Arcadia: Marco B. Bucci e Jacopo Camagni ci parlano del sequel di Nomen Omen
Ha debuttato in Italia Arcadia, il seguito di Nomen Omen e gli autori, Marco B. Bucci e Jacopo Camagni, rispondono alle nostre domande
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Grazie mille Marco e Jacopo e bentornati sulle pagine di BadTaste.it. La vostra storia è ambientata in una Manhattan completamente trasformata dagli eventi che avete raccontato sin qui. Dalla città in cui sono ambientate più storie in assoluto, pensando al Cinema e al Fumetto soprattutto, ad Arcadia, terra in cui le storie vivono e regnano sopra ogni cosa. La scelta di New York come teatro della vostra saga è sempre stata una scelta metanarrativa?
Camagni - New York ci è sembrata da subito il luogo ideale per ambientare la saga di "Nomen Omen". Parlando di storie, possiamo dire che New York sia “la città delle storie” come crocevia di vite, etnie ed esperienze. Ormai fa parte dell’immaginario collettivo: è una città che tutti conoscono anche senza esserci mai stati proprio grazie a ciò che di essa viene raccontato al cinema e in letteratura. Quando ci arrivi e come se la conoscessi da sempre. Quale luogo migliore per una storia che parla di storie? Quindi sì, a modo suo è stata una scelta metanarrativa.In questa fase stiamo assistendo a un vero e proprio conflitto a tutto campo, tra gli uomini e le creature fatate. Al di là dell’ovvia distinzione tra umani e appartenenti al mondo magico, questa distanza fortissima tra una coloratissima Arcadia e una Manhattan ritratta in toni di grigio che valore ha per voi, sia in termini di scelte artistiche e spettacolarizzazione, che in termini di significato?
Camagni - Io e Marco sosteniamo da sempre che la vita che conduciamo ogni giorno, tra lavoro, routine, guerre, consumo e politica, abbia contribuito al declino del Sogno, del bello e dell’immaginifico; della Magia insomma. Il mondo che si para davanti agli occhi di un adulto è sicuramente più spento di quello che può vedere un bambino che ha il potere di meravigliarsi e sognare. Per questo motivo l’idea alla base dell’uso del colore e di una protagonista affetta da acromatopsia ci è sembrata azzeccata per raccontare la diversità dei due mondi, la potenza della magia e dell’immaginazione legata alle storie.
Bucci - È faticoso riacquistare la capacità di meravigliarsi. Credere nell’impossibile richiede un lavoro duro, da praticare lungo un sentiero in salita, di notte, senza luci. Però è quello che fanno tutti coloro che praticano magia.
In “Nomen Omen”, come ora in “Arcadia”, avete preso come impegno personale quello di mostrarci ogni lato dei personaggi, non solo quelli principali. Il risultato è che nessuno è perfetto, nessuno è completamente assolto, nessuno è del tutto innocente, come nella realtà. Visto che i vostri personaggi sono storie, incarnano lo spirito della narrazione, cosa significa per voi affermare che nessuna storia è innocente?
Bucci - L’innocenza non è una virtù con la quale vado d’accordo. Difficile dire se l’estraneità ad ogni male sia una condizione possibile, da parte di un essere umano o di una Storia. Di sicuro preferisco gli esseri che commettono errori, che dicono quello che non dovrebbero e che non sanno stare al loro posto. Mi spaventano l’immobilità, l’attesa e la mancanza di coraggio. Le Storie incarnate, nel mondo di "Nomen Omen", si fanno carico del modo in cui gli esseri umani le hanno raccontate. Sono imperfette, proprio come i loro narratori, e per questo le differenze tra gli uni e gli altri finiscono per confondersi. Nessun personaggio, come dici, aspira all’innocenza. Non sanno nemmeno cosa sia il bene o il male, proprio come me!
