A Simple Life - la recensione
[Venezia 2011] Solo il cinema asiatico poteva regalarci un ritratto così soffuso e minimalista di due esseri umani, del loro rapporto e del mondo che li circonda...
Fin dal titolo A Simple Life sembra ricalcare certe operazioni buoniste del cinema americano (ma anche del nostro), inni alla vita e alla tranquillità che spesso sono la scusa per film conservatori, senza idee e semplicemente strappalacrime senza un'idea precisa di come fare a prenderle con classe. Questo film non è così, questo film parla davvero di una vita semplice.
Non vi aspettate improvvisi drammi, parenti serpenti che sbucano nell'ombra o tragiche congiure, A simple life è un film che se lo vede Miyazaki si commuove (come ho fatto io del resto), un film in cui le persone cercano di essere brave persone e di comportarsi bene. Tutte. Ma contrariamente a quanto accade quando il cinema vuole raccontare storie di buoni con toni buoni, qui il ruffiano è ridotto ai minimi termini e qualsiasi sospetto di allisciamento del pelo dello spettatore che potete avere mentre leggete questa recensione è solo dovuto alle vostre esperienze cinematografiche negative in materia.
Incastrato per bene dentro i palazzoni di Hong Kong (ma la famiglia in questione è abbiente) e saldamente ancorato al contesto del cinema hongkonghese (si sprecano le partecipazioni speciali nella parte di se stessi, ne dico due per dirle tutte: Tsui Hark e Sammo Hung), costellato di umorismo e soprattutto determinato a fare comprendere ad ogni altro essere umano che si siede in sala la radice vera del vivere sociale, A simple life appare come un film che poteva venire solo dal clima asiatico, la cui compassata ammirazione per l'instancabile affetto che gli uomini provano per altri uomini si fa stupore anche nello spettatore più disincantato.
Se non vince qualcosa al Festival di Venezia, il mondo è un posto ingiusto.