Roma 2014 - Trash, la recensione
Diviso tra discariche e favela, tra fogne e pertugi angusti Trash corre dentro i meandri del Brasile seguendo tra protagonisti instancabili
Sono infatti pure comparse Rooney Mara e Martin Sheen, americani in un film tutto portoghese girato in pieno stile Meirelles, cioè con contrasto fortissimo e colori accesi (un espressionismo cromatico ormai diventato sinonimo di Brasile), macchina a mano e un punto di vista per nulla paternalistico. In Trash infatti non è tanto l'intreccio o la parte thriller ad appassionare (si è visto decisamente di meglio, di più coerente e più plausibile) ma la maniera in cui la favela non è il simbolo del disagio. Non si percepisce che a ritrarre quel mondo ci sia uno straniero perchè lo sguardo non è mai dall'alto verso il basso, non è pietistico e nemmeno da una certa distanza. Daldry sembra proprio aver aderito all'estetica di Meirelles perchè si disinteressa della favela in quanto tale, del disagio e delle condizioni dei protagonisti, elementi già sufficientemente evidenti da sè.
Ne giova tutto allora. In primis il ritmo, che non perde tempo appresso a sociologia spicciola, poi la trama che ha la possibilità di concentrarsi sugli eventi e non su ciò che gli sta intorno (che peccato che più ci si avvicina alla fine, più il film insista sul suo favolismo abbandonando sia l'epica che il realismo duro) e infine può lavorare concretamente sul cinema e non sul "messaggio". Infatti in quei piccoli corpi asciutti che sembrano capaci di penetrare qualsiasi aggregato urbano, di passare in qualsiasi pertugio e scavalcare qualsiasi inferriata (addirittura camminano sulle travi che sovrastano una strada a scorrimento veloce) c'è una potenza dinamica e cinematografica che Daldry coglie in pieno, una gioia del movimento che dona anche alle scene più trite una vitalità contagiosa e quasi miracolosa. Se City of God metteva in scena l'epica del Brasile moderno, Trash gode nel ritrarne i movimenti.