Un’altra caratteristica interessante dei personaggi, forse mai evidente come in questo capitolo, è che tutti gli utilizzatori di magia sono preda della passione, di desideri fortissimi. Forse non sempre sono i loro, spontanei e naturali, a volte sono indotti da altri, ma sembrano sempre brucianti. Tutta la saga è una storia di grandi passioni, da riscoprire, cui accedere, da realizzare. Anche questo ha un legame con la vostra idea di magia e di narrazione. E, Jacopo, quanto di questo c’è, oltre che nella messa in scena evidentemente, anche nello splendido character design di “Nomen Omen” e “Arcadia”?
Camagni - Per quanto riguarda il character design, tutto parte dal conoscere le loro storie e, come dici giustamente tu, dal loro carattere. Tutto in loro deve raccontare quello che i personaggi non dicono, ma che deve essere comunque percepibile dal lettore. Ad esempio, Becky in questo volume appare molto diversa da come l’abbiamo conosciuta all’inizio, ha un abbigliamento para militare, un braccio armato, un’acconciatura differente con capelli raccolti e più aggressiva. Eppure chiede a Dhara di rifarle la tinta rainbow che aveva nel primo volume. Sembrano poche cose, ma ti raccontano già qualcosa di lei che ancora non sai. Questo ragionamento sta dietro a tutti i personaggi.
C’è una scelta interessante, in questo nuovo capitolo del vostro progetto, già di per sé crossmediale: ci sono delle pagine di sceneggiatura, di dramma teatrale, che entrano in maniera del tutto particolare in una storia a fumetti (Becky e compagni entrano quasi fisicamente nel testo del Macbeth di Shakespeare). Come mai la scelta di lasciarle nella loro forma, di mostrarci gli eventi narrati in forma di sceneggiatura, invece che tradurli in qualche modo nel linguaggio a fumetti?
Bucci - Il mio amore per il teatro credo sia ormai venuto a galla. Ho studiato Arte per lo Spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Bologna e quando si parla di storie, di ruoli e di rappresentazione io penso subito a un palco. In quelle pagine troviamo i personaggi che si muovono tra cambi di scena, spazi immaginari che si accendono e spengono al ritmo dell’illuminotecnica teatrale e sipari magici che si aprono e chiudono. Il teatro non è solo azione e se non possono esserci gli attori allora deve diventare parola. Così che anche il lettore possa interpretare Lady Macbeth e darle una nuova forma.
C’è una guerra in corso, questa volta, non solo un duello. E immagino che nella sua messinscena, così polarizzata tra magia e tecnologia, ma anche ibrida, vista la natura dei poteri di Becky, che è una “strega digitale” in qualche modo, abbiate avuto in mente un sacco di riferimenti? Quali angoli dell’immaginario del fantastico vi hanno influenzato maggiormente?
Bucci - Polarizzazione è la parola chiave. Nonostante esistano moltissime opere capaci di mostrarci gli orrori della guerra forse le prime due che mi vengono in mente sono "His Dark Materials" di Philip Pullman e "The Lord of the Rings" di J.R.R. Tolkien. Forse non sono le migliori ma sono quelle che mi vengono in mente per prime. Rappresentare la guerra è difficile perché non si riesce mai a mettere in scena la polarizzazione crescente delle parti. Così il lettore è costretto a guardare, leggere e assistere inorridito. Vorrebbe fermare tutti, metterli seduti attorno a un tavolo. La pace è sempre possibile ma chi combatte una guerra non sa più dove si trovi. È doloroso assistere ad Arcadia messa in pericolo da Becky.
Marco, l’ultima volta che abbiamo chiacchierato mi hai detto, correndo il rischio di parlare anche per Jacopo, che Becky è per voi una figlia che trattate malissimo, ma che amate profondamente. Quella figlia è diventata grande, finalmente, in “Arcadia”, o ancora è un processo in corso?
Camagni - Becky è cresciuta moltissimo, ma, come tutti, continua a crescere e lo farà sicuramente fino alla fine. Probabilmente continuerà a farlo anche dopo, una volta che avremo chiuso le pagine della sua Storia.
Bucci - Jacopo mi ruba le risposte! Però che dire… è una bellissima risposta!