Avatar: la via dell'acqua: Jon Landau ci fa visitare la Lightstorm e parla dei sequel!

In occasione dell'uscita digital di Avatar: la via dell'acqua abbiamo visitato la Lightstorm Entertainment di Los Angeles con Jon Landau!

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Dalla sua uscita lo scorso dicembre Avatar: La via dell'acqua è diventato il maggiore incasso di tutti i tempi, avendo superato i 2,3 miliardi di dollari. E con 670 milioni di dollari al solo botteghino statunitense, il lungometraggio di James Cameron ha la prospettiva di superare Titanic (674 milioni di dollari) per l'ottavo posto (ovviamente senza calcolare l'inflazione). Agli Academy Awards di quest’anno, inoltre, ha ottenuto quattro nomination, tra cui miglior film, migliori effetti visivi, miglior design di produzione e miglior suono, vincendo la statuetta per migliori effetti visivi.

Noi di Badtaste.it siamo stati invitati a visitare gli studios della Lightstorm Entertainment di Manhattan Beach in California, fondati dal regista e produttore canadese James Cameron nel 1990. Lì abbiamo avuto modo di incontrare e fare quattro chiacchiere con il produttore storico di James Cameron, Jon Landau che, oltre a mostrarci lo studio, ci ha parlato delle caratteristiche speciali che saranno presenti nell'imminente uscita digitale (e prossimamente in Blu-ray e 4K Ultra HD) del film.

L'atteso sequel di "Avatar" ha infatti finalmente fissato una data di uscita su piattaforma digitale. L'epopea fantascientifica sarà disponibile per l'acquisto il 28 marzo (per il momento solo negli USA) su Prime Video, Apple TV e altre piattaforme digitali. Il film sarà disponibile in qualità 4K Ultra HD con audio Dolby Atmos, e sarà accompagnato da più di tre ore di contenuti speciali, che esploreranno il mondo di Pandora e il particolare processo di produzione del film. Tra i punti salienti figurano approfondimenti sulla tecnologia di performance capture, sulla cultura Na'vi, sugli ecosistemi sottomarini di Pandora, sulle complessità del sound design, sul team di effetti visivi Wētā FX, sui membri del cast che ritornano, sui nuovi personaggi e una featurette incentrata su Spider (Jack Champion), il giovane umano che vuole diventare un membro dei Na'vi.

È lo stesso Landau a mostrarci gli oggetti di scena e i modelli utilizzati per visualizzare l’aspetto dei personaggi che si trovano in un’enorme area espositiva all’interno dei quasi 11mila metri quadrati che tra uffici di produzione e teatri di posa fanno parte della Lightstorm Entertainment.

Jon Landau: Questi busti non sono di dimensioni reali, ma sono stati creati dai nostri reparti che si occupano di costumi, oggetti di scena e sviluppo del design per ottenere l'approvazione sul colore, il trucco, gli accessori per capelli e così via. Il clan dei Metkayina - il popolo della barriera corallina - infatti ha una tonalità della pelle diversa perché è un popolo che vive sul mare orientale di Pandora, un clan che si è adattato alla vita marina, diverso quindi dal clan Omaticaya che vive nella foresta. Anche in questo caso i costumi, le armi, tutto è stato costruito fisicamente dalla nostra costumista Deborah Scott e il suo team. Questi pezzi bellissimi raccontano le storie di ogni personaggio.

La tecnologia caratterizza Avatar dal primo film. È questo che lo rende così all’avanguardia?

Jon Landau: Quando dico che Avatar è un film all’avanguardia a volte le persone si confondono e pensano che stia parlando di 3D. Il 3D non c'entra nulla. Per noi si è sempre trattato di raccontare una storia. Nel 2005 eravamo a un punto in cui potevamo essere l'impulso a spingere la tecnologia a permetterci di raccontare finalmente la storia di questo film. Abbiamo iniziato con cinque artisti cercando di creare un sistema di produzione che permettesse a James Cameron di lavorare con gli attori con la stessa intimità con cui aveva lavorato con Arnold Schwarzenegger (Terminator, 1984; True Lies, 1994) e Jamie Lee Curtis (True Lies, 1994) su un set live action. Allo steso tempo non potevamo costruire Pandora. E allora abbiamo ideato quella che chiamiamo produzione virtuale.

In cosa consiste e che vantaggi ha avuto rispetto a una produzione “classica”?

