Babyteeth, Shannon Murphy ci parla della creazione del film e delle difficoltà di essere una regista donna
Shannon Murphy, regista di Babyteeth, svela nella nostra intervista come ha lavorato con il cast e la sceneggiatrice del film e le difficoltà vissute nel mondo dello spettacolo
La regista Shannon Murphy, in occasione dell'anteprima mondiale avvenuta quasi due anni fa, ha risposto ad alcune nostre domande relative alla realizzazione del film (per chi non lo avesse ancora visto e non volesse anticipazioni segnaliamo la presenza di alcuni spoiler) e della sua esperienza nel mondo del cinema e della televisione.
Avrei voluto provare con loro a lungo, ma non avevo il tempo. Ho avuto poco più di una settimana, quindi circa cinque giorni con Eliza, tre con Toby e due con entrambi insieme. Non era molto. Grazie alla mia esperienza a teatro posso muovermi piuttosto in fretta e forse perché questo sentivo il bisogno di passare al cinema perché pensavo 'Devo fare più in fretta!'. Ho apprezzato poter lavorare con ritmi più serrati. Abbiamo trascorso molto tempo insieme e abbiamo creato una dinamica famigliare piuttosto velocemente, ma naturalmente sul set accade comunque trascorrendo molto tempo insieme. Abbiamo parlato molto delle scene più difficili, ci abbiamo riflettuto insieme. Conoscevo già più o meno tutti i membri del cast e i loro lavori precedenti, quindi sapevo che tipo di performance avrebbero fatto e quali sarebbero stati i loro bisogni e questo ha aiutato molto.
Ti hanno proposto di dirigere questo film, perché i produttori hanno pensato a te?
Me lo chiedono sempre, ma la verità è che non lo so! Sono decisamente una regista che punta sui suoi attori, tutti i miei lavori teatrali sono sempre stati focalizzati sulle performance, amo gli interpreti, amo lavorare con loro, li spingo davvero oltre i loro limiti e spesso pretendo una grande espressività e che pensino fuori dagli schemi. Non sono interessata a vedere personaggi e performance già viste, voglio qualcosa che non ho mai visto prima. Per questo voglio collaborare con chi non ha paura. Potremmo usare quel materiale oppure no, ma non devono temere di sperimentare. Detesto anche la vanità perché richiede troppo tempo e non mi interessa... Alex White e Jan Chapman probabilmente hanno seguito il mio lavoro a teatro, e poi ho realizzato alcuni cortometraggi che hanno permesso di far notare il mio potenziale. Penso sia stato comunque un po' rischioso, ma mi ero fatta conoscere.
In che modo vi siete avvicinati alla rappresentazione del corpo maschile per quanto riguarda le scene con Toby?
Penso che provare la sensazione di innamorarsi per la prima volta per una giovane donna sia qualcosa di elettrizzante e ossessivo, si tratta dello sguardo femminile e volevo esplorare il corpo di Moses in ogni modo che potevo, perché era quello che stava osservando Milla e che la eccitava. È stato davvero divertente perché io e il direttore della fotografia, abbiamo immediatamente provato la sensazione che fosse l'approccio giusto, non abbiamo nemmeno mai parlato di come mostrare il corpo di Toby. Abbiamo intelligentemente messo molte caratteristiche che definivano il personaggio: il suo taglio di capelli, i tatuaggi, cose che per Milla erano quasi di un altro mondo, così quando puntavamo l'attenzione su questi elementi si poteva capire realmente la sua scoperta. Sono davvero interessata allo sguardo femminile, è qualcosa che mi entusiasma perché vorrei vedere esplorare sul grande schermo il corpo maschile come avviene con quello femminile innumerevoli volte. E non posso evitare di avere uno sguardo femminile perché non sono mai stata un uomo!
In passato ci sono stati molti film con al centro dei teenager alle prese con una malattia, come avete trovato un tono e un'atmosfera originali?
Il tono penso sia davvero legato a quello di Rita Kalnejais e al mio, entrambe amiamo l'umorismo un po' dark, andare contro le aspettative e tutte e due ci circondiamo di persone davvero uniche e interessanti nella nostra vita. Per noi questi personaggi sono davvero naturali, sono certa che tutti abbiano dei rapporti complicati con alcuni membri della propria famiglia e Milla non ha paura di far emergere i problemi. I film per alcuni sono un modo per evadere, vivere qualcosa di più romantico, qualcosa di semplice da vedere per rilassarsi, ma sono più interessata nel mettere costantemente il pubblico alla prova, lasciarlo in sospeso senza sapere cosa accadrà, sorprenderlo. Sono quelli i film che amo vedere e penso che se si vuole ottenere una reazione emotiva è meglio aver lavorato molto per arrivare a quel momento, non dovrebbe essere costruito facilmente.
