80 anni di Bonelli: il presente e il futuro di Martin Mystère - intervista ad Alfredo Castelli
Sergio Bonelli Editore compie 80 anni e Alfredo Castelli ci parla del presente e del futuro del suo Martin Mystère
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Ringraziamo la Casa editrice per la consueta disponibilità e Alfredo Castelli per la lunga, splendida, chiacchierata che ha regalato al pubblico di BadTaste.it.
Ciao, Alfredo, e ben tornato su BadTaste.it. Sergio Bonelli Editore compie ottant’anni di vita: un traguardo invidiabile a livello planetario per una casa editrice di fumetti e tu ne rappresenti da tanto tempo una colonna portante. Quali sono l’emozioni e i pensieri che suscita in te un evento così memorabile?
Un saluto a voi. Sì, la Bonelli sta compiendo il suo ottantesimo anno di vita e nella sua lunga storia ha cambiato diversi nomi, non dimentichiamolo. Quando tutto ebbe inizio, negli anni 40, si chiamava Audace, o meglio Redazione Audace, per essere precisi. Parliamo di una realtà profondamente diversa da quella di adesso, anche se è rimasta una delle pochissime case editrici di proprietà sempre della stessa famiglia: è un caso davvero raro. Ci sono altri editori in Europa e nel resto del mondo che, magari possono vantare una longevità ancora maggiore, ma la loro proprietà è cambiata più volte negli anni.
Dal 1941 a oggi si sono susseguiti in Bonelli varie direzioni e vari modi di intendere la casa editrice. In questo momento ci troviamo nel suo più recente avatar, in cui non mi trovo spiazzato, perché non è assolutamente vero. Purtroppo, però, non sono più un bimbo, come forse si può intuire, per cui devo dire che mi sento un pochino più legato alla Bonelli di qualche tempo addietro. Ho cominciato a lavorare con Sergio Bonelli cinquantacinque anni fa e questo evidentemente ti determina dei modi di intendere le cose. Tuttavia, penso che l’attuale casa editrice stia compiendo una serie di operazioni a cui ho sempre creduto – forse all’epoca ero l’unico che ci credevo – che ritengo indispensabili. Mi riferisco all’approccio ad altri media di intrattenimento oltre al Fumetto. L’importante, per una casa editrice di Fumetto, è mantenere il Fumetto al centro di questo tipo di operazioni e non far sì che ne venga sopraffatto. Ho già visto accadere questo fenomeno in Francia e in America, ma si tratta di altri mondi.Io non posso che augurarmi che questi nuovi meccanismi innescati da Bonelli funzionino, coltivando e privilegiando entrambe le parti in gioco, quella legata alla tradizione e quella legata all’innovazione.
Rifacendomi alla risposta che mi hai appena dato, qual è lo spirito che caratterizzava la casa editrice quando tu vi entrasti e quello che respiri ora?
Ho iniziato a collaborare con Sergio Bonelli nel 1965. Allora erano soltanto due le testate pubblicate: “Tex” e “Zagor”. Era tutto un altro andazzo e potete immaginare come si respirasse un’aria estremamente familiare. Nel 1982 mi sarebbe toccata la fortuna di lanciare una serie tutta mia, “Martin Mystère”, ovviamente. Prima però, avevo lavorato su due fumetti che mi piacciono moltissimo e che hanno rispettivamente due protagonisti straordinari. Il primo è Zagor – sono pronto a scommetterci – il personaggio più inossidabile della Bonelli e quello che a mio parere resisterà più nel tempo. Ha mille sfaccettature, chiavi di lettura e ambiti d’azione, anche in altri media; lo posso immaginare in un fumetto come in un cartone animato, piuttosto che un in film di supereroi, oppure western o ancora di fantascienza. Il secondo è Mister No, uscito nel 1975, che ritengo il miglior personaggio di sempre della casa editrice, per la sua complessità e caratura.
