Mega Man 11 è precisino, pulitino, ma solo bellino - Recensione
A otto anni dal capitolo precedente, il ritorno del bombarolo blu: la recensione di Mega Man 11
È con un flashback che porta brevemente il giocatore ai tempi in cui il dottor Light e il dottor Wily erano ancora due giovani scienziati con la passione della robotica che Mega Man 11 inizia, un espediente narrativo atto a presentare un espediente di gameplay, il Double Gear, che di fatto è l'unica particolarità di un impianto di gioco squisitamente action platform, come sempre articolato attraverso gli otto livelli degli altrettanti robot master e i tre conclusivi, che conducono alla battaglia finale (ed è perfettamente inutile che vi diciamo contro chi).
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Non era comunque nel tipo di progressione che Mega Man 11 doveva osare, quanto piuttosto in un level design che avrebbe dovuto provare a inventarsi varie soluzioni per rendere le varie aree controllate dai robot master stuzzicanti, farcite di soluzioni ludiche di vario tipo, coniugando la precisione del salto e dello sparo tipica della serie a qualche trovata intelligente: purtroppo non lo fa. Le sensazioni che si provano, pad alla mano, dal momento in cui il robottino blu tocca terra all'inizio di ogni livello a quello nel quale il robot master esplode e se ne ottiene l'arma sono familiarissime, anche troppo, perché nel tentativo, riuscito, di fornire al giocatore un'esperienza senza sbavature Capcom s'è scordata di metterci un poì di inventiva. È tutto arcinoto: sparare, tanto, ai nemici di vario tipo, saltare, molto, ma quasi mai attraverso sezioni platform particolarmente impegnative, sconfiggere i boss con l'arma alla quale sono vulnerabili. Un compitino dignitoso, ma al quale mancano l'estro e lo stile necessari a elevarlo.
"È tutto arcinoto: sparare, tanto, ai nemici di vario tipo, saltare, molto, ma quasi mai attraverso sezioni platform particolarmente impegnative, sconfiggere i boss con l'arma alla quale sono vulnerabili"Ci se ne accorge in varie occasioni, quando interi livelli si strutturano su trovate poco riuscite (come quello di Bounce Man, pieno di palloncini sui quali rimbalzare), o ripropongono per l'ennesima volta trovate strabusate (nel livello di Torch Man per ben tre volte si dovrà scappare dal solito muro di fuoco che tutto consuma). In alcuni frangenti è necessario, per cavarsela, utilizzare il Double Gear, che per poco tempo concede maggiore potenza di fuoco o rallenta lo scorrere del tempo, ma chiaramente non può bastare da solo a dare brìo a un level design senza picchi. Degli undici livelli nei quali il gioco si articola sono solo un paio quelli degni di nota, il resto è connotato da una godibile banalità. Occasionalmente sono le fasi platform a cercare di elevare la qualità dell'esperienza, ma sono tormentate dal solito problema del 2D e mezzo, la difficoltà che ha il giocatore nel percepire i confini delle piattaforme, magari salta troppo in anticipo, sbatte su un blocco al di sopra, lo slancio viene annullato e precipita, o semplicemente va lungo.[caption id="attachment_190012" align="aligncenter" width="1920"] I robot master non sono particolarmente ispirati[/caption]
Apprezzare Mega Man 11 è facile, la purezza dell'esperienza ludica lo rende di facile fruizione, i vari livelli di difficoltà lo piegano alle abilità di ogni tipo di giocatore. È altrettanto facile però scordarsene, una volta passati i titoli di cosa, per la leggerenza dell'esperienza di gioco ma anche per una certa mancanza di carisma: è grave, visto la tradizione in tal ambito della serie, che non ci sia ad esempio nemmeno un brano memorabile tra quelli che compongono la colonna sonora. Mega Man è tornato, ma non è ancora il momento della gloria.