Il film si avvicina al tema mostrando una reazione da parte della protagonista all'insegna della scelta di affrontare apertamente la sua battaglia, indossare parrucche ipercolorate, ribellandosi persino ai suoi genitori. Come avete compiuto queste scelte?
Penso sia interessante che quando le persone stanno affrontando una crisi esistenziale vedono automaticamente il mondo in modo diverso e spesso è come se si stesse funzionando su una frequenza diversa e quindi tutto diventa più vivido rispetto al passato.
Le nuove generazioni sono poi più colorate, non hanno paura di essere coraggiose nel modo in cui si vestono, sperimentano molto, non è sempre così, ma sono cresciuta a Hong Kong che è una città "neon", quindi sono attirata naturalmente verso il colore, lo amo, ho pensato che fosse un modo chiaro per indicare come si sta espandendo Milla come personaggio, inizia a uscire dal suo guscio, vestirsi in modo più colorato, fare più esperienze e il mondo sta diventando più colorato per lei perché sta fuggendo da quella scatola di vetro in cui è intrappolata con i suoi genitori.
Babyteeth affronta anche il tema delle dipendenze, come avete sviluppato quell'elemento narrativo?
Rita ha fatto molte ricerche quando ha scritto la sceneggiatura e ho lavorato con uno psicologo esperto in problemi di droga e alcol e un'organizzazione che si occupa di malati di cancro a Sydney. Hanno letto lo script e hanno pensato che fossero dei ritratti molto onesti della dipendenza e di persone molto giovani alle prese con la malattia. Mi hanno costantemente detto 'Sì, questo è quello che vogliamo vedere perché così spesso è glorificato, o demonizzato, trattato con troppa riverenza o in modo morboso'. Sono stata felice di ricevere informazioni in modo costante che sono state utili e rendermi conto che eravamo lungo il sentiero giusto.
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Tutto era già presente nel copione, ma il mio obiettivo come regista è di far sembrare tutto naturale e improvvisato. Alle volte penso di enfatizzare proprio questo: ad esempio nella penultima scena quando Anna esce e inizia a urlare contro Moses. Molte delle riprese sono state effettuate con una telecamera sola, in questo caso erano due. Io avevo una nel salotto e una nella camera di Milla, spazi che erano collegati proprio come vedete nel film. Non avevo permesso a nessuno di vedere Eliza per tutto il giorno e poi abbiamo girato la scena con i due genitori in contemporanea, gli interpreti di Anna e Henry potevano sentirsi a vicenda. Quello che vedete quando i genitori scoprono la figlia è il primo ciak che abbiamo realizzato.
Il film sfiora argomenti anche molto delicati come l'eutanasia e le dipendenze, hai apprezzato il modo in cui la sceneggiatura affronta queste discussioni così rilevanti?
Penso definitivamente che le persone debbano poter scegliere come morire. Al 100%! Quello che penso sia fantastico della sceneggiatura di Rita è che ha ideato una storia in cui ognuno dei personaggi sta abusando di qualcosa, la verità è che nella società sta accadendo proprio questo e conosciamo persone che abusano di medicinali, di alcol, di altre sostanze. E inoltre amo il fatto che non si giudica nessuno perché ci sono dei motivi complessi che portano le persone a comportarsi così e non è mai solo una questione di droghe o altro, ma delle ragioni che sono alla base di quelle dipendenze. Amo che con questi personaggi si sia obbligati a riflettere su questo aspetto.
I protagonisti compiono degli importanti cambiamenti dopo che creano dei legami e si confrontono in modo aperto. Perché avete puntato l'attenzione sull'importanza della verità, per quanto possa essere dolorosa?
Penso sia un messaggio grandioso da portare con sé è che ci si può nascondere dietro il velo rappresentato da ciò di cui si sta abusando per un determinato periodo e se non smetti continuerà a tormentarti, ma se smetti inizi a vivere maggiormente nel presente la tua vita è diversa, ed è quello che Milla sta chiedendo di fare a tutti. In quel momento importante in cui lei chiede 'Perché state mentendomi? Perché dovete agire così? Non ho bisogno che vi comportiate in questo modo' sta obbligandoli a vedere la verità e smettere di fingere.
Nel film si assiste più volte alla rottura della quarta parete, perché questa scelta?
