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Argylle, la recensione

Con qualche spunto interessante ma una ripetitività che non funziona, Argylle punta tutto su un senso del divertimento che non arriva mai

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Argylle, il nuovo film di Matthew Vaughn in sala dal 1° febbraio

Argylle sta al cinema d’azione spettacolare moderno come Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm sta al cinema di spionaggio degli anni ‘60, solo con le scene di colluttazione molto tecniche al posto della pochade e della commedia slapstick. È qualcosa che sta tra la parodia e la commedia rosa, una versione ironica del cinema d’azione che ammassa star e volti noti, anche in piccole parti, come fosse una festa in cui contano invitati e setting contano più di quel che accade. E il setting è quello del mondo di Matthew Vaughn, un misto di scenografie e costumi tradizionali britannici dentro i quali è innestata tecnologia da fantascienza, un mondo di intrighi da operetta che nei momenti migliori (come avviene in The King’s Man - Le origini) ha dalla sua un po’ di assurda follia caotica.

L’idea stavolta è fare un racconto anti-mitologico di una donna comune, una scrittrice di romanzi di spionaggio, coinvolta in un vero intrigo pieno di spie come quello dei suoi libri, che scopre che il mondo reale delle spie è molto meno cool e glamour ma più terra terra di quanto pensasse. Figura cardinale in tutto questo dovrebbe essere la spia d’azione che vuole aiutarla a fuggire dall’associazione mondiale di cattivi che la cerca, un uomo dai modi molto poco attraenti e per niente sofisticato interpretato da Sam Rockwell. La sua personalità è in teoria la trovata “originale” (virgolette giganti) del film e dovrebbe essere ciò che dà carisma a tutta la storia, come Colin Firth faceva con il suo personaggio in Kingsman. Ma non è mai così. Anzi risulta molto fastidioso.

Al pari delle molte star che compaiono anche questo agente di Sam Rockwell sembra sapere di essere interpretato da un volto noto e bearsene, in una sorta di autoironia consapevole con il pubblico. Come se tutti insieme godessimo di questa festa piena di talent. Non è molto ma andrebbe bene lo stesso se almeno ci fosse del divertimento concreto, cioè se tutto questo darsi di gomito e organizzare imponenti scene e grandi situazioni comiche divertenti solo perché ci sono le star in mezzo, fosse divertente sul serio. Cosa che invece Argylle non è mai. E dire che uno spunto originale lo aveva! Era il ribaltamento dell'assunto per il quale è la finzione a ispirarsi alla realtà. Nel film i romanzi della protagonista anticipano veri eventi dello spionaggio mondiale, cosa che la rende un bersaglio. È quindi la finzione a diventare il prototipo della realtà, la sua fonte e non la sua versione fantastica, trasformando la creazione di fantasia da divagazione a forma di lettura, comprensione e quindi previsione della realtà. È un assunto molto divertente, che dice anche molto di come usiamo le storie per capire il mondo. Quando viene sconfessato dal film stesso è possibile sentire il rumore dell’ultima porta sul divertimento che si chiude.

Argylle è determinato a puntare sulle solite direttrici ma se già il divertimento scarseggia, la parte romantica è pure mal calibrata, Rockwell e Bryce Dallas Howard non hanno mai davvero una chimica convincente e soprattutto il loro piacersi non è mai realmente costruito, solo imposto. Si aggiunga che le molte parti d’azione sembrano essere risolte ogni volta con la musica, come a replicare di continuo la scena madre di Kingsman. Così facendo Argylle marcia inesorabile verso il piattume, verso la cancellazione di qualsiasi particolarità, cercando metodicamente la banalità, nel sacro terrore che ogni peculiarità alieni il grande pubblico. L’unico dettaglio meritevole di menzione che rimane è che se di regola nei film di spionaggio quando ci sono due identità una è la vera e una la falsa (Bourne quando scopre di essere un agente senza memoria, Atto di forza quando inizia la seconda vita o John Wick quando esce dalla pensione), questa volta essendo la protagonista una donna pretende di essere tutto, cioè di coniugare la sua parte comune e la sua parte da spia in una personalità complessa. Ma l’impressione che tutto questo esista più nella testa di chi guarda che nel film è fortissima.

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