Un été brulant - la recensione
[Venezia 2011] Totalmente fuori tempo massimo e completamente sconnesso dal suo tempo, l'ultimo film di Garrel è un polpettone uscito (male) dagli anni '60...
Pellicola fuoriuscita dalla macchina del tempo. Se i film segmentano e selezionano il proprio pubblico nel momento in cui scelgono quali caratteri mettere in scena e in che maniera, io mi domando con raccapriccio chi sia il pubblico di Un été brulant.
Senza vergogna Philippe Garrel racconta di personaggi (lo preciso: che agiscono ai giorni nostri) che fanno discorsi in cui si dicono: "Se non sei per la rivoluzione allora sei reazionario e i reazionari stanno coi fascisti", che se la prendono con Sarkozy quando, in una scena che non c'entra nulla con il contesto, vedono alcuni uomini di colore arrestati (chiaramente non si sa se ci fosse un motivo o meno) e che nel momento di massima trasgressione dicono: "Forse non sono comunista. Mi interessa solo dipingere e amare".
Operazione nostalgia, si potrebbe dire (e comunque non si dovrebbe, perchè il film è ambientato nella modernità), ma questo non salverebbe il film dal suo guaio maggiore: la sua sconfinata lentezza a fronte di una totale mancanza di invenzioni visive o idee filmiche. Tutti i personaggi lavorano nel cinema (ci sono almeno un regista, un aiuto regista e due attori) e c'è anche un film nel film ridicolissimo (forse l'unica cosa voluta) ma di cinema serio nemmeno a parlarne. Il fatto che stia in concorso è il solito "mistero".
Come vedete, sono stato così signore da non menzionare il fatto che tutti i momenti più intensi sono stati malauguratamente lasciati alla Bellucci, con i prevedibili esiti.