Alessandro Celli: Mondocane "è stato creato con una storia più grande e poi asciugato" | Venezia 78

Alessandro Celli e Antonio Leotti ci racconta in un'intervista come sono arrivati a Mondocane e della difficoltà della sua generazione di registi

Critico e giornalista cinematografico


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Intervista ad Alessandro Celli: Mondocane "è stato creato con una storia più grande e poi asciugato"

È già in sala ma è stato presentato qui alla Mostra di Venezia l’esordio di Alessandro Celli scritto con Antonio Leotti. Mondocane. È un film italiano distopico, ambientato in una Taranto di chissà quanto, parte di un’Italia in cui non sappiamo bene che sia successo ma tutto è andato male. Lì l’inquinamento è diventata contaminazione, la società è divisa in ricchissimi di Nuova Taranto e derelitti e il terrorismo recluta bambini. Tra cui i protagonisti.

Lo scenario è incredibile. Il film bello teso. Il regista serenissimo.

Quando avete proposto il film la prima volta aveva già questa forma con questa mitologia?

ANTONIO LEOTTI: “Abbiamo fatto davvero tante stesure, almeno 11. Ogni volta lo scolpivamo, dandogli più dimensione ma il nocciolo della storia è stato sempre quello: due bambini, taranto post apocalittica….”.

ALESSANDRO CELLI: “Prima è venuto il mosaico poi abbiamo scritto le scene da incastonare. Attraverso quelle vieni introdotto a quel mondo e alle sue regole nel modo meno didascalico possibile”.

Molti dei dettagli di quel mondo, cosa è successo e come siamo finiti in quella situazione, non sono proprio spiegati, solo accennati. Fino a che punto è giusto fidarsi del fatto che pur non dicendogli troppo lo spettatore rimane con te?

AL: “Questo tema è stato molto dibattuto tra di noi. Io ero più incline di Alessandro a raccontare qualcosa di più sul futuro ma ha fatto bene a farmi desistere. Addirittura all’inizio avevamo disegnato una cartina di Taranto, posizionando tutte le zone”.

AC: “Per dargli credibilità e padroneggiarla noi ci siamo creati una storia molto più grande e piena di dettagli. La fortuna di Mondocane è che mentre l’archetipo si è riscritto da solo, lo sfondo fornisce le seconde letture e inserisce una complessità nella narrazione cinematografica. Io mi chiedo sempre fino a che punto è bello che sia tutto chiaro e fino a che punto va lasciata una percentuale che permette allo spettatore di farsi la sua idea.
Su questo il mio mentore è Barry Gifford, lo sceneggiatore di David Lynch per Cuore selvaggio e Strade perdute”.

mondocane borghi

Uno che se ne intende di cose lasciate all’interpretazione dello spettatore…

AC: “Esatto. Tutto sommato se ho il racconto dei ragazzi fatto per bene e non confondiamo la distopia, il resto che rimane è puro divertimento: le lire, cosa è successo a Roma o anche la tecnologia (cioè il fatto che siamo regrediti)... Tutte cose inserite nel film e poi levate”.

C’è una grande idea dietro il personaggio di Alessandro Borghi, minaccioso ma poi educato e colto con una buona parlata, un padre.

AC: “Il suo era il personaggio che dall’inizio sapevamo che sarebbe stato interpretato da un attore importante. Quando è entrato proprio lui ha contribuito a dargli forma. Così com’è ti scatena subito delle domande”.

Te hai esordito ora, alla tenera età di 45 anni, eppure avevi vinto un David con il corto Uova. Che è successo?

“Guarda io appartengo alla generazione che ha fatto tanti corti, come Claudio Noce, Matteo Rovere, Sydney Sibilia, Gabriele Mainetti, Pippo Mezzapesa… Ci abbiamo creduto molto e ci siamo conosciuti tutti lì. Nei festival di corti alle finali arrivavamo più o meno sempre noi. Alla fine è un po’ un campionato quello dei corti, c’erano già dei veri bomber ma i produttori non se ne sono accorti. Ognuno ha avuto una sua storia produttiva, io ho esordito tardi è vero ma pensa a Gabriele Mainetti! È quasi arrivato alla selezione per l’Oscar per il miglior corto ed ha avuto difficoltà incredibili a fare il primo lungo lo stesso”.

Per te che è successo?

“Io dovevo esordire intorno al 2010-2011 ma in quel momento si bloccò un po’ tutto per tutti. Quella delusione e il fatto che l’industria non è che ti dice che c’è un problema con il tuo film, semplicemente smette di comunicare con te, mi hanno fatto stufare del sistema. Ho fatto sviluppo progetti con Palomar, lì ho imparato a capire quale fosse la storia da raccontare oggi per fare un po’ the next big thing e poi ho diretto serie televisive”.

mondocane

È stata Groenlandia a richiamarti al cinema quindi mi pare di capire...

“Con Matteo [Rovere ndr] avevo parlato di questa idea, avevo scritto il trattamento e poi quando si è attivato il tutto abbiamo scritto la sceneggiatura, ma prendendoci il nostro tempo. Matteo è coraggioso ma preparatissimo. E sai, più alzi l’asticella della distopia meno il film risulta profondo. Nessuno è dilaniato sul finale di Mad Max, di lui te ne frega davvero poco, semmai me ne frega di più del protagonista di District 9, distopia di una realtà che riconosciamo. Se c’è una cosa che ho imparato dai corti è che poi per anni sei ciò che hai fatto. Io per anni sono stato Uova e adesso per tanto tempo sarò Mondocane. Inutile quindi avere fretta, tanto avevo già fatto un giro così lungo…”

E ora? Sarete Mondocane a lungo e con tutta questa mitologia scritta e non messa nel film che volete farci?

AC: “Oh il film neanche è uscito e tutti mi chiedono se voglio fare un sequel. Certo se mi danno i soldi perché no? Però prima deve andare bene questo”.

Che in questo periodo non è facile.

AC: “Non si capisce nulla, adesso. Vediamo se è una ventata di innovazione usare il genere per risollevare le sorti delle sale ma non sono uno stratega, io ho pensato solo che non dovesse essere un film per cinefili, perché è facilissimo parlarsi addosso e i miei film preferiti non interesserebbero mai ad uno che va da Decathlon a guardare la bici, che si sofferma a guardare il poster ed entra in sala. Quello è il mio obiettivo”.

AL: “Io sono davvero contento di aver lavorato con un regista che con molta serenità ha pensato al pubblico cui ci stavamo rivolgendo. Il più difficile elemento della complessità è la semplicità del resto. Un mistero che se inserito nel film lo fa funzionare. Per questo c’è un’anima shakespeariana nel racconto: la storia di un’amicizia fraterna messa alla prova dall’incontro con il potere, una lotta fratricida in cui si versa il sangue del fratello”.

AC: “I due protagonisti sono ragazzi di Talsano, due veri di quella realtà. Ecco vorrei che loro con la loro comitiva vedessero questo film, lo capissero e lo sostenessero, sia come tematiche che come film di intrattenimento. In fondo c’è Borghi ed è un mondo facile da capire, un mondo così basico che basta un elemento di potere a cambiarti la vita”.

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