American Horror Story: Hotel (quinta stagione): la recensione
Bilancio della quinta stagione di American Horror Story: un passo in avanti rispetto alle ultime annate, per una serie che ormai ha inglobato i propri difetti
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Temi e svolgimenti sono ricorrenti. Esiste un microcosmo con regole proprie, con al vertice una regina ossessionata (dal potere, dalla giovinezza, dall'amore) che tiene imbrigliati tutti i suoi sottoposti in una rete di perversioni, inganni, un distorto senso di protezione materna. Un circolo vizioso che andrà distrutto nel corso della serie, eterni ritorni in un mondo dove la morte non è mai un limite ma solo una seconda possibilità. E infine un nuovo equilibrio dove la fine dei legami terreni permette di superare ostilità e conflitti, condividendo la stessa trappola e lo stesso destino.
Lady Gaga non è esattamente Jessica Lange, non fosse altro per le diverse possibilità che la sua figura – così poco distinguibile dagli eccessi pop del personaggio pubblico – permette, ma nel suo essere una protagonista irrisolta, spietata fuori e fragile all'interno, ossessionata dal passato, ne condivide le caratteristiche principali. Per chi la considerava una scommessa a perdere, bisogna dire che la popstar si è messa molto in gioco, interpretando con gusto e trasporto (davvero molto convincente nell'episodio Flicker) il suo personaggio. Impossibile non citare il grande lavoro di Denis O'Hare, con la sua Liz Taylor migliore del cast a mani basse, ma anche di Evan Peters, che ha trovato la sua migliore interpretazione nello show, e di Chloe Sevigny, attrice di grande statura che ha garantito un valore aggiunto in più in ogni momento a lei affidato.Abbastanza improbabili gli innesti di personaggi da precedenti stagioni, come a voler creare quella mitologia interna che Murphy ha sempre accennato (ricordate lo scorso anno con Pepper?) senza mai riuscire davvero a sfruttare. Se American Horror Story fatica a costruire coerenza nel breve termine, nell'arco di più stagioni è impossibile. L'intreccio in sé, dopo un promettente avvio nella prima parte di stagione, ha rivelato tutte le solite fragilità di scrittura della serie. Relazioni, conflitti, motivazioni, tutto viene impastato in un delirio barocco di reazioni improvvise ed eccessive, brusche frenate, storyline accantonate. Il solito American Horror Story, ancora una volta senza traccia di horror ad esclusione di un po' di splatter (ma anche qui, non andremo oltre qualche gola tagliata).
Funzionano molto meglio i momenti alla tavola dei serial killer, con Evan Peters e il suo March a fare da mattatore assoluto. Interessanti i riferimenti alla blaxploitation, rappresentati dalla Ramona Royale di Angela Bassett, anche se lo sfruttamento del personaggio nel lungo termine ha lasciato a desiderare. Difficile chiedere o aspettarsi qualcosa di più da una serie giunta alla sua quinta stagione, con una sesta già confermata.