BAO Publishing: intervista ad AlbHey Longo, autore di Sfera

Nel corso di Cartoomics 2019, abbiamo intervistato per voi AlbHey Longo, autore di Sfera

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


Condividi

A Cartoomics 2019 abbiamo avuto il piacere di incontrare un autore emergente del Fumetto italiano: AlbHey Longo. Dopo l'esordio con La quarta variazione (2016), il fumettista torinese è pronto a tornare con la sua nuova graphic novel, Sfera, in uscita il prossimo 21 marzo sempre per BAO Publishing. Nel suo ultimo fumetto, Longo ha unito temi generazionali e supereroistici, offrendo al contempo una sentita riflessione sull'Arte.

Ringraziamo Daniela Mazza e Chiara Calderone per la disponibilità.

Ciao, AlbHey, e benvenuto su BadComics.it!
Una delle peculiarità della tua nuova graphic novel è la capacità di saper variare il registro stilistico trasformandosi da romanzo generazionale – in continuità con quanto letto su “La quarta variazione” – a fumetto supereroistico che non rinuncia a lanciarsi in una riflessione sulle relazioni interpersonali e sul mondo dell’Arte contemporanea. Come nasce l’idea portante di un’opera così articolata come “Sfera”?

Ciao a tutti e grazie! Quando ho iniziato a lavorare a “Sfera”, avevo ben chiare due cose: la prima era quella di voler realizzare un fumetto che non ripresentasse la stessa atmosfera reale di “La quarta variazione”. Mi sono detto di inserire qualche elemento paranormale, e nel campo del Fumetto questa componente è offerta dai super poteri. A questo punto, però, ho pensato di voler creare un personaggio che, seppur in possesso di poteri speciali, non fosse un eroe.

Di base, volevo descrivere alcune dinamiche che si creano tra le persone. Nel caso specifico di Damiano e Chiara, volevo parlare dell’egoismo buono che spesso nasce tra due individui, tipo “io aiuto te, ma per avere una soddisfazione mia”. Ovviamente, non potevo non trattare temi che sento miei.

Citando i tuoi personaggi, sei stato più Damiano o più Chiara nell’approccio al tuo lavoro?

Le prime pagine di “Sfera” erano già pronte quando ho terminato “La quarta variazione”. Il personaggio di Damiano era già ben chiaro nella mia testa, e non ti nascondo che, nella fase iniziale di lavorazione, io mi sentivo molto Damiano. Se Marco (protagonista della precedente graphic novel) era un me più giovane alle prese con le piccole e grandi scelte di quell’età, Damiano incarnava molto lo spirito della mia fase attuale. Man mano che procedevo nella scrittura, però, mi sono reso conto che le mie posizioni erano più vicine a quella di Chiara, così come mi hanno fatto notare alcuni amici che hanno letto in anteprima il volume.

In realtà, ho provato a non immedesimarmi in nessuno dei due, affrontando in maniera molto tranquilla questo lavoro. Dopo aver pubblicato la mia prima opera con BAO Publishing, mi sono preso tutto il tempo necessario per rendere reali e vivi questi due personaggi, godendomi questa fase. Nel frattempo, però, ho portato avanti la mia attività anche con altri progetti indipendenti, più che altro racconti brevi.

Quando un autore proietta tanto di se stesso nei propri personaggi, può nascere il dubbio di diventare troppo autoreferenziale?

Ti dico no, non sorge questo dubbio. Sia perché, qualora succeda, è qualcosa di spontaneo di cui non mi rendo conto, sia perché, quando racconto le mie storie, cerco sempre di trattare argomenti che conosco. Ci metto tanto di mio, è vero, ma sfrutto tutto il tempo a mia disposizione per informarmi sulle persone con le quali posso parlare di più e per cercare di unire il loro vissuto al mio. Lavoro tanto sui miei personaggi affinché appaiano veri, e per fare questo parto da una base, che è quello che conosco io, e, poi, ci aggiungo quello che mi circonda.

L’essermi preso tanto tempo per pensare alla storia ha fatto sì che Damiano e Chiara a un certo punto abbiano preso vita. Ho realizzato lo storyboard fino a metà libro. Poi sono stato costretto ad avanzare cinque pagine alla volta, perché i personaggi andavano avanti da soli e spesso compiono azioni che non sono quelle che avrei fatto io. Quest’aspetto è quello che, a posteriori, mi dà più soddisfazione e spero che alla fine emerga e piaccia ai lettori.