È stata una mia idea. Insieme a Rita abbiamo parlato di come realizzare questo approccio e ho detto 'Penso davvero di voler mostrare Milla guardare dritta in camera, in particolare quando ha questi momenti in cui è entusiasta perché ha baciato Moses o accade qualcosa di inaspettato'. Poi la situazione cambia e diventa più in stile 'Avete visto? Vi rendete conto della mia situazione? Sto lottando'. E ho voluto mettere anche i titoli dei vari segmenti che erano già presenti nello spettacolo teatrale e ho usato la musica interrompendola, creando questi momenti di rottura. Rita mi ha risposto che le ricordava uno dei suoi film preferiti, Le onde del destino. Poi quando ho rivisto il film mi sono resa conto che ci sono degli elementi simili, ma quello che ho apprezzato è che anche in quel film ti concentri molto sui personaggi e l'epilogo ha un impatto molto forte, giustificato. Mi ha aiutato a ricordare che il risultato finale emotivo può essere forte anche quando si è maggiormente in contrasto con quello che abitualmente propone Hollywood. Ho pensato inoltre che fosse qualcosa in linea con l'energia di Milla e la sua giovinezza, riflettendo quanto velocemente si stia muovendo, obbligando a non pensare al tempo in modo lineare perché ogni capitolo potrebbe essere una settimana, un mese, un giorno.
Hai avuto modo di lavorare con star di grande esperienza come Ben Mendelsohn ed Essie Davis, c'è stata una lezione che hai appreso da questa esperienza?
Penso di aver imparato che voglio diventare una filmmaker e amo fare film. Credo che non lo si sappia quando si realizza il proprio primo lungometraggio e trascorrere un intero anno semplicemente pensando e lavorando a un unico progetto è stato davvero soddisfacente. Sono degli attori straordinari e mi hanno portata a pensare che voglio circondarmi di persone eccellenti come loro.
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Eliza Scanlen è un giovanissimo talento, in che modo avete collaborato dentro e fuori dal set?
Penso che l'aspetto meraviglioso del poter lavorare con Toby ed Eliza sia stato che siamo diventati molto amici e ogni volta in cui uno di noi aveva bisogno di aiuto potevamo chiedere una mano. Ci ascoltavamo a vicenda, eravamo sempre presenti chiedevamo 'Di cosa hai bisogno? Potremmo provare questo?'. Si è trattata di una situazione all'insegna dell'onestà e dell'apertura. Al tempo stesso sono due interpreti molto diversi. Eliza è davvero intellettuale, si prepara molto, scrive tanto sul personaggio, ci pensa a lungo, ha studiato il violino... Toby si prepara anche lui molto, ma è davvero istintivo. Quando gira una scena è talmente coinvolto che non si rende nemmeno conto di quello che sta facendo, si immerge totalmente nel personaggio e nel momento. Mi hanno proposto cose diverse ed è la mia responsabilità aiutarli e dire se qualcosa non funziona. Gli attori sono intelligenti e possono capire insieme a te cosa non va come dovrebbe. Se chiedi alle persone di aprirsi ed essere vulnerabili si deve essere disposti a fare altrettanto.
Nel corso della tua esperienza come regista hai fatto i conti con qualche aspettativa o discriminazione legata al fatto che sei una donna?
La verità è che si realizzerà sempre delle opere che riflettono te stessa, la tua visione del mondo, la tua personalità e io sono quello che sono! Non so che tipo di film il mondo si aspetti che faccia ma sempre, anche a teatro, c'è qualcuno che ha aspettative diverse. Quando ho iniziato a lavorare come regista nel mondo del teatro mi dicevano spesso 'oh, ma tu sei la nuova, giovane regista donna quindi fai le nuove opere eccentriche'. E io reagivo pensando 'Cosa?!?'. E non puoi realizzare i grandi classici, ma quello che non dicevano è che quelli sono riservati agli uomini e hanno cast più numerosi e importanti, un budget più alto. La cosa complicata è che questo tipo di conversazione, queste situazioni in modo sottile ti ostacolano nel realizzare il tuo vero potenziale e avere le stesse opportunità rispetto agli uomini. Tutto questo sta cambiando. Quando ho iniziato a studiare teatro era un periodo davvero diverso rispetto a ora.
Ci sono state molte polemiche causate dal fatto che ci fossero solo due film diretti da donne alla Mostra del Cinema, di cui uno è stato Babyteeth, in che modo hai reagito alla situazione?