In quegli anni la Bonelli aveva un approccio essenzialmente artigianale anche se sempre ad alto livello. Erano tempi molto distesi. Si andava in redazione tutte le mattine e si chiacchierava amabilmente con Sergio o con Decio Canzio; quindi si partiva col lavoro e poi si andava a pranzo insieme. Oggi non si può più fare: brutto, bello? Nessuno dei due. È inutile avere rimpianti come chi rimpiange il ’68 e le occupazioni delle università – ci sono passato anch’io – con il sacco a pelo. Sono cose semplicemente irripetibili. Se poi mi chiedi di parlarti dell’evoluzione e dei cambiamenti della casa editrice negli anni successivi fino a ora, mi devi concedere almeno una cinquantina di minuti per fartene un accenno.
Arriviamo dunque a Martin Mystère che il prossimo anno compirà quarant’anni di vita editoriale. Sei stato tu a proporre il progetto alla casa editrice e come è stato accolto da Sergio Bonelli?
Sì. Sono stato io a proporlo. Era un periodo in cui ero concentrato su Mister No. Ripeto, è un personaggio che adoravo e adoro. Qualcuno ha ricordato recentemente che ho scritto su di lui sessanta storie; io non lo ricordo, ma ricordo che c’è stato un momento in cui scrivevo più di Sergio per “Mister No” e quelle atmosfere della foresta amazzonica che si respiravano nelle sue avventure le ho respirate realmente anni dopo, recandomi di persona in quei posti.
Mentre stavo lavorando a “Mister No”, dicevo, ho recuperato un mio personaggio che era in ballo da parecchi anni. Si chiamava Allan Quatermain, come il protagonista – grande esploratore - della serie di romanzi a lui dedicati dallo scrittore inglese Rider Haggard, e che io considero un antenato ideologico di Martin Mystère, anche se il mio personaggio in sé è più modellato su James Bond.
Lo avevo ideato nel ’75 per “Il Giornalino”, che lo respinse, perché non propriamente in asse con la sua linea editoriale: “Il Giornalino” è un periodico di ispirazione cattolica, nel senso migliore del termine, ma il mio fumetto presentava in effetti dei contenuti che avrebbero potuto entrare in conflitto con i dogmi della religione. Quindi l’ho proposto a una rivista tedesca, “Zack”, che pubblicava già una mia serie, "Gli Aristocratici". Subito hanno detto di sì ma poi si sono presentati problemi di varia natura. Alla fine, è uscito in Italia sul settimanale “SuperGulp!”.
Avevo concepito “Allan Quatermain” come un fumetto strutturato in storie brevi che poi si ricollegavano in una più lunga. Un giorno, andando verso il Lago Maggiore, ho pensato: «perché non cambio tutto e scrivo direttamente storie lunghe, sullo stile di “Zagor” e “Mister No”?». Ho proposto la cosa in Bonelli e mi è andata bene. All’inizio non sapevamo che nome dargli. Io avevo scelto Martin Mystère ma sembrava a tutti molto difficile da pronunciare e da ripetere. Ne abbiamo inventati moltissimi altri e alla fine l’ha spuntata, senza aver convinto completamente nessuno, Doc Robinson. Quando il primo numero era già stato completato con ovunque il nome Doc Robinson, è uscita in edicola una rivista intitolata “Robinson”, che ci ha costretto a buttar via tutto e a tornare a Martin Mystère. In fondo, questo nome ha funzionato bene, visto che l’anno prossimo la serie compirà quarant’anni.
Anche questo, come gli ottant’anni di Sergio Bonelli Editore, è un traguardo davvero importante. Quanto ti rende orgoglioso la cosa?
