Hotspot - Amore senza rete, la recensione
Non è la serie di film Sul più bello ma Hotspot ne replica molte delle caratteristiche adattandole alla classica commedia italiana svogliata
La recensione di Hotspot - Amore senza rete, il film di Giulio Manfredonia in sala dal 6 giugno
Adesso, sempre Eagle Pictures con Hotspot - Amore senza rete fa una specie di sequel spirituale di Sul più bello, ma ambientato nel mondo delle commedie italiane. Non è legato in nessun modo a quella serie di lungometraggi (solo in un momento i personaggi di questo film guardano in tv il primo dell'altra saga) ma ne ha l’aria, i punti salienti e quel tipo di viraggio queer di una storia etero. Come nelle commedie italiane un dettaglio di moda tecnologica è lo spunto (lo faceva Salemme in SMS - Sotto mentite spoglie, lo faceva Moccia in Non c’è campo), e come nelle commedie italiane c’è una forte presenza del territorio (è tutto ambientato a Napoli con grande menzione di luoghi iconici e istituzioni locali, droni panoramici e luoghi cartolineschi). Invece come nelle commedie Eagle la protagonista con la sua fierezza conquisterà il cuore di un uomo che solitamente è spietato conquistatore di femmine, non ha una famiglia dietro di sé ma un gruppo di amici (coinquilini) che formano per lei una famiglia allargata e hanno una trama dedicata in cui a loro volta formano una famiglia tra di loro. Anche lì, di veri parenti non c’è traccia. Infine non manca la guest star: Peppe Servillo.
E dei film italiani Hotspot ha tutte le caratteristiche di messa in scena più degradanti, senza saltarne nemmeno una: ha le musiche assassine che entrano continuamente insieme a una battuta sentimentale, pronte a sottolineare tutto, anche nei piani di ascolto come nelle soap; ha il montaggio musicale alla fine in cui uno dei personaggi ricorda i momenti felici con gli altri attraverso scene che abbiamo visto letteralmente 20 minuti prima; ha un finale positivo con risoluzione di tutte le trame attraverso l’accoppiamento (quella dinamica per la quale nessun personaggio deve rimanere solo); ha la venerazione generica per il mondo dell’arte, senza un approccio complesso ma con una sbrigativa ammirazione dei luoghi iconici; soprattutto ha quel modo svogliato di dare un blando ritmo a un intreccio eterno senza tagliarselo su misura, nonché di (non) curare la recitazione e (non) caratterizzare i personaggi.