A Simple Life - la recensione

[Venezia 2011] Solo il cinema asiatico poteva regalarci un ritratto così soffuso e minimalista di due esseri umani, del loro rapporto e del mondo che li circonda...

Critico e giornalista cinematografico


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Fin dal titolo A Simple Life sembra ricalcare certe operazioni buoniste del cinema americano (ma anche del nostro), inni alla vita e alla tranquillità che spesso sono la scusa per film conservatori, senza idee e semplicemente strappalacrime senza un'idea precisa di come fare a prenderle con classe. Questo film non è così, questo film parla davvero di una vita semplice.

Con atteggiamento compassato e minimale, senza ravanare nel dramma ma anzi cercando di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno nelle vicende dei suoi protagonisti, Ann Hui racconta la storia semplicissima (e proprio per questo mortalmente complessa da rappresentare come tale) di un uomo e la sua donna di servizio. Lei lavora nella di lui famiglia da 60 anni ormai, lui ha circa 40 anni e ne dipende come da una madre.

Non vi aspettate improvvisi drammi, parenti serpenti che sbucano nell'ombra o tragiche congiure, A simple life è un film che se lo vede Miyazaki si commuove (come ho fatto io del resto), un film in cui le persone cercano di essere brave persone e di comportarsi bene. Tutte. Ma contrariamente a quanto accade quando il cinema vuole raccontare storie di buoni con toni buoni, qui il ruffiano è ridotto ai minimi termini e qualsiasi sospetto di allisciamento del pelo dello spettatore che potete avere mentre leggete questa recensione è solo dovuto alle vostre esperienze cinematografiche negative in materia.
 

A Simple Life gioca d'attesa, si acquatta mentre sembra raccontare cose normali e nelle pieghe di eventi apparentemente poco importanti inserisce dettagli di una delicatezza e una sensibilità micidiali. Non è tanto nello svolgersi degli eventi che sta il segreto di questo film, quanto nella tenacia con cui i personaggi entrano sottopelle allo spettatore a furia di normalità per poi fuoriuscirne al minimo movimento del cuore.

Incastrato per bene dentro i palazzoni di Hong Kong (ma la famiglia in questione è abbiente) e saldamente ancorato al contesto del cinema hongkonghese (si sprecano le partecipazioni speciali nella parte di se stessi, ne dico due per dirle tutte: Tsui Hark e Sammo Hung), costellato di umorismo e soprattutto determinato a fare comprendere ad ogni altro essere umano che si siede in sala la radice vera del vivere sociale, A simple life appare come un film che poteva venire solo dal clima asiatico, la cui compassata ammirazione per l'instancabile affetto che gli uomini provano per altri uomini si fa stupore anche nello spettatore più disincantato.

Se non vince qualcosa al Festival di Venezia, il mondo è un posto ingiusto.

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