Mr. Beaver - La recensione

Ardito e non riuscito fino alla fine il nuovo film di Jodie Foster riporta sullo schermo Mel Gibson. Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo...

Critico e giornalista cinematografico


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Arriva fuori concorso a Cannes (e subito nelle nostre sale) il terzo film da regista di Jodie Foster, ancora una volta centrato su una famiglia e nuovamente alle prese con la malattia mentale di uno dei membri. Il castoro del titolo (che in italiano diventa "mr.") è il pupazzo che il protagonista adopera per superare il suo problema di depressione. Parlando attraverso il pupazzo inscena una nuova personalità o meglio quella parte di sè che lotta contro l'immobilismo e l'ignavia che da qualche anno stanno rovinando la sua vita professionale e familiare. Da quando Mr. Beaver prende controllo della vita di Walter tutto sembra migliorare di colpo: il lavoro, i rapporti con i figli e quello con la moglie. Ma è pur sempre una personalità parallela... Mel Gibson è senza ombra di dubbio il più maltrattato ed emarginato tra gli straordinari talenti del cinema americano. Se poi si meriti o meno quest'emarginazione, a causa delle sue intemperanze alcoliche antisemite, non è discorso da farsi in questa sede, tuttavia ogni film che riporta sullo schermo la sua maschera drammatica (molto migliore di quella già forte nelle commedie e nell'action) è un piccolo evento. Era riuscito a dare una forza vibrante all'ultimo fiacco film di Martin Campbell (Fuori Controllo) e ora è il fulcro di un film poco convincente dal punto di vista sentimentale ma estremamente curato. Ed è questa la vera forza cinematografica di Jodie Foster, avere un occhio registico coraggioso e audace. Purtroppo fa spesso il passo più lungo della gamba (insulsa la storia parallela del figlio adolescente, un po' sbrigativa la risoluzione finale) ma la convinzione con cui porta avanti la storia grottesca di un uomo che parla attraverso un pupazzo e si fa così rispettare, ha del meritevole. E' precisa e rigorosa, il castoro ansima e rimane assieme a Walter anche quando fa sesso con la moglie o quando le scene si fanno serie e pesanti, generando una dimensione tra il grottesco e il pietoso (in senso positivo) che è merce rara. In originale quest'idea è rafforzata e resa ancor più comica dalla parlata cockney dialettale del castoro che invece nel doppiaggio italiano diventa semplicemente profonda e autorevole, quasi a suggerire gli sviluppi finali del film.  
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