Non dire niente, la recensione: una storia personale coinvolgente per parlare di un complesso periodo storico

Su Disney+ è arrivata la miniserie Non dire niente, ispirata al libro di Patrick Radden Keefe, che racconta una drammatica pagina di storia da una prospettiva molto umana e ricca di sfumature

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Su Disney+ ha debuttato la nuova serie Non dire niente, adattamento del libro scritto da Patrick Radden Keefe composto da 9 episodi che racconta una storia che prende il via durante il periodo del conflitto nord irlandese conosciuto come The Troubles.

Cosa racconta Non dire niente

Seguendo quello che accade nel passato e nel presente, le puntate raccontano la storia di Dolours Price e sua sorella Marian, determinate a seguire le orme del padre e lottare contro la discriminazione. Le giovani decidono quindi di aiutare in modo attivo l'IRA, ritrovandosi a rapinare banche, organizzare esplosioni ed essere coinvolte in attività dalle conseguenze drammatiche.

Le due ragazze incontrano anche Gerry Adams (Josh Finan), leader del gruppo, che successivamente negherà il proprio ruolo attivo nelle attività dell'IRA, mentre Brendan Hughes (Anthony Boyle) mette a disposizione la sua passione e la sua capacità di organizzazione.

Il destino di quei giovani si intreccia inoltre in modo indelebile con quello di Jean McConville, una madre single che viene rapita dalla propria casa nel 1972, scomparendo nel nulla.

Le protagoniste di Non dire mai

Il peso del passato

Non dire niente sfrutta molto bene la scelta di alternare le due dimensioni temporali per creare un contrasto, a tratti netto e profondamente drammatico, tra gli anni della giovinezza in cui le protagoniste sono animate da forti ideali e fervore e l'età adulta, in cui si deve fare i conti con il peso emotivo legato alle azioni compiute, rendendosi conto dell'impatto avuto su altre persone innocenti.

La figura di Dolours, assolutamente centrale nella narrazione, diventa essenziale per incarnare tutte le sfumature di una persona che evolve, matura e va alla disperata ricerca di una redenzione che diventa necessaria per poter vivere in serenità con sé stessa. Il personaggio femminile, ben interpretato da Lola Petticrew e Maxine Peake, compie il suo percorso interiore rimanendo comunque ben saldo su un'idea di giustizia e verità che progressivamente supera i confini di un gruppo e assume caratteristiche universali, rendendosi conto che il confine tra buoni e cattivi non era così chiaro come poteva pensare quando era una teenager. Le scelte che Dolours e sua sorella compiono, persino le più estreme, non vengono rinnegate, ma considerate da una prospettiva diversa, meno estremista, ma molto più umana.

La miniserie, inoltre, puntando l'attenzione sui personaggi femminili, dalle sorelle a Jean che viene accusata di passare informazioni ai britannici durante gli scontri, segue in modo piuttosto convincente le differenze sociali che dovevano affrontare, confrontandosi con una società ancora maschilista che cerca di rinchiuderle in ruoli e attività che limitano le loro capacità o le discriminano profondamente con giudizi affrettati e non basati sulla realtà.

Le presenze maschili, dall'enigmatico Gerry Adams (interpretato da Josh Finan e Michael Colgan) al pratico Brendan (un Anthony Boyle che si conferma ancora una volta un talento da non perdere d'occhio grazie alla sua intensità e recitazione mai sopra le righe), diventano essenziali per enfatizzare la drammatica trasformazione avuta da Dolours, passando dalla trascinante convinzione in ideali condivisi alla rinnegazione delle proprie azioni pur di mantenere un ruolo di spicco nelle politiche esistenti durante e dopo il conflitto. Di una figura femminile così complessa non si mette mai nemmeno in secondo piano l'affetto senza mai compromessi che prova nei confronti della sorella, anche nei momenti in cui le loro opinioni le portano su due sentieri diversi che si sviluppano quasi in opposizione.

Un progetto molto curato

Il creatore e produttore Joshua Zetumer ha potuto contare su un team di alto livello dal punto di vista tecnico e artistico, con una buona ricostruzione visiva, tra costumi e set, delle diverse annate in cui si svolgono gli eventi. Le scelte musicali compiute, inoltre, risultano particolarmente efficaci nell'accompagnare gli spettatori nel corso delle puntate, ben costruite per mantenere alta l'attenzione e, al tempo stesso, proporre una narrazione fruibile in modo ottimale anche da chi non ama il binge watching.

Una scena della serie

Dal punto di vista storico, come piuttosto prevedibile, la serie drammatizza eccessivamente alcuni passaggi e rischia di umanizzare fin troppo chi si è macchiato di crimini imperdonabili, tuttavia più che una ricostruzione esatta del passato, il progetto sembra volerne sottolineare la complessità dal punto di vista etico e morale che bisogna tenere in considerazione per avvicinarsi ai racconti personali, non storici, legati alla lotta per l'indipendenza irlandese.

La visione, in più di un momento molto difficile per la brutalità emotiva al centro degli eventi, lascia comunque il segno grazie alle ottime interpretazioni e alla qualità raggiunta dalla produzione. Non dire niente emoziona e fa riflettere, obbligando a lasciare in sospeso il proprio giudizio fino al termine delle puntate.

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