francesco Guarnaccia

Abbiamo intervistato per voi Francesco Guarnaccia, autore di Iperurania, graphic novel edita da BAO

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Nel corso dell’ultima edizione di Napoli Comicon abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Francesco Guarnaccia, autore della graphic novel Iperurania, edita da BAO Publishing.

Ringraziamo lo staff della casa editrice milanese per la disponibilità.

Ciao, Francesco! Benvenuto su BadComics.it.
Da cosa nasce l’idea che ha dato vita a "Iperurania"?

Iperurania, copertina di Francesco Guarnaccia

Alla base di un mio libro c’è, e credo ci sarà sempre, un bisogno quasi irrinunciabile: la pulsione di parlare di un argomento che mi sta a cuore. Questo è il momento iniziale di qualunque mia opera a fumetti, che sia un volume o una storia breve.

Nel caso di "Iperurania", tutto è nato dall’aver provato un sentimento, una sensazione che viene chiamata "sindrome dell’impostore", ovvero non riuscire a godersi un successo, non esserne pienamente felice perché in qualche modo pensi di non averlo meritato, soprattutto in relazione alle altre persone, pensando a quale impatto possa avere quel ritrovato benessere su chi ti circonda.

Personalmente l’ho provato in modo quasi passeggero e irrilevante, non ha avuto alcun tipo d’influenza sulla mia vita, ma allo stesso tempo l’ho trovata una cosa curiosa, e ho provato a esplorarla. Prima di tutto, l’ho ingigantita: cosa accadrebbe se per una persona diventasse qualcosa di davvero invalidante?

Per andare a contestualizzare il tutto, ho avuto un felice incontro con la fantascienza, che funzionava bene per raccontare la vicenda. È stato un incontro fortunato, che ha fatto poi proseguire il libro sulle sue gambe. Una volta impostata la metafora, fra quello che volevo raccontare e un setting di fantascienza, sapevo esattamente come far muovere situazioni e personaggi.

Da sempre, il genere fantascientifico è un modo per raccontare la nostra realtà. Nel tuo caso anche la fotografia collabora a esprimere qualcosa di fortemente reale.

Ci sono diversi temi più o meno fra le righe. Il tema della "sindrome dell’impostore" è lampante, con il protagonista che prova questa sensazione, e l’intero libro tratta della sua crescita rispetto a questo problema. Gli altri temi sono l’importanza dell’amicizia e il modo di gestire le relazioni più o meno strette che abbiamo, sia in situazioni negative sia nelle fasi positive della nostra vita. Diamo per scontato che quando va tutto bene sia così per davvero, mentre in realtà anche quando le cose sono OK stiamo mettendo in atto uno sforzo per renderle tali, per viverle in modo veramente rilassato.

Poi c’è il tema della fotografia, una riflessione sull’Arte intesa come atto creativo. La cosa che mi interessa come autore è il rapporto tra me, l’artista, e la mia creazione. Un rapporto super intimo, che deve essere sviscerato e capito. Spesso si è inconsapevoli durante questo processo, e bisogna rendersi conto che produrre determinate cose, soprattutto quando iniziano ad avere un riscontro positivo, è una responsabilità. Una delle cose che mi sono state dette e che mi hanno colpito di più, in quanto creativo, è che nel momento in cui hai un talento, non esercitarlo è praticamente un danno per le altre persone. Per questo cerco di vedere la cosa da diversi punti di vista. C’è una scena in cui due personaggi secondari parlano del protagonista. Uno dei due è molto scettico, si chiede che senso abbia seguirlo ora che è ricco e ha successo, o anche solo essere felice per lui. La risposta dell’altro è che se diventa ricco qualcuno di cui stimiamo l’arte, questi avrà più possibilità di creare e di farlo al meglio; quindi non capisce perché non dovrebbe esserne felice.

Uno dei motivi per cui ho scelto questo tipo di produzione artistica è che la fotografia implica il movimento. I fotografi sono artisti riflessivi, sicuramente non troppo atletici, lanciati in condizioni decisamente ostiche. Se ci pensi, nel caso del Fumetto, esistono veramente poche biografie di autori, perché si tratterebbe di inquadrature fisse di persone chine sul tavolo, nel loro studio, a lavorare.

