Scegliere Vermiglio per rappresentare l’Italia agli Oscar è una scelta coraggiosa, ed è quella giusta
La corsa agli Oscar di Vermiglio sarà in salita, ma presentarsi con un film così legato alle nostre radici è una scelta giusta che farà nascere agli occhi di tutti un'autrice: Maura Delpero
Non è vero che quest’anno avevamo solo due scelte per presentarci agli Oscar: il film piccolo di un’autrice alla seconda opera di finzione, ovvero Vermiglio di Maura Delpero. Oppure il film dell’autore già capace di conquistare il cuore degli americani, ovvero Paolo Sorrentino con Parthenope. Con un regista qui ancora alle prese con un discorso cinematografico personale, come scrivevamo nella recensione. A guardare la shortlist di titoli tra cui la commissione dell’ANICA ha fatto la sua scelta, c’erano alternative interessanti.
Confidenza di Daniele Luchetti poteva essere la scelta per proporre all’Academy un thriller psicologico atipico, girato con stile europeo, ma forse capace di intercettare i gusti cinefili esteri. Un film di fratture, mentali e umane, reso internazionale dalla colonna sonora di Thom Yorke. Si poteva proporre la gioia musicale di Gloria!. Molto semplice nella trama, ma veramente travolgente nelle emozioni, con una messa in scena e un tono che guarda al cinema d’animazione Disney (l’inizio sembra La bella e la bestia). Il film italiano della lista che meglio si fa guardare. Oppure Il tempo che ci vuole, bellissimo omaggio di Francesca Comencini al padre Luigi. Una riflessione sul rapporto tra cinema e vita. Un argomento che funziona.
Andare agli Oscar così come siamo
Invece la scelta è caduta su Vermiglio, un film bello, anzi bellissimo, ma dallo sguardo totalmente italiano. Si parla in dialetto trentino (una caratteristica che non emergerà molto ad orecchie che non conoscono l’italiano), le inquadrature sono strette sui personaggi e larghe sul paesaggio seguendo le orme del cinema di Ermanno Olmi. Il maestro Cesare, interpretato da Tommaso Ragno nella sua prova più completa, incarna lo spirito dell’Italia del dopoguerra. La sceneggiatura colloca le vicende del paese di Vermiglio in un tempo sospeso, tra il 1944 e il 1945, dove la guerra sfiora quei prati, ma poi entra con forza nella comunità tramite la figura di un soldato. Cinema bellico che non mostra mai il conflitto.
Il maestro Graziadei è il centro da cui tutto parte, ma sono poi le sue tre figlie a incarnare il dramma. Quello di innamorarsi e perdere l’amato nella maniera più dura possibile. Quello di voler studiare perché si è intuito che non tutto nella vita deve avere un’utilità immediata, voler investire sulla propria scolarizzazione, ma non poterlo fare per via delle mancanze economiche. Le emozioni di Vermiglio sono nelle piccole cose: ci sono lettere d’amore scritte a fatica e vinili ascoltati come se fossero un nutrimento. C’è la religione disubbidita dietro un armadio, espiata in maniera molto più evidente. Si può sorridere della vita di questi contadini, empatizzando però profondamente come in un racconto di radici. Le nostre.
Il lungo cammino verso Vermiglio
La strada scelta con Vermiglio è per questo una strada in salita. Perché andrà insegnato il linguaggio con cui interpretare il film a chi non ha mai ascoltato una storia di un anziano italiano. Quella dignità nella povertà, quell’amore per la terra, sono difficilmente esportabili. Però questa strada di montagna è anche quella giusta da percorrere.
Prima di tutto perché abbiamo scelto di presentarci come siamo. Senza ammiccare agli stili che più funzionano nel sedurre le giurie. Si concorre all’Oscar non solo per vincere (cosa auspicabile, ovviamente), ma anche per la visibilità che la nomination può garantire. Dire al mondo che nel nostro DNA ci sono anche film come Vermiglio, c’è ancora il realismo e non solo i sogni di Fellini, è un’affermazione che vale la pena tentare di fare.
È giusto candidare Vermiglio, ma soprattutto lo sguardo di Maura Delpero
Gli Oscar non li vince solo il film, ma anche la campagna che va a sostenerlo. Bisogna spingere con forza a Hollywood il film, magari trovare qualche regista influente che lo sostenga. L’opera di convincimento della giuria dovrà essere più rigorosa e strategica di quanto fatto con Io Capitano. Vermiglio ha già però una freccia al suo arco. La strategia distributiva è stata piuttosto inconsueta per noi. Un approccio platform, ovvero il modo in cui a Hollywood trattano i film d’autore. Vermiglio ha aperto in pochissime sale, molte delle quali accompagnate dalla regista, guadagnando non certo la prima posizione al botteghino, ma la miglior media di incasso per sala! Man mano il film arriverà su più schermi, forte anche della nomination.
La speranza è che insieme al traino del Leone d’argento - Gran premio della giuria ci sia margine per innescare un passaparola che dia a Vermiglio delle ottime gambe. Dovesse intercettare il gusto del pubblico, diventando un piccolo (o grande chissà) fenomeno nella stagione, faciliterebbe molto il racconto della distribuzione internazionale. Vermiglio, per conquistare i cuori della giuria, deve dimostrare che ha saputo farlo con quelli degli italiani. Occorre che si capisca che questa non è solo la storia di una famiglia, ma è una sorta di memoria collettiva di un pezzo di paese.
Vermiglio è la scelta giusta perché fare cinema con attori non (solo) professionisti è un tratto che ha pagato per Io Capitano. Perché presenta un femminismo diverso da quello plateale di cui spesso si coprono i film americani, ma non è da meno nella sua potenza, anzi! Lo sguardo di Maura Delpero riesce a omaggiare il nostro cinema del passato, mantenendo però una sua modernità. È lei la cosa più preziosa del film, la sua idea di umanità, il modo in cui osserva questo microcosmo valorizzandolo al massimo, ma anche la sua coerenza tematica con il precedente Maternal.
Sono tutti segni della nascita di una autrice entusiasmante. Noi l’abbiamo capito. È giusto provare a farlo capire al mondo.