Preacher 1x08 "El Valero": la recensione
Ottavo episodio per Preacher, grottesco e sorprendente. La serie della AMC continua a convincere
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“You dug out of Hell with your hands?” “It’s not that far.”
Uno scambio di dialogo così sintetico, e così bello, basta a dare un tono all'episodio. Anzi, più toni. Perché è su questa inafferrabilità di fondo, che poi è un'impronta stilistica chiara e definita, che Preacher ha giocato fin dall'inizio. Ma andiamo con ordine, e ripartiamo dall'assalto alla chiesa guidato da Odin Quincannon, folle predicatore materialista che, rispondendo alla pressante questione su come avesse fatto a sfuggire all'ordine di Jesse, ci risponde indirettamente. Esiste un dio concreto, fatto di carne e sangue e denaro, al quale si può rispondere, lo stesso che, in una sanguinosa epifania, gli si era manifestato nella morte della sua intera famiglia. Si dovesse giudicare solo dalle cold open, Preacher sarebbe una delle serie migliori degli ultimi anni.Qui non soltanto riprendiamo da un'altra ottica il flashback di Jesse, scoprendo cosa aveva visto oltre quella porta da bambino, ma diamo anche uno sguardo più ravvicinato a Odin, testandone nuove potenzialità ora che sappiamo cosa scatenò in lui la follia. Nulla a distinguere le interiora di un umano da quelle di una mucca, nessun segno di un'anima, nessun motivo di salvezza. Che è un problema affrontato direttamente, in altri modi, anche da Jesse. "You're just a speck of dust passing through the glory of Creation", gli dice l'angelo chiamato a liberarlo da Genesis, e Jesse si sottomette, malvolentieri, alla rinuncia, comprendendo infine che non può sostituirsi a Dio nel giudicare i peccati e salvare le anime. Poi il rito non funzionerà – perché non può funzionare – ma era importante scavare più a fondo nella mente e nelle motivazioni di un personaggio che finora era stato troppo egoista e con cui era difficile empatizzare.
Tutto l'episodio ruota intorno a Jesse, è costruito intorno alla sua grottesca difesa della chiesa dagli attacchi di Quincannon. Eugene, di ritorno dall'inferno ma solo come manifestazione incorporea della persona che fu, non arrabbiata o spaventata, semplicemente rassegnata e assetata, è lo specchio che permette al protagonista di vedersi per ciò che è diventato e di fare un passo indietro. A meno che non sia troppo tardi. La tensione e le assurdità crescono di pari passo, e infine il protagonista si trova a dover cedere, riuscendo a ricavare solo un'ultima domenica con la quale riuscire a portare Dio nella sua chiesa. Un momento in cui si giocherà il tutto per tutto.Quanto era grottesco e sorprendente questo episodio? Siamo talmente abituati a percorrere, e a veder percorrere, quasi inconsciamente le stesse strade, che un episodio così non può passare inosservato e non dovrebbe essere liquidato come l'ennesimo in cui "non succede niente". Abbiamo alcune conferme su punti rimasti oscuri come la follia di Quincannon e il modo in cui intende dio. Affrontiamo il discorso su Eugene e sullo strano motivo per il quale si è ritrovato all'inferno. E poi ci sono tanti, ma tanti piccoli momenti e trovate che, pur non servendo alla storia, creano quello stile particolare di cui Preacher abbonda: il tipo solitario che si lancia all'assalto della chiesa mormorando di ristoranti e si ritrova con gli attributi staccati di netto, il cane adottato da Tulip che finisce come pasto per Cassidy, il finto (qui siamo noi a essere ingannati) suicidio di Donny, che in realtà vuole fare tutt'altro, quel momento di totale abbandono a noi stessi in cui non sappiamo se Eugene è vero, è un'allucinazione o un demone. E poi altro ancora.