Anna, la recensione

Uno dei personaggi migliori di quest'anno riesce a trasformare Anna da un film convenzionale a uno che mette in crisi gli spettatori

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Anna, il film di Marco Amenta in sala da giovedì 13 giugno.

Non ci sono grandi differenze tra il soggetto di Anna e quello degli altri (molti) film italiani che trattano storie di resistenza al moderno, conservazione delle piccole realtà provinciali o rurali, e lotta al capitalismo contemporaneo da parte di singoli individui. Anche questa di Marco Amenta è una storia in cui una grande società cattiva, rappresentata da uomini in giacca e cravatta, senza scrupoli, senza attenzione e senza considerazione, violenta la vita di una persona che non vuole sottomettersi al loro piano di espansione: Anna vive su un terreno su cui dovrà sorgere una grande costruzione, non vuole vendere, non vuole andarsene e quindi cominciano i maltrattamenti e a un certo punto l’esproprio grazie a un cavillo legale. La differenza tra questo e tutti gli altri film è la protagonista.

Anna non è una protagonista conciliante, e questo cambia tutto. Un intreccio così semplice, scontato e soprattutto manicheo (oltre che parziale e per nulla complicato), se prevede qualcuno come Annaal centro diventa interessante, non perché davvero parli di neocapitalismo e resistenze autonome, ma perché mette il pubblico di fronte alla contraddizione di parteggiare per una persona spigolosa, antipatica, che non agisce sempre per il proprio bene, che non si sa comportare e che pretende che la sua volontà diventi realtà, insultando anche chi la aiuta. Anna è insopportabile ma (ed è bravissima Rose Aste in questo), è anche intrigante. È una donna burbera e scontrosa, che ha delle ragioni per esserlo e argomentazioni che (ogni tanto) mettono in discussione anche la nostra opinione.

La felice intuizione è delle più semplici, cioè quella delle concordanze. Anna è aspra e dura, come il paesaggio in cui è inserita, gli somiglia e ne ha in certo senso il fascino, specialmente quando viene inquadrata e guardata proprio mettendola in relazione a quel paesaggio naturale. La lotta di Anna è la resistenza a dinamiche sociali di sopraffazione e al tempo stesso la sua è una storia di sopraffazione maschile su una donna. Anna vuole essere libera di vivere nella sua casa, ma al tempo stesso il suo problema è un atteggiamento che gli altri non accettano e che semplicemente è libero da condizionamenti. C’è un trauma nel passato di Anna e c’è un problema nel passato burocratico di quell’abitazione. Tutto procede su due binari: combattere il suo diritto alla casa diventa la lotta contro un preciso atteggiamento di una donna. Lo scontro ci sarebbe uguale se lei fosse un uomo (lo spunto di cronaca viene da una storia che coinvolgeva un uomo) ma così si carica di altri significati.

Riconosciamo la classica storia di sopraffazione del capitale sul singolo, e intanto troviamo accoppiata ad essa una storia di sopraffazione delle regole del mondo maschile sulla libertà di una donna. Sono grandi idee di scrittura, sia il carattere di questo personaggio sia le accoppiate di senso, ma soprattutto c'è un grande lavoro di regia di Marco Amenta, cioè di coordinamento di tutti gli elementi di messa in scena verso un fine unico. Non era facile trovare, insieme a Rose Aste, la sfumatura di carattere che rende possibile un’empatia per un personaggio che non la vuole, la rifiuta e fa di tutto per non suscitarla. Rose Aste ci arriva con grande nervosismo, lavoro sul corpo e sull’abbigliamento, e una gran capacità di comunicare con gli spettatori prima che con gli altri attori. È un lavoro, vero, fatto bene. Che è più di quello che possa dire qualsiasi altro film italiano sul genere.

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