Martin Freeman - Da soffice spalla a diabolica star
Martin Freeman è passato in pochi anni dall'essere una soffice spalla comica a ruoli ben più duri e violenti. L'horror inglese Ghost Stories ce lo presenta sempre più leader
Transformers
Robert Downey Junior, Bud Spencer, Robert Englund, Leslie Nielsen, Dwayne "The Rock" Johnson, Tomas Milian... e Martin Freeman. Il pubblico è stato abituato a conoscerli in un modo e poi è successo qualcosa di completamente diverso: quei corpi sono cambiati qualche volta nei loro confini fisici ma soprattutto dal punto di vista simbolico. Hanno mutato la loro posizione nell'immaginario collettivo dando prova di trasformarsi davanti ai nostri occhi di spettatori. Downey Junior era addirittura uno del Brat Pack (gruppo di giovani attori impegnato in teen movie negli '80) con film come La Donna Esplosiva (1985) e, in chiave più adulta, Al Di Là Di Tutti i Limiti (1987). Una volta cresciuto, e prima dei noti problemi drogherecci, l'establishment lo voleva da Oscar grazie a Chaplin (1992) di Attenborough (arrivò la nomination). Adesso è impossibile non pensarlo come Iron Man tanto che ogni volta che prova a fare un film "normale" o anche solo non Marvel... risulta dannatamente fuori posto. Bud Spencer e Terence Hill erano serissimi ne La Collina Degli Stivali (1969) di Giuseppe Colizzi prima di diventare alfieri dello spaghetti western ridanciano con Lo Chiamavano Trinità... (1970). Robert Englund era il sollievo comico nella serie tv V - Visitors (1983) prima di diventare il sardonico ma letale Freddy Krueger nel 1984. Leslie Nielsen? Severo e responsabile ne Il Pianeta Proibito (1956) e poi severo... e irresponsabile nel franchise Una Pallottola Spuntata. Dwayne "The Rock" Johnson si mangiava gli scorpioni e faceva la faccia brutta in La Mummia - Il Ritorno (2001). Tomas Milian si strusciava delle banconote sull'inguine come dandy romano ne La Notte Brava (1959) di Bolognini prima di urlare beffardamente in romanesco con il nomignolo di Er Monnezza. Ma ora occupiamoci di un attore inglese attualmente sulla cresta dell'onda.
Normal Bloke
Per molti Martin Freeman all'inizio è solo un "normal bloke" con le orecchie a sventola, uno di quegli inglesi bianchicci e dal fisico non scultoreo che puoi incontrare in un pub oppure dentro un ufficio nei panni di un trentenne frustrato pronto a sposare un modo di essere antipaticamente dirigenziale non appena il "capo" gli dà una piccola promozione. È l'arco narrativo del suo sempre più compromesso con il concetto di potere Tim Canterbury nella fortunatissima sitcom BBC The Office (2001-2003) di Gervais e Merchant. Sacha Baron Cohen concede al Freeman molliccio del periodo una bella scena di sesso anale in Ali G (2002), uno dei due film a soggetto (l'altro sarà Il Dittatore) senza lo stile del mockumentary di Borat e/o Bruno realizzati anni dopo dall'altissimo comico inglese. La pellicola non ha successo in Italia (esce il 23 maggio 2003) ma in Inghilterra fa il botto grazie alla notorietà del personaggio di rapper inventato da Cohen in tv. Sorretto e costantemente motivato da una vera e propria ideologia machista e convintamente eterosessuale, Ali G sarà prima scioccato e poi molto sorpreso di trovare l'amicone Ricky C (Freeman) nel pieno di quello che Guadagnino non ha fatto mai vedere in Chiamami Col Tuo Nome. Bravissimi sia Freeman che Tony Way, colti sul fatto, nel reagire in modo molto british a questa loro scappatella gay sotto lo sguardo prima attonito e poi incuriosito dell'amico Ali G. Che l'uomo Freeman possieda una certa qual nonchalance da futuro leader di film, franchise e serie tv ce lo dimostra un altro piuttosto bravo a lanciare talenti al secolo Richard Curtis. Eccolo il nostro ragazzo dell'Hampshire chiacchierare da attore porno empatico con una collega mentre fanno professionalmente l'amore dentro uno degli episodi più riusciti di Love Actually (2003). Rivederlo oggi ci mostra un Freeman incredibilmente più paffuto rispetto al presente. Ottimi ma fugaci i suoi due cammei in 2/3 della Trilogia del Cornetto: sbrigativo ne L'Alba Dei Morti Dementi (2004); mellifluo in Hot Fuzz (2007). Più spazio ci sarà per lui nel terzo La Fine Del Mondo (2013) ma quello è già tutto un altro Freeman post serie tv Sherlock (2010-2017) subito dopo il primo Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato (2012).
