ARF! 2017: intervista a Carmine Di Giandomenico, disegnatore di Flash e Orfani - Sam

All'ultima edizione di ARF! abbiamo incontrato Carmine Di Giandomenico, artista attualmente all'opera su Flash e Orfani

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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In occasione dell'ultima edizione di ARF!, abbiamo avuto modo di incontrare e intervistare Carmine Di Giandomenico, disegnatore italiano la cui arte è legata in quest’ultimo periodo alla serie Rinascita di Flash, per la DC Comics, e ad Orfani - Sam, per Sergio Bonelli Editore. Con lui abbiamo fatto il punto della situazione sul Velocista Scarlatto e sul suo coinvolgimento nella serie ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari, ma non solo...

Ciao, Carmine! Bentornato su BadComics.it.
Sei il disegnatore più veloce del mondo - come attestato dal Guinness dei Primati - e disegni le storie di un personaggio che fa della velocità il suo punto di forza: vuoi parlarci della tua esperienza sulle pagine di Flash?

Ho realizzato diversi numeri della prima run e mi sono concentrato anche sulle copertine della serie. Ho da poco completato i numeri #23 e #24. Chiusa la fiera, mi devo impegnare per chiudere l'albo successivo, che sarà celebrativo.

Lavorare su Flash è divertente, ma ho avvertito una doppia responsabilità: la prima è nei confronti dei lettori, molti dei quali sono anche affezionati al personaggio della serie televisiva; la seconda nasce dal fatto che in occasione della rinascita del personaggio sia stato chiamato a raccogliere l’eredità di Carmine Infantino un altro Carmine. Quest’analogia ha aggiunto un carico di responsabilità maggiore che ho avvertito tanto durante il mio lavoro e che si va ad aggiungere alla responsabilità per il rilancio del personaggio e alla creazione di uno nuovo.

Il dinamismo è uno degli aspetti fondamentali di Flash: qual è stato il tuo approccio al disegno? Come hai ovviato al limite della staticità delle immagini?

Innanzitutto, ho voluto evitare le figure multiple nel movimento: è una soluzione legata agli anni ’70, quando il lettore ancora non era pronto a qualcosa di più dinamico e accelerato. Ho quindi inserito le scie luminose che il personaggio lascia con le parti gialle del costume, che ricordano un po’ quelle che lasciano le moto nell’anime di Akira.

La mia intenzione era riportare Flash a un’immagine quanto più classica possibile, com’era in origine con Carmine Infantino. Inoltre, ho voluto dare più visibilità e mobilità alle parti del suo corpo, eliminando elementi dell’armatura o stivali ipertecnolgici comparsi nella fase dei Nuovi 52. Questa cosa non è piaciuta tanto ai fan di nuova generazione, che magari non conoscono l’iconografia di Infantino alla quale mi sono rifatto. Comunque la cosa avviene anche nella serie televisiva, dove non compare alcuna armatura.

Flash

La prossima domanda è proprio sulla serie televisiva: quanto ha influito il suo successo nella creazione del character design?

Non ha per nulla influito. Inizialmente, avevo ricevuto indicazioni sul mantenimento di un design simile a quello utilizzato da Francis Manapul. Io, invece, avevo un’idea diversa e ho modificato alcuni elementi, come quelli a raggiera che partono dal simbolo all’altezza del petto. È stato interessante vedere come questa soluzione sia stata ripresa poi nella serie TV dove, nell’ultima puntata, il Flash del futuro ha un costume che ricorda molto la mia creazione. C’è un bel rapporto tra fumetto e serie televisiva, spesso Joshua Williamson inserisce elementi che eredita da quel prodotto.

Un legame che spezza un po’ la consuetudine di stravolgere i fumetti per adeguarli a ciò che vedremo sul grande o il piccolo schermo.

Il cinema trasforma completamente il personaggio e gli sceneggiatori sono spesso costretti a stravolgere quello che stanno realizzando per adattarlo a quanto si vedrà sullo schermo. Nel nostro caso si tratta quasi di un rapporto al 50 e 50. So che molti fan stanno spingendo affinché il personaggio di Godspeed, da me creato, possa approdare sul piccolo schermo. Puoi immaginare quanto la cosa mi renda felice!

The Flash, teaser 02 di Carmine di Giandomenico

Da poco è uscito anche il primo numero della quarta stagione di "Orfani", intitolata "Sam", che ti vede nella veste di disegnatore e copertinista: com’è stato per te gestire questo doppio impegno che ti ha visto coinvolto in Italia e negli States?

Sono un autore italiano che nasce professionalmente in Italia, quindi per me non è stato difficile adattarmi a queste due realtà editoriali. Con Sergio Bonelli Editore avevo già collaborato, in passato, avendo realizzato un "Color Fest" di Dylan Dog insieme ad Alessandro Bilotta, in cui ho creato il character design del Dylan del futuro e gli zombi stessi, quelli con le museruole.

Per me lavorare con l’Italia non ha mai rappresentato un disagio, anzi. Con Bonelli, poi, ho sempre avuto un rapporto speciale, in quanto mi hanno sempre trattato benissimo, da Mauro Marcheselli ai nuovi editor che stanno lavorando nella storica casa editrice. Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari hanno creato un progetto monumentale nel quale sono stati coinvolti anche altri grandi autori che hanno sdoganato l’utilizzo del colore e hanno fatto da apripista per le altre serie. Questa nuova strada è sicuramente positiva, in quanto i lettori più fedeli continueranno ad avere albi in bianco e nero, ma a questi se ne aggiungeranno di nuovi, grazie a una rinnovata veste grafica e al colore: segno di una casa editrice dinamica.