Sono convinto che sia, come dici tu, un traguardo davvero significativo per una serie nata dopo il 1976. In Italia, nel ’76, c’è stato un avvenimento davvero epocale in RAI. Fino ad allora, tutte le trasmissioni d’intrattenimento per piccoli e grandi, intendo telefilm e sceneggiati, uscivano settimanalmente: c’era il giorno della settimana in cui veniva trasmesso “Perry Mason”, quello in cui si poteva vedere “Nero Wolfe” o quello in cui noi ragazzi potevamo goderci “Le avventure di Rin Tin Tin” e così via. Nel ’76 è cambiato tutto. È nata infatti una fascia oraria speciale in cui tutti i giorni veniva proiettato un nuovo episodio della stessa serie. È arrivato “Furia cavallo del West” e poco dopo gli anime giapponesi “Heidi” e “UFO Robot Goldrake”. Da tutto ciò si è innescata la lenta ma inesorabile tendenza ad affezionarsi a un personaggio, accompagnata dall’attesa di una nuova avventura. Questo fenomeno raggiunge il suo apice – talvolta una vera e propria mania, con esplosioni di merchandise, licensing e altro – e poi si affloscia o addirittura scompare nel giro di qualche settimana, quando la serie si conclude e viene sostituita da un’altra.
Per tale motivo, tutti i personaggi di fantasia, nati dopo il 1976, hanno avuto molte meno possibilità di essere longevi rispetto a quelli nati prima di quell’anno, come Tex, Zagor, Diabolik, Lupo Alberto, ecc. Allora, se il mio Martin Mystère compirà ottimisticamente quarant’anni nel 2022, la cosa è davvero sorprendente. È questo vale ancor più per Dylan Dog e Nathan Never.
Al tuo Martin Mystère va dato un altro, enorme merito. È il protagonista di un fumetto che rompe gli schemi classici Bonelli, rappresentati da “Tex”, “Zagor” e “Mister No”, preparando il terreno ad altri generi diversi dal western o comunque dal modello tradizionale di avventura di via Buonarroti 38. In breve, senza “Martin Mystère” non ci sarebbero potuti essere “Dylan Dog”, “Nathan Never” e via dicendo. Sei d’accordo?
Sì, sono d’accordo. Sembro orribilmente presuntuoso ma voglio dire che Martin Mystère è casualmente Martin Mystère. Voglio dire che in Bonelli occorreva a un certo momento un personaggio che rompesse quella tradizione a cui facevi riferimento tu; una tradizione essenzialmente western – considero Mister No un personaggio western anche se sui generis. Occorreva dunque un nuovo tipo d’eroe che aprisse a nuovi meccanismi e percorsi narrativi, mantenendo comunque un pedigree bonelliano – in cui la narrazione ha come base una fonte e un’ispirazione più letteraria che visiva – e facendo da cerniera tra tradizione e innovazione. Il destino ha voluto che questo ruolo spettasse a Martin Mystère, ma avrebbe potuto essere “Pinko Pallino” o il “Signor Y”.
Tornando a come ha accolto Sergio Bonelli il mio personaggio, devo essere sincero e dire che mi ha aiutato la grande amicizia e la profonda stima reciproca che ci univa. Credo che Sergio non avrebbe accettato la cosa alla cieca, come ha fatto con me, se gli fosse stata proposta da un altro autore. D’altra parte, diceva scherzando, ma fino a un certo punto, di essere stato un po’ deluso da Martin Mystère, perché si aspettava una specie di “Texone” moderno e invece gli toccava leggere di teorie astruse e veder disegnati i computer – parola che Sergio pronunciava facendosi il segno della croce e facendo gesti apotropaici, perché li odiava.
Morale della favola, credo sia vero che Martin Mystère abbia permesso l’esistenza di Dylan Dog, di Nathan Never e di altri personaggi ben più importanti del mio. Mi arrogo l’orgoglio di dire che Martin Mystère ha permesso questo, ma aggiungo che è stato un caso o una questione di fortuna.
Martin Mystère è un precursore anche dal punto di vista dell’interpretazione grafica del personaggio. Tex ha delle regole da rispettare ben precise per un disegnatore, così come Zagor e Mister No. Con Martin Mystère non è più l’artista che si piega ai canoni del personaggio, ma ha una smisurata liberà di interpretarlo. Questa tendenza esploderà poi con Dylan Dog. Anche su questo sei d’accordo?