[gallery type="thumbnails" columns="2" size="large" ids="238187,238188"]

La cura nei personaggi fa il paio con la voglia di osare nella costruzione di “Sfera”, opera più articolata rispetto alla precedente. Cos’è cambiato dentro te, tanto da portarti a questa maggiore consapevolezza e, quindi, a questa nuova prova?La tranquillità, senza dubbio la tranquillità che mi porta a vivere anche questo Cartoomics con maggior serenità. Quando hai ventuno anni e conosci dal vivo Zerocalcare e i ragazzi di BAO che ti propongono di realizzare un fumetto con loro, sei molto più sotto pressione, vivi tutto con tanta ansia. Senza contare, ovviamente, il confronto con i miei maestri o gli autori che amo. Questa volta, invece, mi sono staccato da tutto e ho realizzato un qualcosa che è esattamente ciò che volevo. Sono soddisfatto e aspetto solo di sapere cosa ne pensino gli altri. Mi sono ripromesso di osare e sono andato avanti nel mio racconto libero da ogni paura.

Nel finale, presenti diverse posizioni critiche sull’Arte contemporanea. Tra queste possiamo rintracciare anche la tua personale oppure no?

Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, ho visitato molti musei e mi piace come forma espressiva. Ho voluto inserire elementi riconducibili al mondo dell’Arte ma declinati secondo una concezione tutta mia. Prendi l’agente di Damiano e Chiara, che ho voluto strutturare in maniera diametralmente opposta rispetto a quella del manager squalo.

In generale, non ho ancora un’idea ben precisa sull’Arte contemporanea. Molto spesso vedo opere che sono più dei veri e propri oggetti di design, ed è difficile ritrovare elementi artistici, argomentazioni che reggano. Però sono un grande amante della Young British Artist. Damien Hirst su tutti.

[gallery type="thumbnails" size="large" columns="2" ids="239319,239320"]

Sfogliano “Sfera” si nota un cambiamento lampante nella componente artistica, emerso già nella tua collaborazione con Capitan Artiglio e Oscarito, “Sappy”: l’utilizzo del colore.

Una delle cose che volevo assolutamente fare era proprio utilizzare il colore nelle mie tavole, un passo importante e che sentivo di dover fare. A me piace tanto Daniel Clowes, la sua maniera di utilizzare i colori: sono colori piatti ma mi fa impazzire la maniera in cui li sfrutta. Io ho voluto fare qualcosa di simile, con una palette realistica.

“Sappy” è stata l’occasione di occuparmi dei colori, e in quel caso ho avuto modo di sperimentare ulteriormente, insieme alla storia breve realizzata per “Melagrana”, pubblicato da Attaccapanni Press. Sono state delle palestre importanti che hanno permesso al mio improvviso innamoramento per il colore di crescere. In fondo, se ci pensi, non è una colorazione che ti aspetteresti da chi, come me, ha uno stile di disegno cartoony.

Se scomponiamo il Fumetto nelle sue tre parti - testi, disegni, colori - in che ambito credi di poter sperimentare di più?

Indubbiamente nei testi, in quanto ci sono degli argomenti che vorrei assolutamente trattare. Se ne “La quarta variazione” parlavo di amicizia, gruppo, appartenenza e in “Sfera” parlo di rapporti, in futuro sicuramente voglio parlare d’amore. Ma allo stesso tempo vorrei fare qualcosa di action, e soddisfare quella mia passione per manga come “Akira”. Vorrei spostarmi da quelle parti, ma è ancora tutto in fase embrionale.

Sì, credo che principalmente voglio imparare a sviluppare una sensibilità maggiore verso temi che poi voglio inserire nelle mie storie. Come disegnatore, credo di mantenere invariate alcune peculiarità, come le braccia lunghe attaccate al corpo o gli occhi a puntino, e non voglio cambiare troppo. Di certo voglio migliore nella prospettiva, nell’anatomia, nell’espressione dei volti. Per i colori, vediamo. Ho da poco comprato una Cintiq e non so ancora dove posso arrivare! [Ride]

[gallery type="thumbnails" columns="2" size="large" ids="239321,239322"]

Prima dell’uscita del fumetto, hai condiviso una playlist realizzata su Spotify. Come nasce quest’idea?

È una figata pensare di poter realizzare una colonna sonora per un fumetto. Non è necessario ascoltarla mentre lo leggi, ma per me era importante ricreare il mood dell’intera opera. Magari, pensavo, dopo aver finito il libro puoi ascoltarla e rivivere le stesse emozioni provate durante la lettura. Capisci di più quello che volevo esprimere in determinati passaggi di “Sfera”.

È anche un modo per trasmettere tutto il carico emotivo della tua opera?

In realtà, no. Non vuole essere un eccesso di sicurezza, ma credo che il fumetto da solo basti a esprimere tutto ciò che volevo. “Sfera” è esattamente come volevo che fosse e se non dovesse arrivare al lettore così come l’ho concepito, la colpa sarebbe solo mia. Fare qualcosa in più, come una playlist, è semplicemente figo. Ecco perché ho voluto farlo! [Ride] Sono strumenti messi a disposizione gratis che ho voluto sfruttare. Mi ripetevo: perché non sfruttarla? Perché non fare una cosa in più? Sono tanti i film che amo e di cui mi vado a risentire le colonne sonore proprio per rivivere alcuni passaggi…

Pasquale Gennarelli e AlbHey Longo

Continua a leggere su BadTaste