Berlinguer - la grande ambizione, la recensione: Elio Germano nel ritratto intenso di un leader politico in crisi
Cinque anni difficili raccontati benissimo dentro la vita politica e privata di Enrico Berlinguer
Il ritorno del Concorso alla Festa del Cinema di Roma ci ha visti già due volte aprire la kermesse competitiva. L'anno scorso con C'è ancora domani di Paola Cortellesi (Premio speciale della Giuria + Premio del pubblico + menzione speciale Miglior Opera Prima) e quest'anno con Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre. Vincerà qualcosa? Non lo sappiamo. Sicuramente possiamo immaginare che non arriverà a incassare i quasi 37 milioni di euro di C'è ancora domani.
Gran bel film. Soprattutto utile per le nuove generazioni per analizzare (“i geni vanno studiati, non celebrati”, diceva giustamente Andrea Pazienza) la complicata situazione geopolitica in cui si trova quest'omino mezzo gobbo dalle orecchie a sventola tutt'altro che tronfio, narciso o superficiale come i suoi colleghi di oggi. È un Berlinguer che dal 1973 al 1978 dovrà tenere a bada l'URSS (che non lo ama troppo in quanto inossidabile democratico e riformista alla Salvador Allende), distinguere con forza il PCI dall'eversione dei gruppi armati, assicurare la posizione italiana dentro il Patto Atlantico e provare ad affrontare con Aldo Moro un percorso politico delicato ma fondamentale che possa unire il paese invece di spaccarlo definitivamente.