Jon Landau: La produzione virtuale ha permesso a James Cameron di catturare le interpretazioni degli attori e di girare con cineprese virtuali. Ed è proprio questo che ci ha aperto le porte per poter finalmente raccontare la storia che James voleva; i film però non sono fatti di tecnologia, sono fatti della storia contenuta nella sceneggiatura. Tutto parte da lì. Quando abbiamo iniziato a parlare di fare dei sequel, abbiamo pensato a quali storie volevamo raccontare e non a un sequel, ma a una delle altre storie che valeva la pena raccontare e che avrebbero potuto giungere a una propria risoluzione emotiva, a una propria conclusione della storia. Ed è così che ci siamo ritrovati con i quattro sequel, che abbiamo già fatto, e ognuno dei quali vogliamo che sia un film a sé stante. Siamo molto contenti di essere tornati a un contesto nel quale possiamo pensare a una vera e propria uscita per l'home entertainment. E quando dico questo, intendo dire che abbiamo l'opportunità di includere i contenuti a valore aggiunto che il pubblico di tutto il mondo vuole vedere. Come sapete, includeremo più di tre ore di materiale aggiuntivo.

Come è stato il processo di sviluppo di Pandora?

Parallelamente agli sceneggiatori che lavoravano in sala di scrittura, avevamo un reparto artistico che ha iniziato a progettare Pandora. I loro bozzetti sono stati di grande ispirazione per gli scrittori, che venivano portati al reparto artistico per vedere su cosa stavano lavorando. Al contrario, se gli scrittori avevano un'idea nuova, il reparto artistico poteva svilupparla e visualizzarla. La sfida di progettare Pandora per Jim, sia dal punto di vista tecnico che da quello naturale, è che nella sua mente tutte queste cose sono reali. Non stiamo girando un film, stiamo filmando una realtà che si dà il caso esista su un altro pianeta. Ogni dettaglio di ogni struttura intrecciata, ogni creatura e la sua biologia evolutiva le hanno permesso di avere l'aspetto che ha.

Ha nominato poco fa Deborah Scott, che aveva già lavorato sui costumi per Titanic, vincendo anche un Oscar. Che valore aggiunto ha portato al film?

Deborah Scott è stata una parte essenziale del nostro processo di costruzione del mondo e della creazione dei costumi sia per i personaggi Na’vi di Pandora che per i personaggi della RDA. Quando si mette un personaggio sullo schermo, i costumi, gli oggetti di scena, i capelli, il trucco, i tatuaggi, tutto fa parte di ciò che incarna quel personaggio e riflette il mondo che lo circonda. La costumistica è una delle parti più importanti per esprimere un personaggio, il modo in cui una persona si veste, cosa significano i suoi abiti in un clan, persone che svolgono funzioni diverse come il leader, il pescatore, un bambino; tutte queste persone hanno un posto diverso nel clan. Abbiamo fatto ricerche sulle popolazioni indigene in tutto il mondo.

Quanto tempo ci è voluto per lavorare sullo sviluppo di Pandora?

Credo che gli scrittori pensassero che sarebbero stati qui per sei settimane, ma alla fine sono rimasti per sei mesi. E non abbiamo mai detto loro a quale film sarebbero stati assegnati. Perché pensavamo che, una volta fatto, avrebbero perso il loro interesse per gli altri due film. Così, alla fine dell'anno, abbiamo assegnato loro i film e sono andati a scrivere.

Come mai da sei settimane ci sono voluti sei mesi?

Ci siamo resi conto molto rapidamente che Avatar 2 sarebbe stata una storia troppo lunga da inserire in un solo film, per raccontare i retroscena e tutte le altre cose. Così abbiamo spezzato la storia e abbiamo trasformato quello che era il vecchio Avatar 3 in un nuovo Avatar 3, e così via. È da lì che siamo partiti. Ma i film non esistono senza una sceneggiatura e i film hanno bisogno di qualcos'altro, ovvero il cast. E una parte di ciò che offriamo nei nostri contenuti bonus sono i provini dei nostri attori bambini, che portiamo in scena in modo che la gente possa vederli davvero, visto che sullo schermo sono dei personaggi virtuali. L'intero contesto che abbiamo creato consisteva nel prendere ciò che in passato si chiamava motion capture, che per me era sempre privo di una "e" davanti per essere "e-motion capture", e creare una performance capture completa. Perché, come ho detto, in fin dei conti i film si basano su un primo piano. Si tratta di creare un'empatia con i personaggi. E sappiamo che quando andiamo a fare la nostra, come dire, performance capture, l’ambiente è molto sterile. Quindi, quello che abbiamo fatto nel primo film, e che abbiamo rifatto nel secondo, è stato portare il cast alle Hawaii, dove siamo andati a provare nelle foreste pluviali delle Hawaii per entrambi i film.

