Hand of God è quel tipo di storia che potrebbe poggiare tranquillamente solo sulle tematiche esposte e affrontate. Alla base di tutto c'è un'idea di giustizia senza compromessi, un fervore religioso che entra nelle strutture del potere e che, attraverso il motore della vendetta, mette a nudo compromessi e fragilità di quelle persone che si trovano ad amministrare la legge e che per il loro ruolo dovrebbero rappresentare l'imparzialità. Eppure la nuova proposta di
Amazon Studios, presentata circa un anno fa e quindi ordinata come stagione completa – arriverà il prossimo 4 settembre – si muove con pesantezza e prevedibilità tra gli scomodi argini della vicenda presentata, riscattata solo in parte da un cast ineccepibile.
Protagonista della storia è l'implacabile giudice Pernell Harris, interpretato con la solita bestiale ferocia da Ron Perlman, in piena esaltazione mistica e riscoperta religiosa dopo un trauma che ha colpito la sua famiglia di recente. Lo stupro della nuora e quindi il tentativo di suicidio del figlio, avvenuto anche a causa della mancata cattura del responsabile, lo spingono sulla strada verso la losca congregazione nota come "Hand of God", alla quale concede una grossa donazione. Nel frattempo lui e la moglie Crystal (un'ottima Dana Delani) devono affrontare la decisione, non più rimandabile, della nuora Jocelyn (Alona Tall) di voler staccare la spina al marito che si trova in coma dopo il tragico evento. Mosso ormai da un distorto senso della morale, in preda ad allucinazioni visive e uditive, il giudice deve inoltre subire le pressioni del sindaco Robert Boston (Andre Royo), che lo vuole al suo fianco in un affare riguardante dei terreni. Al tempo stesso, si impegna in prima linea per trovare il responsabile dello stupro e punirlo.
C'è innanzitutto un'idea di morale che è esterna rispetto alla storia, e che prende come modello della vicenda
Il giustiziere della notte del 1979. Ron Perlman è un Charles Bronson contemporaneo, che magari non si sporca le mani in persona, che magari agisce sotto la spinta di un fervore religioso, ma le cui azioni partono sempre da un evento traumatico che spezza l'uomo equilibrato che era stato fino a quel momento e lo spingono sulla strada della vendetta. Nella violenta e cinica rappresentazione che era tipica degli anni '70 tutto questo intavolava un dibattito sulla giustificazione della violenza personale di fronte all'immobilità e all'impotenza dello Stato. Oggi questo sottotesto scompare, rimane una storia i cui punti in comune non sono casuali, ma dove – nonostante il twist finale – rimane ferma la condanna del protagonista.
Dall'altra parte poi c'è un'idea di morale interna alla vicenda, che è quella che lega il particolare e delicatissimo ruolo di Pernell con quell'idea vendicativa di religione. È a questo punto che il titolo Hand of God assume un doppio valore, identificando il giudice – il passo verso Salomone è breve, ed è proprio così che infatti qualcuno lo definirà – come lo strumento in terra della giustizia divina. Chiesa, Stato, giudici, simboli del potere e della corruzione che si fondono e confondono l'uno con l'altro, confini e certezze che crollano, tanta disillusione.
C'è da sperare che le rimanenti nove puntate della stagione, che verranno rilasciate in blocco, siano più scorrevoli e più brevi del pilot. La mano del regista
Marc Forster si muove tra luoghi comuni (favori sessuali, tradimenti, appalti truccati, tutto molto già visto) e quando cerca di imbastire una visione più personale finisce per porre situazioni troppo eccessive per colpire realmente. Su tutto si ricordano le assurde sfuriate del protagonista, ma anche e soprattutto una scena di tortura psicologica (su un sospetto, sulla nuora e su di noi) talmente esagerata e fuoriluogo da rasentare il ridicolo. Hand of God chiede molto e offre molto sotto il profilo degli eventi in questo pilot, forse troppo, e la svolta finale potrebbe mettere la serie su un sentiero davvero difficile da affrontare.