Sì, ma non solo per la parte grafica, anche per i testi. Gli sceneggiatori possono adottare uno stile che gli è più consono e seguire il proprio gusto per un certo tipo di storyline. Certamente, dal punto di vista visivo, con Martin Mystère il fenomeno addirittura è sfuggito di mano, lo considero un mio errore: partiamo con il primo e il secondo numero di Giancarlo Alessandrini, poi il terzo viene affidato ad Angelo Maria Ricci, il quarto a Franco Bignotti, ecc.… La cosa non ha fatto molto bene al neonato personaggio. Da un po’ di tempo stiamo cercando di omologarlo entro un ventaglio di interpretazioni più ristretto.
Martin Mystère ha funzionato e continua a funzionare, ed è un grande piacere constatare che da questo mese, il mese di maggio, la testata è passata da bimestrale a mensile, tornando alla periodicità originale. Qual è il tuo commento al riguardo?
Attenzione! Non pensiamo a cose splendide o straordinarie, ma il personaggio resiste così come i suoi lettori, che rimangono a lui affezionati. La casa editrice ha perciò deciso di ritornare alla mensilità, per i suoi appuntamenti in edicola. È ovviamente un buon segno. Si rispolvera il formato del passato con novantasei pagine e un apparato redazione più cospicuo, perché il pubblico ha dimostrato di apprezzarlo particolarmente. In più, in ogni albo, ci sarà una puntata di un nuovo romanzo del bravo Andrea Carlo Cappi, con una peculiarità: ogni episodio sarà ambientato nel mese d’uscita del fumetto, ma in un anno diverso. Saranno dodici puntate in tutto, ognuna semi conclusiva e ispirata al famoso “Il falco maltese”, romanzo hard boiled di Dashiell Hammett, da cui è stato tratto il film cult di John Huston del 1941, con protagonista Humphrey Bogart.
Va anche detto che Carlo sta lavorando anche al prossimo romanzo intero che uscirà in edicola, probabilmente nel 2022 per il compleanno di "Martin Mystère". Per celebrare il quarantenario voglio parlare anche di AMys, l'Associazione degli Amici di Martin Mystère, che io definisco gli appassionati – non mi piace la parola fan – ideali, perché preparati e documentatissimi, ma mai maniacali o invasati. Sanno tutto di “Martin Mystère”, molto più di me e forse di Carlo Recagno, che ne sa decisamente più di me, e stanno preparando un lavoro insieme a Sergio Bonelli Editore, che uscirà anch’esso nel 2022, ma di cui non posso ancora dire nulla.
Continuiamo a parlare dell’albo attualmente in edicola, il numero 375, scritto da te e disegnato da Lucio Filippucci. È intitolato “Ottant’anni fa” ed è un omaggio alla storia editoriale di Bonelli che si riallaccia alla rivista “Audace” sopra citata, in un mix tra fiction e realtà. Ci può svelare qualcosa di più sulla trama?
Questa è stata una bella sfida e mi sono divertito molto. Ho voluto e quindi dovuto coniugare nel soggetto vari eventi: la storia editoriale di Bonelli; la conferenza stampa per le celebrazioni degli ottant’anni, saltata per la pandemia; una cosa fatta da Gianluigi Bonelli, un mistero che può riallacciarsi a Martin Mystère e ai suo acerrimi nemici, gli Uomini in Nero. La trama ha inizio da un fatto realmente accaduto nella Seconda Guerra Mondiale. È la battaglia di Bardia, del gennaio 1941 in Libia, dove gli italiani vengono sonoramente battuti dagli inglesi. Nel ‘41 esce anche il primo numero della rivista pubblicata da Gianluigi Bonelli e lì ho fatto agire il personaggio da lui creato, l’Inafferrabile. È un agente segreto italiano che ho preso pari pari, liberandolo soltanto dalle inevitabili, per quell’epoca, scorie di propaganda fascista.
