Alessandro Rak: "Per realizzare The Walking Liberty in 20 ci siamo dovuti inventare molto"

Il regista e sceneggiatore di The Walking Liberty spiega come può uno studio di 20 persone funzionare a questo livello

Critico e giornalista cinematografico


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Yaya e Lennie - The Walking Liberty doveva essere un altro il nuovo film di Alessandro Rak ma la lavorazione è stata interrotta a metà per l’uscita di Coco della Pixar: “Era tratto da una graphic novel di 15 anni fa ma somigliava troppo a quel film e sarebbe sembrato che li avevamo copiati”. Così gli sforzi vengono di colpo dirottati su una storia partorita lì per lì, a partire da Uomini e topi di Steinbeck. Non più la grande depressione americana però, c’è un futuro post-apocalittico a fare da scenario.

Con poca pre-produzione ma con le armi sviluppate da Mad Entertainment nel tempo nasce così il nuovo film di Alessandro Rak, Yaya e Lennie - The Walking Liberty, in uscita per 4 giorni nelle sale italiane con Nexo.

Cambiano le storie, cambiano i progetti ma la bussola rimane ferma su Napoli.

“Il gioco con il nostro territorio è necessario, perché ci nasciamo dentro e ci conviviamo. Siamo fortemente collegati e connotati alla città, come del resto le produzioni americane sono legate alle città americane e così le francesi. Di certo ci diverte giocare con le reminiscenze sonore poi, specialmente alla città, gli occhi più attenti le possono trovare”.

Ma che è successo per portare il mondo a quel futuro che raccontate?

“Noi ci siamo fatti un’idea costruttiva di ragioni e motivi per le quali quel futuro è così, ma ci piace l'ambiguità, ci piace che non sia definito nel film e che le cause non siano un elemento portante. È abbastanza ovvio che le persone ci vedono un senso di colpa umano in quel che accade o sentono la piccolezza della loro condizione umana rispetto a quella universale. Soprattutto è importante che in quella condizione nasca un popolo più smemorato che non ricorda gli avvenimenti precedenti”.

Perché questa storia?

“L’importante è raccontare storie che non sono chieste dallo spettatore, non vanno a soddisfare quello che lo spettatore sa di desiderare e non incontrano un pubblico preciso e stabilito. Il bello di questi nostri progetti è il margine di movimento che ci è consentito, poi se va incontro ad un successo tanto meglio, ma la base è offrire qualcosa di nuovo e diverso. Poi ovviamente l’idea di crescere ci sta, come per tutte le società e non riguarda i ragazzi e chi lavora all’animazione, è una cosa che riguarda la casa di produzione. Sai, nel nostro panorama o cresci o muori.
Personalmente mi piace la bottega, la trovo più umana e meno asservita ai criteri di macchina che esistono in giro, poi mi piace che non sia io a determinare la strada da prendere ma che ognuno possa porsi in maniera diversa rispetto ad essa”.

In quanti siete stati a lavorare a questo film?

“Noi siamo un 20ina di persone, per forza di cose per stare nei tempi standard di 2-3 anni di lavorazione (che non è diverso rispetto ad altri studi più attrezzati come Pixar o Disney) dobbiamo inventare tanto a livello tecnico per sopperire alla mancanza di personale e alla velocità con cui va consegnato il prodotto. Tutto per fare in modo che non ci sia un grande gap estetico nel prodotto finale”.

Nella pratica come fate?

“Ci siamo legati a Blender, uno strumento open source, Gatta Cenerentola è stato il primo lungo fatto con Blender, siamo stati pionieri. Per Yaya e Lennie anche abbiamo fatto ulteriori passi avanti nell’approccio e nell’uso del software. Noi lo personalizziamo perché si adatti alla nostra pipeline interna, ma lì dove vediamo che le nostre modifiche possono interessare la comunità le condividiamo con la casa madre”.

Questo era più complicato rispetto a Gatta Cenerentola?

“Tutto sembra impossibile all’inizio. Ad esempio l’idea di aprire questo scenario naturalistico e riuscire ad avere una qualità fotografica e personaggi dotati di molti elementi e segni erano tutte sfide per noi. I personaggi non sono semplicissimi, sono più morbidi rispetto quelli di Gatta Cenerentola, dotati di più particolari e anche le scenografie sono tutte in 3D. Tuttavia quel che ci interessa di più è che l’aspetto finale sia da illustrazione, da fumetto e cartone bidimensionale. Ci interessa costruire quell’impianto anche in messa in scena e illuminazione”.

Cosa hai visto che ti è piaciuto recentemente di animato?

The Boy And The Beast di Mamoru Hosoda. Ma anche Luca è carino”.

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