Penso che la cosa complicata è che devi lavorare molto più duramente per avere le opportunità rispetto agli uomini, ma il problema più grande è che non ti è permesso fallire. Molte delle donne che lavorano a teatro se realizzano uno o due progetti che ricevono delle recensioni poco entusiastiche, nonostante siano opere coraggiose e originali, e ricevono un'accoglienza poco positiva dalla critica non lavorano più. Gli uomini nella stessa situazione continuano ad avere sempre più opportunità, è qualcosa di irrilevante. Con loro è 'Non importa, state sperimentando!' con le donne 'No, tu sei fuori dai giochi!'. Questo è un punto su cui bisogna approfondire le conversazioni. Non mi importa essere una delle due donne in concorso a Venezia, voglio parlare maggiormente di ciò che sta accadendo di sbagliato e come si può cambiare questo tipo di dialogo. In Australia sembra che le donne lavorino di più e in generale è una situazione davvero positiva. Tutti, anche gli uomini con cui ho lavorato, sono pieni di entusiasmo. Alcuni registi uomini ora dicono 'È così difficile essere un uomo in questo periodo', ma vorrei rispondere 'No, stai semplicemente vivendo quello che ho dovuto affrontare durante tutta la mia carriera!'. Sono però così entusiasta di andare oltre i confini, non solo per quanto riguarda le donne. In Australia, ad esempio, non si realizzavano mai storie su cittadini di origine asiatiche e ho appena girato un progetto che parla di persone di origini irachene e per me, essendo cresciuta a Hong Kong e Singapore dove ci sono così tante origini razziali nello stesso posto, è così frustrante perché si vedevano solo persone bianche sullo schermo in Australia. Questo sta cambiando e sta rendendo la televisione e il cinema nella mia nazione molto più interessanti e sta diventando più globale e penso sia così perché poniamo così tanta attenzione sulla diversità, riflettendo la realtà del mondo.
Che tipo di cambiamento vorresti vedere?
Penso che si dovrebbe andare avanti. Le domande dovrebbero essere 'Come è la situazione nella tua nazione?'. Dovrebbe esserci uno scambio di informazioni, capire come imparare dalle varie realtà. Non è interessante che sia una delle due donne in concorso. Ciò che lo è veramente è che sono una regista all'esordio, è la prima volta che scrivo una sceneggiatura, il mio esordio come produttrice e sono in concorso al festival. Quello dovrebbe essere nei titoli, non il fatto che sia nata donna! Se fossi un uomo nessuno ci farebbe caso.
C'è stata qualche esperienza legata a queste differenze che ha lasciato in qualche modo il segno sul tuo percorso?
Durante il mio primo anno all'accademia d'arte drammatica ho ricevuto una nomination per un mio progetto e l'anno successivo tutte le persone del mio anno che avevano lavorato nello stesso teatro hanno ottenuto dei lavori più importanti e io ho avuto sempre lo stesso incarico, ma io ero stata nominata e loro no. Quello è stato il primo segno che c'era qualcosa di sbagliato, mi ha fatto impazzire. Mi chiedevo in modo ossessivo 'Perché è accaduto? È a causa della mia personalità?'. Non riuscivo a capire i motivi. Sto parlando di uomini di grande talento, ma loro erano sempre geniali, io ero "Shannon la grande lavoratrice'. Non ho affatto bisogno di essere definita geniale, ma perché deve esserci una tale differenza? Sto ancora cercando di capire perché ed è per questo motivo che la conversazione dovrebbe ritornare a concentrarsi sugli uomini. Bisognerebbe chiedere ai registi uomini perché pensano ci sia questa differenza e farli parlare di questi argomenti.
Stai già progettando il suo prossimo film?
Rivedendo il film mi sono resa conto che è proprio quello che voglio fare, sono entusiasta all'idea di lavorare per la tv, sentendo la reazione del pubblico in sala mi è venuta un'incredibile voglia di girare un secondo lungometraggio e vorrei farlo ora! Ma non ho nulla in mano e non scrivo, quindi deve essermi proposto. Rispetto così tanto gli sceneggiatori e quindi spero semplicemente che mi arrivi nella casella di posta uno script entusiasmante, coinvolgente, originale e ricco come quello di Rita, ma diverso ovviamente!
Hai avuto modo di lavorare anche a una serie affermata come Killing Eve, come è stata questa esperienza?
Nel mondo televisivo ricevi gli script molto più tardi rispetto ad altre realtà come il teatro e il cinema e hai meno tempo per pensarci. Il ritmo è molto più veloce. Per quanto riguarda Killing Eve, comunque, c'è un tempo piuttosto lungo di preparazione prima di girare. Questo ero un film low budget, le cifre sono triplicate per la troupe e tutto il resto nel caso della serie. Amo la possibilità di gestire le persone, occuparmi di caratteri diversi, stare sul set è molto divertente e i personaggi sono così brillanti, psicopatiche vestite con abiti d'alta moda! Fantastico!