Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di morto, la recensione
A sorpresa Cortellesi e Milani riescono a replicare lo spirito di Come un gatto in tangenziale e a prolungarne la storia e il senso
Il set di magliette con lustrini accecanti di Paola Cortellesi introduce il pubblico al seguito di Come un gatto in tangenziale, sottotitolato Ritorno a Coccia di morto anche se quel luogo non solo non è centrale ma lo vediamo per pochissimi minuti. Il team invece è esattamente lo stesso dell’originale: stesso regista, stessi sceneggiatori, stessi protagonisti, stessi comprimari (con le aggiunte di rito) e in un certo senso stessa storia solo declinata in un’altra maniera. Non è più l’alternarsi di una donna di periferia nel mondo di un sofisticato uomo di cultura e di un uomo di cultura nel grossolano mondo della donna di periferia (con la scusa del fidanzamento dei figli ad unirli), ma con intelligenza c’è un’altra alternanza: è la storia di come Giovanni si divida tra il Museo che sta per inaugurare in periferia e una parrocchia dove Monica deve prestare servizio per scontare una pena (a causa della cleptomania delle sorelle). Questo saltare di Giovanni tra un luogo e un altro (che con scelta cinematografica centrata sono uno accanto all’altro) dà un gran tempo e un buon ritmo al film.
Il contrasto di Come un gatto in tangenziale non è infatti diverso da quello molto abusato negli ultimi anni di Nord contro Sud o poveri contro ricchi, a cambiare semmai è il fine, perché a differenza delle altre commedie sul tema questa aveva ed ha intenti didattici, ambisce cioè a non fermarsi solo alla chiusura degli archi dei protagonisti ma anche a trovare delle sintesi tra le due anime del paese che mostrino una strada possibile.
Se il primo infatti parlava del contrasto di culture, questo secondo affianca gli interventi culturali sulle periferie (cioè il lungotermine) e l’impegno più concreto e diretto (cioè il breve termine, l’immediato). Giovanni che impazzisce quando solo viene iniziata la frase “Con la cultura non si…” è determinato a dimostrare il contrario e il film non ha dubbi: sta con lui. Lui è il povero diavolo vessato da Monica e la sua vita incasinata, lui deve conciliare le sue due anime, lui deve fare in modo che tutto si regga, lui alla fine troverà la sintesi, capendo come unire l’impegno del bel prete Luca Argentero (a cui tocca il personaggio più fiacco) e i suoi progetti culturali ambiziosi. In fondo era così anche nel primo, Giovanni è il vero protagonista, ora è solo più palese.
Anche il sentimentalismo obbligatorio è molto più delicato e, come spesso capita, per questo più efficace. Cosa c’è in Monica che fa sì che Giovanni non possa starle lontano, e come mai Monica non può non ammirare questa persona che, per i suoi standard, è così inetta?