Chi è stato l'antesignano a credere fermamente in lui come star di una pellicola? Il Garth Jennings di Guida Galattica Per Autostoppisti (2005)? Più no che sì. Come nel libro di Douglas Adams... non è che Arthur Dent, l'emblema del normal bloke, si porti proprio via lo show circondato com'è da personaggi bigger than life tipo lo Zaphod Beeblebrox del futuro premio Oscar Sam Rockwell. In realtà a promuoverlo definitivamente a comandante sarà l'ex pittore alfiere dell'arthouse tra eleganza e disturbo degli '80 Peter Greenaway, il quale lo dirige con grazia e autorevolezza nel bellissimo Nightwatching (2007; in Concorso alla Mostra Del Cinema di Venezia). I capelli sono lunghi e riccioluti, le camicie addirittura più ariose di quelle del Tim Canterbury di The Office ma il carattere gioviale e onesto del pittore Rembrandt gli permette di sfruttare tutta la sua empatia: ecco il primo eroe protagonista della sua filmografia. Dopo il 2010 anche i sassi conoscono Martin Freeman. Il suo Watson dentro la serie Sherlock diventa in 7 anni più canuto, dalle guance sempre più scavate e con due o tre traumi in più rispetto addirittura all'investigatore che dovrebbe rubargli la scena Sherlock Holmes.
Freeman of United States
Mancava solo di superare l'Oceano (non verso la Nuova Zelanda di Jackson, dove rimarrà 2 anni e mezzo per i tre Lo Hobbit) ma dalle parti del Minnesota da cui il suo Lester Nygaard proviene animando e portando al trionfo la prima stagione tv di Fargo (2014) in cui pare non ci sia più traccia di quel primo Freeman inglese pacioccone per lasciare spazio a un uomo in grado, sulla scia del Bryan Cranston di Breaking Bad, di alzare la schiena e percorrere tante tappe del viaggio tra la Debolezza e la Forza. Dopo l'indimenticabile Lester di Fargo, Freeman è lesto nell'accettare l'agente Ross dentro l'Universo Marvel. Ormai è totalmente a suo agio nell'interpretare il tough guy con la faccia simpatica ma per niente accomodante. Nel giro di due secondi tutto può cambiare su quel viso. Martin Freeman, sempre più asciutto e magro nel fisico, può cambiare l'atmosfera attorno a lui in un attimo (vedere una scena di Ghost Stories per credere) e se l'agente Everett K. Ross è minimo in Captain America: Civil War, eccolo invece qualche minuto in più dentro l'ultimo Black Panther dove magicamente il quarantaseienne britannico sa essere credibilmente Usa (Ross non ha accento regionale) ma anche un pizzico british per l'ironia con cui porta per tutto il film il ruolo di unico bianco leggermente spiazzato dall'essere circondato da superuomini e superdonne rigorosamente black.
Conclusioni
L'ascesa pare inarrestabile. Manca ormai quasi solo il ruolo di Dio che il suo per metà omonimo Morgan Freeman ha interpretato in più di un'occasione. Anche Martin lo farebbe molto bene. Più che benigno... imprevedibile.
Divinamente imprevedibile.