4:44 Last day On Earth - la recensione

[Venezia 2011] Ormai totalmente privo di idee, Abel Ferrara gira un clamoroso catastrofico no-budget che ravana nelle banalità da bar...

Critico e giornalista cinematografico


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Quando uscirà una biografia completa ed esaustiva sulle vicissitudini professionali e le lavorazioni dei film di Abel Ferrara sarò il primo a comprarla. Intanto, dobbiamo accontentarci di quello che si capisce dalla visione dei suoi film.

Inopinatamente inserito nel concorso ufficiale, questo "catastrofico" a basso budget, che si svolge a quasi 24 ore da una fine del mondo ampiamente prevista, annunciata e ormai metabolizzata da tutti con una calma che sorprende i personaggi stessi per primi, è tra i film più poveri (in tutti i sensi) del regista e pare pensato, scritto, girato e montato in una settimana.

Inizialmente si temevano le similitudini con Last Night, il film canadese che raccontava anch'esso di un ultimo giorno del mondo con ambizioni autoriali, ma andando avanti se ne rimpiange l'assenza.

Ambientato quasi tutto in una stanza e su un tetto, condito con effetti speciali non solo superflui (fuoricampo per fuoricampo, a questo punto la si poteva anche non vedere mai la fine del mondo) e tutto giocato su una moltiplicazione di schermi, televisori e monitor di pc che trova qualche giustificazione di trama ma puzza di ristrettezza di budget, 4.44 Last Day On Earth dovrebbe emergere per le sue idee. Dire che non emerga è poco.

Abbandonato il furore cattolico qui è l'animismo buddista a dominare dei personaggi rassegnati alla fine e che nelle ultime ore, come gli altri abitanti del pianeta, cercano qualche contatto con i parenti (tutti invero rassegnati e molto tiepidi) e qualche insperata riconciliazione umana.

Relazioni personali a base di sesso, poco sentimentalismo, qualche amicizia rispolverata e tanta disperazione. Il ritratto umano e sociale, che sembra essere la prima preoccupazione di un Ferrara che ha ormai dimenticato come l'indagine sulla forma sia parte della realizzazione di un film, non va più in là di una denuncia sterile (il mondo finisce per il buco dell'ozono, "aveva ragione Al Gore") e di un simbolismo d'accatto (tutti gli schermi rimandano conversazioni ma nessuno sembra ascoltare).

Ormai solo Willem Dafoe continua a crederci indefesso. Il suo impegno a fronte di un nulla sullo schermo è quasi commovente.

 
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