A questo intreccio nel passato si aggiunge il piano tempo temporale presente, con la conferenza stampa a cui partecipa anche Martin Mystère e che riceve in regalo da uno sconosciuto un numero dell’Audace che non esiste: è stato pubblicato durante le due settimane in cui il giornale non è uscito in edicola per il passaggio di proprietà a Bonelli e la sua ridefinizione da rivista contenitore di storie bravi a una lunga, da parte dello stesso Gianluigi. Martin Mystère si confronta sul problema con Gianni Bono, mio caro amico nonché uno dei massimi esperti di Fumetto in circolazione. Inoltre, il protagonista, sfogliando l’albo trova nel suo paginone centrale una sua avventura, o meglio quella di Martin Mistèro, insieme al suo assistente Tomi, identico a Java, che però parla, e leggerete come. Nella storia a fumetti, Mystèro si ritrova nel luogo dove avevamo lasciato l’Inafferrabile e, cosa incredibile, nello stesso luogo in cui Martin Mystère ha appena saputo doversi recare. Lì si conclude l’albo che si ispira anche a un romanzo poco noto di Jules Verne, “L'invasione del mare”.
Sullo speciale estivo, invece, puoi anticiparci qualcosa?
Posso dirvi che, a proposito di un altro evento celebrativo, niente meno che i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, ho ideato una breve storia di sedici pagine sul sommo poeta. Ne ricordo poche come questa su cui ho faticato tanto, perché è documentatissima e vuole portare alla luce un Dante vero che pochi conoscono. Sarà contenuta nell’abituale Flip Book e parlerà dell’uomo che, prima di scrivere e fare politica, ambiva a diventare cavaliere, tant’è che possedeva un costoso cavallo da guerra, che poteva essere pagato allora come una decina di cavalli comuni, in quanto addestrato di tutto punto. Per la copertina, infatti, ho in mente un Dante a cavallo nello stile di "Tex", anche per la scritta.
La seconda storia dello speciale è ristampata ma non l’ha mai vista nessuno ed è ancora legata a un centenario: il centenario della parola robot, che appare per la prima volta nel dramma teatrale del ceco Karel Čapek, “R.U.R “, che sta per “Rossum's Universal Robots”. In realtà la pubblicazione è del 1920, ma la pièce viene messa in scena l’anno seguente. Il termine in questione è derivato dal sostantivo robota, che in lingua originale significa “lavoro” e che Čapek utilizza nella sua opera per denominare gli automi che faticano al posto degli operai. Esisteva già, invece, la parola automa: in “The Master Mystery”, serial cinematografico del 1919, Harry Houdini lotta contro Automaton, il primo robot cattivo del cinema.
Per quanto riguarda il restyling del personaggio, che abbiamo visto in “Martin Mystère: Le Nuove Avventure a Colori”, il progetto vedrà una terza stagione dopo le prime due del 2016 e del 2019?
Credo che, almeno per il momento, non ci sarà una terza stagione. Onestamente devo dire che la prima era andata abbastanza bene, pressoché in pari da un punto di vista economico; la seconda non ha avuto la stessa fortuna. Probabilmente sono stati fatti degli errori in entrambi i casi. C’è, a parer mio, la possibilità di farne una terza, aggiustando la mira, perché come per il tiro al bersaglio, sono convinto che al primo colpo si finisce troppo in alto, al secondo troppo in basso e al terzo si fa centro. Ho delle idee in mente, ma non le ho ancora proposte in redazione.
Io non sono un amante di operazioni come restyling e retcon. Sono sempre stato contrario ai rifacimenti di icone come Batman, Superman e altri supereroi, ma devo ammettere che questi rifacimenti hanno permesso loro di sopravvivere ed essere ancora appetibili per le nuove generazioni.
Io mi pento di aver fatto l’errore di aver fornito a Martin Mystère - cosa abbastanza inusuale per un personaggio dei fumetti – una data di nascita: il 26 giugno del 1942, esattamente cinque anni prima di me. Ero convinto che la serie avrebbe avuto vita breva, ma sono stato piacevolmente smentito. Di tanto in tanto trovo qualche lettore che mi sottolinea il fatto che oggi Martin Mystère dovrebbe ormai essere piuttosto vecchio e rincoglionito – fino a un lustro fa non mi giravano le scatole – e devo dargli ragione. A questo punto facciamo valere la regola come per i cani, ogni sette dei loro ne vale uno dei nostri. In una quarantina d’anni per noi ne sono passati cinque e mezzo per Martin Mystère, inoltre sa come tenersi sempre in forma.
