1899 (prima stagione), la recensione
La prima stagione di 1899 strizza invano l'occhio a Dark, finendo per ricadere in una paradossale palude di prevedibilità sconclusionata
La nostra recensione della prima stagione di 1899, disponibile dal 17 novembre su Netflix.
Fin de siècle
Come il titolo suggerisce senza mezzi termini, l'anno in cui la vicenda si svolge è proprio il 1899; ultimo sprazzo di un secolo romantico, fautore di rivoluzioni industriali e foriero di esplorazioni. A bordo della Kerberos, piroscafo europeo diretto verso New York, si muove un microcosmo multietnico che somiglia molto a una Babele vittoriana. Francesi, inglesi, spagnoli, svedesi, polacchi, cinesi; ognuno col proprio bagaglio di segreti e drammi, ognuno con il proprio linguaggio a isolarlo in una bolla di riservatezza e, perché no, alienazione.
Lingue e linguaggi
L'ostacolo iniziale che in Dark era rappresentato dalle epoche, è qui reso dagli idiomi; il divario non è più temporale, ma etnico, antropologico, nonché, a un livello più immediato, linguistico. Molto avrebbe potuto fare 1899 con questa premessa e, in effetti, alcune tra le scene migliori di questa stagione sono legate alla comunicazione non verbale. In un'epoca in cui la conoscenza del linguaggio non poteva essere improvvisata, l'unico modo per valicare un muro lessicale è affidarsi a un dialogo "altro". Sguardi, espressioni, empatia di gesti; tutto questo viene raccontato con una certa sensibilità dalla serie di Odar e Friese, costituendone la parte più interessante.
Ciò in cui 1899 risulta invece tragicamente carente è proprio il linguaggio narrativo; sebbene animata dal chiaro intento di sorprendere lo spettatore, la serie inanella colpi di scena privi di pathos con l'unico risultato di confondere il pubblico. Non è però, si badi, una confusione foriera di curiosità: su tutto regna la netta sensazione che, quando giungerà, l'articolata spiegazione non sarà minimamente soddisfacente. Non giova al ritmo il fatto che, dal misterioso nucleo centrale, si dipani una rete di troppe sottotrame, a creare un arazzo fin troppo popoloso che non sempre dà il giusto rilievo ai suoi diversissimi personaggi.
Simbolo o brand?
Aggiungiamo alla perplessità per la gestione di questo palcoscenico sovraffollato quella per il simbolismo esibito in modo sfacciato; dimenticate qualsiasi raffinatezza, 1899 vi martellerà con forme e figure ripetute fino all'esasperazione, tali da far sorgere troppo prematuramente dubbi sulla veridicità di ciò che stiamo vedendo. Che si tratti di una sorta di allucinazione collettiva può starci; può starci meno considerare lo spettatore un imbecille, martellandolo con la reiterazione del tutto implausibile - in un contesto realistico - dello stesso simbolo.
Altre serie con ambizioni forse accostabili a 1899 avevano gestito con raffinatezza i rimandi visivi (basti pensare a The OA); qui, la strizzata d'occhio cede il passo a una rozza gomitata, in un gioco di richiami scadente e ripetitivo. Certo, il loop appare elemento chiave della serie, ma è qui sinonimo di monotonia e povertà di idee. È ancora presto, è vero, per bocciare una serie che ha appena iniziato a svelare le sue carte; tuttavia, per ora ci sembra in tutto e per tutto accostabile a una borsa coperta di marchi: opulenta, sì, ma anche un po' cafona.