Nonostante, la recensione: Valerio Mastandrea è un fantasma e pure il film
La recensione del secondo film da regista di Valerio Mastandrea, presentato come apertura del concorso della sezione Orizzonti
Il secondo film di Valerio Mastandrea dopo Ride gli somiglia. Se non altro. O almeno somiglia alla personalità che rivela nelle interviste e che in certi casi tracima in alcuni personaggi: indolente, incline alla battuta, esistenzialista, tradizionale, appassionato di una forma di poesia che ha ben poco di retorico e molto di pratico e quotidiano. Con queste caratteristiche se Nonostante fosse stato anche un buon film, sarebbe potuto essere davvero bello.
Comincia molto bene, con lo stesso Valerio Mastandrea in una sequenza d’apertura che è la cosa più vicina a un musical a cui questo film (che è pieno di canzoni, pure troppo, pure tenute troppo a lungo senza un vero senso) arriverà. È fatta di transizioni, di movimenti, di uso dell’ambiente esterno di un ospedale come fosse un palco in cui il protagonista (Mastandrea stesso) si muove come se nessuno lo vedesse e come se lo conoscesse così bene da potersi far portare da un muletto o sfruttare i movimenti di un montacarichi per entrare dalla finestra nella stanza in cui c’è lui stesso, sul letto. Questa è la storia di alcuni fantasmi bloccati nell’ospedale in cui i loro corpi sono in coma. Il protagonista, in particolare, sta lì con una forma di rassegnazione, cinismo e spirito d’adattamento a ogni cosa per indolenza, che Mastandrea recita (e scrive) bene e che non è difficile da immaginare.Nel corso di Nonostante questi spiriti (esiste anche una mitologia su come vivono lì, cosa possono fare, cosa accade se i loro corpi tornano in vita o se qualcuno muore…) interagiscono, vivono come si vive negli ospedali romani dei film di Francesca Archibugi o come si viveva in uno dei primi film di Mastandrea, In barca a vela contromano, con disillusione romana e fraternizzazione popolare. Tutto fino a che non arriva una donna, e il suo spirito ad accompagnarla. A questo punto il film va in confusione: nasce un sentimento di cui non si comprende esattamente “come” nasca o “quando” nasca, c’è un po’ di deragliamento della struttura, il film si perde in mille variazioni sul tema principale e si affacciano le metafore che non lo abbandoneranno più fino alla fine.
Nonostante è egualmente incline a essere letto come un film sulla fine dei rapporti e sull’ineluttabilità della morte nonostante ogni lotta, oppure come il su opposto, cioè un film sull’aggrapparsi con tutte le forze alla vita, cercando di vivere, sentire e amare contro ogni forza fisica e metafisica. Purtroppo è anche costantemente incompleto; gli manca sempre qualcosa per andare dove vorrebbe. E quando invece vuole essere chiaro la scrittura mostra i suoi limiti. Non è un problema che gli spiriti abbiano relazioni semplici e scontate (anzi, potrebbe essere una risorsa), è un problema che queste siano scritte con una grandissima economia di gesti e dialoghi, che però non si accoppia all’efficacia che è richiesta per renderli valevoli. Va bene lavorare in sottrazione (anzi, è ottimo, Mastandrea ci ha costruito una carriera attoriale straordinaria), ma quel poco che vediamo e che si fa deve dire molto. Altrimenti c’è poco punto e basta.