Banel e Adama, la recensione

Una storia di ribellione, amore, dolcezza e Senegal a tinte forti anima Banel e Adama, che tuttavia è affossato dagli interpreti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Banel e Adama, il film presentato in concorso al festival di Cannes

Adama è il successore in linea diretta per il ruolo di capovillaggio. Lo vuole la tradizione ma non lui, che invece preferirebbe non dover sottostare a questa regola, continuare a fare il pastore di vacche e magari fuggire via con Banel, la sua amata. Se Adama fosse una principessa del Rinascimento Disney (che come lui rifiutavano sempre la posizione che la tradizione prevedeva per loro e facevano una scelta d’amore, prima di imbarcarsi nel salvataggio di tutto e tutti) saprebbe di dover rincorrere il suo amore contro tutti e lottare per la salvezza del villaggio, invece sceglie la via più ignava: non vuole né il ruolo di potere né avere un ruolo attivo nella comunità. Una grave siccità comincerà a far fuori le vacche e tutti daranno la colpa a questa sua decisione infausta, unita al rifiuto di Banel di unirsi alle preghiere per la fine della piaga.

Evitando grazie al cielo il naturalismo al quale il cinema africano da festival sembra obbligato e invece lavorando di fino le immagini, con saturazione alta e una mescolanza molto attraente di colori freddi e colori caldi nelle scene notturne, Ramata Toulaye-Sy crea un Senegal non reale ma sentimentale, cerca di trasformare il caldo che uccide le vacche in una dimensione visiva e al tempo stesso fa il lavoro del cinema più commerciale: usare le immagini per convogliare i sentimenti dei protagonisti. L’idea è tanto più opportuna visto che i due attori principali non brillano per espressività, Khady Mane nel ruolo di Banel si difende ma Mamadou Diallo in quello di Adama è monocorde.

Molto meglio la scrittura, tenera e dolce, tutta dal punto di vista di lei e del suo desiderio di emanciparsi. Temi da teen movie in un film adulto che cerca un romanticismo perduto in uno scenario in cui non siamo abituati a vederlo. Banel infatti è una donna indipendente della parte nord del Senegal a religione islamica e questa è sostanzialmente la sua di storia. Lei è in scena dall’inizio alla fine, condizionata dalle scelte di Adama (che approva e indirizza) e molto più tenace di lui nel battersi contro la tradizione, contro la maniera in cui il villaggio e il mondo intorno a lei intende posizionarla e contro la superstizione. Certo Banel e Adama poteva anche essere un buon film romantico se solo i due avessero avuto un po’ di chimica, ma quello, unito al fatto che non si tocchino mai (il che richiederebbe una recitazione ancora più precisa e potente), tiene il film alla larga dall’esplosione sentimentale.

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