Che tipo di contributo hai offerto alla nuova stagione di "Orfani"?

Mi sono divertito a creare il nuovo look di Sam, Perseo e Andromeda, la bike a forma di pistola, oltre alle nemesi, come il governatore Garland. Ho realizzato solo il primo numero completo, visti i altri miei impegni, ma ho dedicato tutto il mese di agosto 2016 per inventare la bike. Ci sono tanti dettagli che il lettore non nota e che solo nel corso dei mesi verranno svelati. L’esempio più lampante sono le ali, dotate di un sistema di salvataggio per i passeggeri bambini studiato nei minimi dettagli che ha portato via molto tempo. Ti ripeto, è stato molto stancante, ma nel suo complesso molto gratificante.

Orfani - Sam

"Orfani" rappresenta un elemento di rottura rispetto alla tradizione Bonelli e, più in generale, a quella del fumetto nostrano. Com’è stato per te prestare la tua arte a un progetto come questo? Che differenze hai riscontrato rispetto ai metodi di lavorazione delle major americane?

Realizzare un fumetto è uguale in ogni parte del mondo: ti arriva una sceneggiatura e tu devi disegnarla. La differenza sta nel fatto che negli Stati Uniti viene concessa maggiore libertà al disegnatore, il quale deve essere dotato di un ottimo storytelling. Certo, prospettive, anatomie e cura dei dettagli sono importanti, ma prevalentemente bisogna essere bravi a raccontare, visto che le sceneggiature americane lasciano parecchia libertà nel montaggio e nella costruzione della pagina.

In Italia ogni vignetta ha una descrizione della tavola molto più dettagliata: il disegnatore pensa meno. Inoltre, c’è il famoso vincolo della cosiddetta gabbia all’italiana di sei vignette. Questo conferisce una consequenzialità più rigida alla narrazione e rende più difficile disegnare per Bonelli che per agli Stati Uniti. È stata una delle prime cose che ho imparato lavorando su "Il pianeta dei morti", storia sulla quale mi sono rapportato per la prima volta alla gabbia, grazie all'aiuto di Mauro Marcheselli, che mi ha insegnato tantissimo.

"Orfani" ha un metodo di lavorazione molto vicino a quello americano: ogni numero ospita un disegnatore differente e un colorista differente, ma ha una foliazione importante.

Da Daredevil a Flash, da X-Factor a Orfani. Sono tanti i personaggi su cui hai lavorato: su quale progetto sei riuscito a lasciare maggiormente il segno?

Sicuramente su "Battlin’ Jack Murdock", miniserie che ho disegnato e co-creato insieme a Zeb Wells. Era una storia che avevo in testa da tempo: raccontare le origini di Devil da un punto di vista diverso. Questa cosa mi ha onorato tantissimo e non posso che ringraziare ancora Joe Quesada per l’occasione concessami. Sono molto soddisfatto per quanto fatto su "Flash", come ti dicevo prima, e anche per il lavoro su "All-New X-Factor" insieme a Peter David, serie per la quale ho realizzato i character design di tutti i personaggi, delle astronavi e dell’intero mondo in cui ho inserito gli elementi della mia città.

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Mentre parliamo, ho notato che porti una collanina con l’iconico simbolo di Superman. A questo punto ti chiedo: su quale personaggio ti piacerebbe lavorare nel prossimo futuro?

La risposta l’hai già data. Superman, senza dubbio. La mia intenzione, più in là, è quella di poter presentare un progetto che ho in mente. Spero che DC Comics possa ascoltarmi a breve. Si tratta di un’opera per la quale mi occuperei sia della sceneggiatura che dei disegni. Per ora, però, la vedo dura. Sarà la mia nuova sfida, e le sfide sono quelle che ti mantengono giovane.

I personaggi non mi piace solo disegnarli, ma anche leggerli. Quindi, come accade ai fan, durante la creazione di una run mi pongo domande, mi piace capire in che direzione si svilupperà un arco narrativo. E questa sensazione mi spinge a realizzare delle storie in cui raccontare le mie riflessioni, le mie idee.

Superman è un personaggio che leggevo da bambino, mi affascinava quel suo essere così puro, con dei valori cristallini. Tutte cose che lui ha appreso dalla razza umana, vivendo da alieno tra la gente. Non c’è bisogno di ricorrere ad artifici letterari come raggi cosmici o ragni radioattivi, i suoi poteri si spiegano perché semplicemente è alieno. Questa condizione lo porta a essere il supereroe perfetto, ma anche il più difficile da gestire.

Gli unici che hanno fatto qualcosa di veramente interessante sono stati John Byrne, Karl Kesel e, nel recente passato, Grant Morrison. Buono anche il ciclo di Dan Jurgens, ma - vi prego - non ditemi che Superman può morire per dei pugni dati da Doomsday. Superman è un personaggio che ha mille sfaccettature, ma soffre dentro: si deve limitare quando è Clark Kent. Questa condizione gli crea stress, che poi sfogherà nella Fortezza della Solitudine.

Che tipo storia sarà, la tua?

Posso solo dirti che la colpa è di Marlon Brando. Basta.

Pasquale Gennarelli e Carmine Di Giandomenico

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