Resina, la recensione
Serviva decisamente un altro cast o un altro svolgimento o ancora un'altra forma per dare un senso a Resina
In Resina invece la trama è quella di una ragazza che da quel paesino era partita verso la grande città e che lì ora torna perché non ha fatto la carriera nella musica che sperava. Nel paesino c’è la sua famiglia un po’ disastrata, con una madre chiusa nel mutismo e una sorella che si è presa tutti i pesi sulla spalle e c’è però anche un coro tradizionale ormai decimato che forse avrebbe bisogno di qualcuno di esperto per tornare a sperare nei concorsi internazionali. Dinamiche da centro piccolo, speranze velleitarie e vecchi ostinati. Gli ingredienti sarebbero pure buoni ma il film davvero non sa che farsene, è ostinatamente reticente ad affidarsi ad un intreccio potenzialmente appassionante e gli preferisce il percorso di apertura alle proprie origini della protagonista che non funziona mai a dovere (complice Maria Roveran, la protagonista, mai davvero interessante).
Resina è sostanzialmente noioso, questo il suo grande problema. Appesantito da attori non in grado di reggere un film e una regia che regolarmente pare puntare sulle componenti più punitive del film, desidera senza successo creare interesse per i suoi marginali, per questi uomini e donne che dovrebbero così tanto riscoprire la forza della tradizione e delle proprie origini ma sembrano sempre non riuscire a farcela. Con una sceneggiatura così esile e parca di dialoghi, espedienti di retorica del cinema e intrecci, sarebbe stato necessario davvero un altro tipo di ritmo e un’altra idea di cinema (decisamente più sofisticata) per rendere Resina anche solo minimamente interessante, per dargli almeno un passo accettabile.