Oltre che a condividere, “casualmente”, lo stesso giorno e mese di nascita, tu e Martin Mystère vi assomigliate davvero tanto. Quali sono i suoi aspetti in cui ti vedi pressoché riflesso e quali invece quelli da te più distanti?
Io in realtà sono solo il suo umile biografo, con cui lui è sempre in contestazione, perché sostiene che io inventi un sacco di palle sul suo conto. Cosa ci accomuna? Mi piacerebbe dire l’aspetto fisico, alto, biondo, aitante, ma non è così. Allora, direi il fatto di essere interessati un po’ a tutto e di non prendersi mai troppo sul serio pur essendo seri, cosa, quest’ultima, per niente facile. Il mio riferimento personale è Renzo Arbore. È un artista in grado di fare le goliardate più folli e spiritose, si diverte sempre in ciò che fa, ma quando vuole essere serio e parlare seriamente, nessuno dubita della sua serietà.
Concludiamo con la preziosa collezione di medaglie celebrative per gli ottant’anni di Sergio Bonelli Editore e con un comprimario d’eccellenza, Diana Lombard, prima fidanzata e poi moglie di Martin. La tua serie viene celebrata nella raccolta con due dischetti in metallo: uno dedicato al protagonista e l’altro all’inseparabile Java. Non ne avrebbe meritata una anche Diana per aver supportato e sopportato in tutti questi anni il nostro eroe?
In questo caso, faccio una cosa vile, che in generale non mi piace, ma rispondo dicendo che non è dipesa da me la decisione e aggiungo che avrei scelto proprio Diana. Java credo sia il personaggio più simpatico della serie ma non ha mai subito grosse modifiche, è così com’è dall’inizio. Diana merita la medaglia perché è cambiata negli anni e ha acquisito spessore e personalità. L’avevo concepita rifacendomi alla Minni delle origini, che Walt Disney introdusse nel suo universo narrativo per incarnare i vezzi e gli stereotipi della femminilità, così come Sergej Orloff era Gambadilegno – anche lui è cambiato molto. Oggi Diana è veramente di supporto a Martin, senza per questo rinunciare al suo essere donna e strizzando sempre un occhio alle situazioni di copia.
Lo stesso Martin Mystère è cambiato molto lungo la sua vita editoriale, apparendo negli spin-off e nelle incarnazioni più disparate, dal Martin Mystère alternativo degli anni 30, in un mondo assolutamente folle, al Martin Mystère in versione robotica, che vive al tempo di Legs Weaver e Nathan Never. Nessun lettore ha mai protestato, la cosa è sempre stata accettata come naturale. Questo mi fa piacere, perché non accade spessissimo nei fumetti e significa che Martin Mystère ha una sua forza intrinseca, indipendente dal contesto dove agisce.
Tornando ancora a Disney, mi viene in mente un altro personaggio con le stesse iniziali del mio, ma molto più nobile: Mickey Mouse. Nessun lettore si stupisce di vedere Topolino nel Vecchio West, nel futuro o nelle situazioni più disparate. Tutto è nato con l’albo numero 200, intitolato “Lo spettro della luce”, che contiene quattro episodi di cui solo uno, molto breve, vede come protagonista il Martin Mystère originale. In una delle storie compare anche Margherita Hack - donna che ho sempre adorato – contrapposta al Divino Otelma. Nonostante, avessimo camuffato la nota astrofisica nel fumetto, perché Sergio Bonelli temeva sempre di urtare la sensibilità dell’interessato, lei si è riconosciuta e parecchi anni dopo, in suo libro, “Sette variazioni sul cielo”, ha citato contenta la cosa. Quando l’ho letto ho provato una grande gioia e sono diventato definitivamente un suo ammiratore incondizionato. Tornando a noi, su queste trasformazioni di Martin nel numero 200 nessun lettore si era lamentato e ne ero gratificato non poco; per tale motivazione, ho ripetuto in seguito questo esperimento “topolinesco”, incontrando sempre la comprensione del mio pubblico, che posso solo ringraziare.
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