BAO Publishing: intervista a Rita Petruccioli, autrice di Ti chiamo domani

Rita Petruccioli ci parla di Ti chiamo domani, la sua prima graphic novel edita da BAO Publishing

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All'ultima edizione di ARF!, grazie a BAO Publishing abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Rita Petruccioli, fumettista che alla fiera romana presentava Ti chiamo domani, la sua prima graphic novel realizzata come autrice completa, dopo aver firmato i disegni di Frantumi su testi di Giovanni Masi.

Vi ricordiamo che nella giornata di ieri è stato annunciato il tour di presentazioni con la fumettista, che farà tappa nelle città di Santa Severa, Roma, Milano, Bologna e Firenze.

Ciao, Rita! Benvenuta su BadComics.it.
Come nasce l’idea dietro a “Ti chiamo domani”?

Ti chiamo domani, copertina di Rita Petruccioli

Innanzitutto, nasce da una mia esigenza: la volontà di provare a essere un’autrice unica. Non mi sentivo pronta all’epoca di “Frantumi”, ma il bel lavoro fatto con Giovanni [Masi] mi ha fatto imparare molto, facendomi sentire libera di provare a ritmare da sola la scrittura e i disegni.

In principio, “Ti chiamo domani” era un racconto scritto senza l’intenzione di farne un fumetto. Si intitolava “Gli anni”. In seguito ho capito che sarebbe potuto diventare qualcos’altro. È nato come la rivisitazione di un momento della mia vita. Ero una ragazza di ventidue anni, e - contrariamente a quel che pensavo ai tempi dell’Accademia di Belle Arti, quando credevo che sarei diventata un’artista concettuale - ho capito che avrei voluto raccontare storie e fare l’illustratrice. Un momento molto importante, coinciso con il mio Erasmus a Tolosa, come nel caso di Chiara [la protagonista del volume - NdR]. Anch’io, come lei, sono tornata in Italia al fianco di un camionista. Questo aneddoto è qualcosa che abitualmente racconto agli amici, ma effettivamente è direttamente connesso al momento particolare che stavo vivendo.

La storia nasce dalle esperienze che ho vissuto in prima persona, ma il fumetto è pura fiction, ovviamente, e i personaggi sono di fantasia. Daniele è la summa di tante persone con cui mi è capitato di parlare nel corso di qualche viaggio - come Chiara, anche io sono una chiacchierona! - e incarna un po’ il tipo di situazione in cui scopri che con una persona sconosciuta puoi raccontare tanto di te stesso, senza pregiudizi e preconcetti. Sai che non lo rivedrai mai più, e di conseguenza puoi mostrargli delle cose personali che ad altri non sveleresti.

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All’inizio della storia chi sono i due protagonisti?

Come dicevo, Chiara è una ragazza di ventidue anni che si trova in quel momento della vita in cui non ti senti né carne, né pesce: non sei più un adolescente, sei praticamente un potenziale allo stato puro ma non sei ancora adulto, quindi non sai in quale direzione potrà andare la tua vita, i tuoi studi e il tuo lavoro. Vivi le prime esperienze sentimentali legate alla vita adulta, non a quella infantile.

Daniele, invece, è un personaggio che ho delineato come oscuro: è un camionista che fa il suo lavoro, stop. Di punto in bianco, si ritrova a prendere a bordo Chiara, dopo che lei gli ha chiesto un passaggio.

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Com’è stata la tua prima esperienza da autrice completa?

Ogni cosa è cambiata tantissimo rispetto a “Frantumi”. Innanzitutto, in quel caso il dialogo tra me e Giovanni è stato basilare: lui scriveva le inquadrature e poi discutevamo se confermare o cambiare i contenuti.

Ti chiamo domani, il tour

Con “Ti chiamo domani”, invece, è partito tutto dall’intimità: un dialogo profondo con me stessa durato diversi mesi, tutto fondato su una scaletta concordata con l’editore. A tal proposito, ho lavorato con Caterina Marietti, la mia editor. Con lei ho instaurato un dialogo bellissimo. Una volta che siamo state realmente sicure riguardo la scaletta, lei mi ha lasciata libera, seguendomi nelle varie fasi di lavorazione e capendo che quello di cui avevo bisogno era non sentirmi sola. BAO non mi ha mai lasciata sola durante la lavorazione.