Può raccontarci qualche aneddoto di quell’esperienza con il cast alla Hawaii?

Per il primo film un giorno eravamo fuori e Sam Worthington era in perizoma, pallido come un fantasma. Non era nella forma migliore della sua vita. E Jim Cameron era lì con una piccola telecamera Sony in mano, che riprendeva quello che stavamo facendo. Il terzo giorno arriva un uomo che portava a spasso il suo cane. Il tizio vede Sam e chiede: "Cosa stai facendo?” Sam tutto orgoglioso si gonfia il petto e dice: "Stiamo facendo un film". Indica Jim e dice: "Vedi quel tipo?". Quello è James Cameron”. Il tizio commenta: "Cavolo, come è invecchiato!"

Quindi anche per Avatar 2 siete tornati alle Hawaii?

Sì. In questo film, non solo abbiamo girato nella foresta pluviale, ma siamo andati anche negli oceani. Abbiamo chiesto al nostro cast di allenarsi a trattenere il respiro. Perché per noi era importante, quando li riprendevamo sott'acqua, non solo catturare i loro movimenti, ma anche le loro interpretazioni. E dovevano essere a loro agio nel farlo. Abbiamo pensato che fosse molto importante per loro provare l'esperienza di scendere e fare un'immersione libera nella barriera corallina delle Hawaii. Credo che sia l'esperienza più simile a Pandora che si possa fare sulla terra. Abbiamo fatto un'immersione notturna. Siamo scesi e ci siamo seduti sul fondo dell'oceano a circa 6 metri sotto la superficie dell'acqua, solo con le torce, e dall'abisso sono uscite queste mante giganti. Erano come una creatura di Pandora che si avvicinava a noi, nuotavano sopra di noi. Sigourney Weaver è riuscita ad accarezzarne una sulla pancia. Penso spesso a quel momento, quando vedo la scena del film in cui lei vede il Pandora Ray e si allunga per toccarlo: sono certo che abbia evocato quella sensazione.

Quale è stato l’aspetto a cui tenevate di più nel cercare di mantenere la performance dell’attore una volta passati alla computer grafica?

Ci sono diversi modi per realizzare film con personaggi in computer grafica. Quello che ci interessa della performance capture è la totalità della performance fisica, emotiva, facciale, gli occhi, tutto ciò che l'attore crea in quel momento; il nostro lavoro è assicurarci che tutto ciò che l'attore ha fatto sia conservato nel suo personaggio in computer grafica.

Quali sono state le difficoltà invece?

Uno dei problemi e delle sfide che abbiamo affrontato nel film è stato filmare i ragazzi in modo che fossero veri. E la più difficile è stata quella di Spider (interpretato da Jack Champion, ndr), che abbiamo dovuto inserire nel cast per la performance capture due anni prima di girare il film dal vivo, e sperare che crescesse nel giovane Tarzan che volevamo diventasse. E l'ha fatto con molta grazia. Abbiamo girato metà del suo lavoro nel 2019 e saremmo tornati per la seconda metà del suo lavoro nel 2020 ma la pandemia ci ha fatto chiudere i battenti. Ciò che non è stato interrotto è stata la crescita di Jack Champion. Continuava a crescere e a crescere. Questa è stata una delle sfide. Dovevamo rientrare in produzione prima che superasse le dimensioni di quello che avevamo girato in precedenza, e letteralmente, credo che sia cresciuto di 33 cm da quando lo abbiamo scritturato per la prima volta. Quindi questa è stata solo una delle sfide, oltre all'acquisizione della performance facciale che è stata la nostra sfida più grande. Ma in realtà un’altra sfida risiede proprio nel titolo del film, ovvero l’acqua. James Cameron naturalmente, come si sa, ha un'enorme esperienza con The Abyss (1989), con Titanic (1997) e io ho esperienze simili.

Torniamo ai suoi ricordi a livello umano. Cosa altro porta con sé di Avatar 2?

Una delle esperienze più gratificanti che ho vissuto è stata quando sono andato a New York, la prima settimana di dicembre, dopo aver finito il missaggio. Sono andato a proiettare il film per Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver e Stephen Lang. Non avevano mai visto il film e gliel'ho mostrato. Mentre loro guardavano lo schermo, io osservavo le loro reazioni. Quando è finito, i quattro hanno iniziato a parlare delle rispettive interpretazioni. Dopo la visione ci siamo abbracciati tutti insieme. È una cosa di cui farò sempre tesoro.

Trovate tutte le notizie su Avatar: la via dell'acqua nella nostra scheda.

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