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Dredd – La legge sono io è uno dei migliori cinecomic di sempre

Dredd – La legge sono io è l’altra faccia di Demolition Man, e uno dei migliori film tratti da un fumetto di sempre

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Questo speciale su Dredd fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.

Se un film come Dredd – La legge sono io uscisse oggi, ci sono ottime probabilità che verrebbe bombardato di recensioni negative pregiudiziali e condannato a floppare prima ancora di arrivare in sala. Non che al tempo, nel 1995, le cose siano andate meglio per Sylvester Stallone e il suo Joseph Dredd: costato una novantina di milioni, ne incassò poco più di un centinaio, e venne deriso e spernacchiato dalla critica, compresi i nomi più importanti tipo Roger Ebert. A oggi potrebbe trattarsi del più inspiegabile flop dell’intera carriera di Stallone – un film ricco di immaginazione, azione e con una storia intricata e più imprevedibile di quello che potrebbe sembrare visto i presupposti, eppure considerato un fallimento e un tradimento del personaggio originale.

Il motivo per cui diciamo che oggi Dredd verrebbe sepolto su tutti i RottenTomatoes del mondo è che già nel 1995 il film venne criticato per la sua supposta scarsa aderenza al materiale originale – a partire dall’imperdonabile scelta di far togliere il casco a Dredd, perché era il 1995 e se avevi Stallone nel cast non potevi non farlo mai vedere in faccia per tutto il film. Oggi il rispetto delle fonti regna sovrano, insieme al suo migliore amico, il confronto con le fonti per smontare l’adattamento a colpi di incongruenze: non a caso il remake datato 2012 venne accolto a braccia aperte, perché Karl Urban si fa meno problemi a tenere un casco per tutto il film.

Non c’è dubbio che Dredd – La legge sono io si prenda parecchie libertà rispetto alla fonte. E non c’è dubbio che il film soffra di una produzione travagliata che non riuscì mai a risolvere la tensione tra il regista Danny Cannon, inglese, superfan del fumetto e deciso a trarne un’opera cupa e satirica, e Sylvester Stallone, che invece voleva portare il film nei territori della commedia brillante a sfondo fantascientifico. Dredd oscilla costantemente tra questi due estremi, e non sempre riesce a farli convivere pacificamente. Sarebbe sciocco negare i problemi del film e la sua disomogeneità.

D’altra parte, però, stiamo parlando per esempio di un film i cui costumi sono stati disegnati da Gianni Versace in persona: è impossibile non applaudire, tra le altre cose, la scelta di creare un casco che nasconde gli occhi ma tiene in evidenza la bocca, che è forse il tratto somatico più distintivo di Stallone. Basta un ghigno per distinguere il Giudice dai suoi colleghi. E stiamo anche parlando di un film di fantascienza distopica con un fortissimo senso del luogo, dell’architettura e anche della direzione verso cui sta andando la nostra società. In un certo senso, Dredd è un companion piece di Demolition Man, ma dove quest’ultimo immaginava un futuro distopico mascherato da utopia e rivoltato come un calzino da un relitto del passato, il film di Danny Cannon si muove più in territorio Blade Runner, dal punto di vista del design ma anche di come è reimmaginata la società del futuro.

Si possono contestare molte cose a Dredd, ma la resa di Mega-City One e della sua società di chiaro stampo fascistoide è a livello dei migliori rappresentanti del genere. I set sono tanti, vari, curati nei minimi dettagli e soprattutto enormi: la sensazione che trasmettono è quella di un mondo nel quale l’essere umano è sempre più insignificante rispetto alle architetture che lui stesso ha eretto. Le distopie funzionano se sono credibili, se sono immersive ma anche se ci colpiscono a un livello più viscerale e rettiliano – ed è impossibile rimanere impassibili di fronte a Mega-City One.

Pur nella sua opulenza, visiva e anche di cast, Dredd – La legge sono io è però alla fine dei conti uno scontro tra il monolitico protagonista interpretato da Stallone e l’anarchico villain di Armand Assante, una sorta di Joker ledgeriano ante litteram che vuole solo vedere il mondo bruciare (e clonarsi). Sly regge il ruolo con il consueto carisma, proponendo una versione in minore di John Spartan, meno volgare e chiacchierona e soprattutto completamente anaffettiva. La scena però se la prende quasi sempre Assante, in una delle interpretazioni più deliziosamente violente e fuori controllo dell’action anni Novanta.

È inspiegabile come mai Dredd sia stato accolto così male e non sia neanche mai riuscito davvero a cambiare la narrazione e trasformarsi in un culto postumo, se non presso i più immarcescibili circoli stalloniani. Lo stesso Sly lo considera un’occasione sprecata. La nostra opinione è che se le occasioni sprecate fossero così, oggi vivremmo in un’utopia e avremmo già sconfitto la fame nel mondo e il riscaldamento globale.

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