Inoltre, ho scelto di parlare di questo progetto a pochissimi colleghi, mentre durante la lavorazione di “Frantumi” ho chiesto pareri sugli storyboard e su tanto altro. Ho ridotto al minimo le persone da coinvolgere, perché volevo fosse qualcosa di mio al cento percento. Con quelle poche persone ho instaurato un dialogo sulle tematiche: adolescenza, crescita, il rapporto con Daniele, il dialogo tra maschile femminile e le droghe. Per documentarmi, mi sono avvalsa di interviste a persone informate sui vari argomenti, sbobinando le varie dichiarazioni.

Certo, non ho mai scritto una sceneggiatura ufficiale, come nel caso di “Frantumi”, ma ogni porzione di testo si basava sulla scena che stavo raccontando in quel momento. Scrivevo i dialoghi e disegnavo scena per scena: prima il testo e poi i disegni, che calibravo a seconda delle esigenze. La scena dura sette pagine? Bene, costruisco un dialogo, imposto la gabbia della tavola e lo inserisco, per poi costruire le vignette. A seconda del loro numero, calibravo il voltapagina, ovvero dove far succedere qualcosa di importante che facesse venire voglia al lettore di andare alla pagina successiva.

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Visto che si tratta della storia di un viaggio in camion, un contesto decisamente limitato, come hai gestito il ritmo della narrazione?

Ho risolto tramite l’utilizzo dei flashback, dando forma ai racconti dei personaggi sui loro trascorsi. Con questo escamotage ho risolto il problema di doverli sempre disegnare all’interno del camion. Anche il paesaggio che attraversano ha un ruolo fondamentale nel libro: lo percorrono vedendolo dal finestrino, dalla Francia al Lazio passando per la Liguria. Gli scenari hanno un ruolo fondamentale: sottolineano i loro stati emotivi e accompagnano la sensazione di ritorno a casa, aiutando a staccare dalla claustrofobia derivante dall’essere sempre nell’abitacolo.

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Ogni piano temporale ha un proprio colore: come hai impostato lo studio cromatico in funzione della narrazione?

La scelta dei colori è stata fatta in un modo particolare: mentre per quanto riguarda “Frantumi” conoscevo i toni, le palette su cui era costruito - rosso, giallo, blu, e azzurrino/grigio - per “Ti chiamo domani” non ho immaginato il colore. Quello che è successo è che, avendo diverse linee temporali presenti e passate, ho iniziato a realizzare gli storyboard dando un colore diverso alle pagine per distinguerle tra presente e passato: azzurro per il primo e giallo per il secondo. Questa distinzione mi ha aiutata a tener d’occhio il salto temporale.

Finito lo storyboard, ho iniziato a lavorare ai definitivi: ero in difficoltà perché non capivo quale colore potesse essere adatto alla realtà, quindi ho dovuto lavorare molto per capire come creare la palette rispettando i colori “segnaposto” che avevo scelto. In questo modo è nata una palette molto tenue e decisamente poco squillante, che rispetta la volontà di sottolineare il passaggio del tempo e gli stati emotivi dei personaggi,

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Come descriveresti “Ti chiamo domani” in poche parole?

Ci ho pensato tantissime volte mentre lo stavo disegnando, e ancora oggi non mi sento pronta a dare una risposta. Il libro è un viaggio dalla Francia all’Italia e racconta la scoperta della propria identità tramite il confronto con il prossimo e con ciò che ci circonda.

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Progetti per l’immediato futuro?

Per ora i fumetti sono in pausa: mentre realizzavo questo libro non ho preso altri impegni. Ora voglio capire come muovermi, ma sicuramente in futuro ci saranno altri fumetti. Devo fare ancora una volta i conti con me stessa e digerire tutto quanto.

Non è detto che lavorerò di nuovo da sola, però. Nel caso di “Ti chiamo domani” volevo raccontare questa storia, e per due anni è stato bello tenerla con me, viaggiando con Chiara e Daniele. Magari in futuro avrò voglia di lavorare di nuovo in tandem con altre persone. Nel frattempo, è in lavorazione il secondo libro di “Matita HB”, con Susanna Mattiangeli.

Mirko Tommasino e Rita Petruccioli ad ARF! 2019

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