Cose nostre - Malavita, la recensione
Nel suo nuovo film Besson torna ad occuparsi di criminali, cercando di unire storia americana a tocco francese trasferendo stereotipi newyorkesi in un contesto da commedia francese...
Nell'altalenante filmografia di Luc Besson una cosa sola rimane certa, il regista dà il meglio di sè con il cinema criminale, i film di gangster e le storie para-neo-post-noir. Non è un caso infatti che Cose nostre, nonostante sia una commediola dai risvolti pseudotragici (qualcosa che guarda più ai lavori di Martin McDonagh come In Bruges o Sette Psicopatici che alle vere commedie), si presenti come il suo film più riuscito dai tempi di Leon (cioè dal 1994). Non è nemmeno un caso che dietro quest'agile commediola euro-americana ci sia come produttore esecutivo (leggi: ci ha lavorato davvero) Martin Scorsese.
Ad un livello più elevato (ma non sempre centrato) l'idillio di provincia rovinato dall'arrivo della mala vuole mettere in contrasto non solo due stili di vita ma anche due generi cinematografici che appartengono a luoghi diversi. Il cinema dei gangster solitamente localizzato in luoghi come New York che si trasferisce nella terra della commedia francese per eccellenza (almeno negli ultimi anni grazie al successo di Giù al Nord) e, come una volta i Marx portavano ovunque anarchia e caos, i gangster italoamericani portano il loro genere in mezzo ai francesi da commedia.
Purtroppo la fusione non è sempre perfetta e accanto a un'idea generale interessante e stimolante, le singole storie che orbitano intorno a quella principale (la moglie e dei due figli alle prese con scuola e iniziazione alle regole criminali) sono molto più deboli.