Com'è andata la fase di creazione dell’immaginario?

Molto bene. La fase di creazione dell’universo, il cosiddetto worldbuilding, è la più divertente, perché senza freni a livello di immaginazione: puoi andare a ruota libera con la fantasia. Per disegnare l’immaginario di "Iperurania" non mi sono dato alcun limite, tranne il voler rappresentare un tipo di natura un po’ minacciosa, che inquieti perché sconosciuta. La tecnica che ho adottato è stata utilizzare una vegetazione che assomigli a dei tentacoli: una forma base che ho poi declinato in qualsiasi altro soggetto di questo tipo - come l’erba o gli alberi - l’elemento unitario che ho composto per creare tutta l’estetica di "Iperurania".

Iperurania, anteprima 01

La tua collaborazione con BAO Publishing è stata annunciata a Lucca Comics & Games 2016, mentre "Iperurania" è stato svelato l’anno successivo: come si è svolta la lavorazione?

È iniziata due anni fa. Per un anno, ho fatto un lavoro un po’ discontinuo, alternato ad altre cose (tipo, mi sono laureato). Era la prima volta che facevo un libro di così ampio respiro, e quel periodo di tempo ha rappresentato la prima fase, quella della scrittura.

Con “From Here to Eternity” (webcomic su Mammaiuto.it) avevo lavorato a capitoli e gestito la cosa in modo totalmente diverso, mentre in questo caso ho avuto bisogno di un paio di pause durante la lavorazione. Al termine della prima versione della storia ho perso un sacco di tempo a far quadrare tutto. Ci sono un paio di regole nel libro che spero non risultino pesanti per il lettore, e ci tenevo che fossero inattaccabili, senza falle logiche, quindi ho passato del tempo a limare il tutto. Poi, da febbraio dello scorso anno a qualche mese fa, c’è stata tutta la fase di realizzazione delle tavole, ed è stato abbastanza pesante come carico di lavoro.

Per un autore che viene dal Fumetto indipendente, dove la figura dell’editor è praticamente assente, cosa significa avere a che fare con questa figura professionale?

Ho lavorato a questo libro principalmente con Caterina [Marietti], con la supervisione di Michele [Foschini]. Ho avuto una fiducia spropositata da parte loro durante tutto il lavoro, e spero sia stata ben riposta! Il loro editing è stato lieve, ma perfettamente mirato. Mi hanno corretto un paio di cose che nel bilancio totale del libro sono piccole ma puntuali: interventi che solo una persona esterna potrebbe fare, perché quando lavori a un libro per così tanto tempo perdi ogni tipo di oggettività.

C’è qualcosa di cui vai particolarmente fiero riguardo il prodotto finito?

Sì! La resa dei colori. Per me era fondamentale la corrispondenza 1:1 tra il mio schermo e la carta. So che una cosa simile è un’utopia, e che ci sono persone molto più esperte di me che stanno ancora cercando di ottenerla, ma per i miei standard ci siamo. Tutto ciò deriva da tanti fattori: avendoci pensato spesso, ho avuto modo di lavorare a priori nel modo giusto. Ho chiesto un colloquio con il grafico di BAO Publishing per avere i profili colore e impostare il lavoro al meglio. E questa è la piccola parte di merito che mi prendo io.

La parte di merito gigante, invece, va ai tipografi di Peruzzo Industrie Grafiche, che sono stati dei veri maestri, avendo fatto un lavoro incredibile. Quando ho visto il primo sedicesimo di stampa c’è stata una gag: Io ero lì per dare - almeno teoricamente - delle indicazioni. Ho visto il foglio, e la prima cosa che ho pensato è stata: “Ca**o, è perfetto! E ora cosa gli dico?”. Sono stato lì per un po’, finché Leonardo Favia, che era con me, mi ha detto che potevo anche non dire nulla e non fare correzioni! Mi sono sentito sollevato e ho dato il “si stampi”. Quindi, sì, in generale la stampa e tutta la resa cartotecnica mi hanno fatto particolarmente contento, perché lavorando completamente in digitale fino all’ultimo non hai un’impressione precisa della resa.

Francesco Guarnaccia

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