Alessio Cremonini ci spiega Profeti: le attrici che non si sono incontrate prima, il rifiuto del classico setup
Il regista di Profeti, Alessio Cremonini, racconta come ha assemblato racconti e storie diverse in una di finzione
Non viene da una storia vera Profeti (al cinema dal 26 gennaio), almeno non da una sola storia vera, ma più da “un patchwork di altre storie, è inventata ma assolutamente credibile” nelle parole di Alessio Cremonini che il film l’ha diretto e scritto insieme a Monica Zapelli. Sono storie che lui stesso ha raccolto, storie di rapimenti maschili ma soprattutto femminili. Nel film infatti vediamo poche immagini, lo stretto indispensabile, prima che Jasmine Trinca, che interpreta una giornalista di guerra, venga rapita dall’ISIS e dopo qualche interrogatorio di rito venga messa in una casa dentro un campo di addestramento con un’altra donna a controllarla.
“Jasmine comincia a parlare da quando è sotto interrogatorio, prima non ha battute”.
“Trovavo proprio superfluo parlare di quel personaggio e francamente nemmeno mi interessava, perché questo è un film su tante cose e lei non è un personaggio particolare, mi interessa poco anche il gioco del setup tradizionale in cui conosco un personaggio e poi piano piano lo approfondisco per affezionarmici”.
“Eh lei è proprio un volto che non ti aspetti perché è iraniana e per metà italiana (ma le fattezze molto iraniane). Infatti inizialmente dicevo ai casting di non propormi iraniane o turche, perché poi avrebbero dovuto anche imparare l’arabo. Invece mentre le guardavo quella che era la mia compagna all’epoca mi spinse a incontrarla. Fece bene. Ho scoperto che il fatto che venga da un paese non facile anche lei aggiunge uno strato di complessità”.
Il film in fondo sono loro due, hanno provato parecchio?
“No, anzi! Per via delle normative anticovid si sono viste pochissimo ed è stato meglio così. Ho cercato proprio di fare in modo che si incontrassero all’ultimo e non si conoscessero, come i loro personaggi. Perché per due attrici poi conoscersi già un po’ ti cambia la percezione che hai dell’altra”.
Quindi immagino ci siano stati pochi margini di adattamento della sceneggiatura?
“Un po’ come per Sulla mia pelle, anche se in questo caso è una storia inventata, molti elementi sono obbligati perché vengono dai racconti, però fa tutta la differenza del mondo come li assembli, come li ordini, cosa tieni fuori e cosa scegli di raccontare. Poi certo un set è come una diligenza nel Far West, una volta si rompe una ruota, una volta si azzoppa un cavallo, ci sono mille imprevisti e ti devi adattare, ma in linea di massima cerco di rispettare le cose scritte, anche se mi ritengo una persona morbida, uno che parla molto con gli attori e le attrici”.
Detto ciò è anche vero che questo è un film che non ha un intreccio forte e le sue singole scene possono essere disposte in modi diversi per generare un senso diverso, ci è voluto molto per montarlo?
“Come ti dicevo io per indole tendo a fidarmi delle persone con cui lavoro, e quindi anche con il montatore, aspetto il suo punto di vista e da lì si dialoga. È vero che i film possono sempre essere montati in più maniere ma nel nostro caso il processo è stato effettivamente lungo, c’erano delle cose che non sapevamo bene come fare. Per fortuna Marco Spoletini è un montatore di grande talento ed esperienza”.
Ognuno riceverà questo film a modo suo, ma tu che l’hai fatto cosa desideri esca da Profeti?
“Io sono credente e se già della storia di Stefano Cucchi mi interessava anche il fatto di poter raccontare una specie di Via Crucis, quasi una deposizione, in cui vedere il corpo e rapportarlo anche visivamente ad uno dei pilastri della nostra società, il cristianesimo e la sua pittura, qui anche volevo parlare della religione. In particolare della conversione. Quel che accade al personaggio di Jasmine Trinca è una conversione vera? È la sindrome di Stoccolma? Le serve a salvarsi la vita? Quando ho pensato a questo film mi sono ricordato di San Francesco, che va in guerra, è rapito dai perugini e il padre paga il riscatto per liberarlo facendo partire in lui tutto quello che lo porterà a spogliarsi dei beni, o ho pensato ai monaci del deserto cristiani del 200 d.C., che si rapivano da soli andando in una caverna del deserto, o ancora a Santa Caterina che viene definita come “rapita in estasi”, insomma tutto questo sottrarsi volontario e non che ti porta poi in un’altra dimensione. Non è una forma di eremitaggio ma forse alla lontana… Sai anche una malattia grave è un rapimento e spesso chi la vive, se sopravvive, ne esce più spiritualista. Volevo un film che parlasse in un certo senso anche di quello, se Stefano Cucchi era un cristo moderno qui Jasmine si chiede: “Come faccio sotto pericolo di vita a convertirmi e credere in Dio?” e in fondo siamo tutti in pericolo di vita, sappiamo tutti di dover morire”.
Trovate tutte le informazioni su Profeti nella nostra scheda.