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Sciopero degli sceneggiatori: chi ha vinto?

Lo sciopero degli sceneggiatori è finito: ora che sono disponibili i dettagli del contratto possiamo decretare chi ha vinto...

Mi occupo di Badtaste dal 2004 con l'aiuto di un grande team.


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Dopo cinque mesi, lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood è ufficialmente finito mercoledì dopo 146 giorni. Per un soffio non è stato infranto il record dei 153 giorni dello sciopero del 1988. Certo, quello degli attori, iniziato il 14 luglio, è ancora in corso, ma il lungo punto morto tra studios e sceneggiatori si è finalmente sbloccato: le trattative con la Screen Actor Guild partiranno a breve, e se tutto andrà bene dureranno poco, nel solco di quelle con la Writers Guild.

Uno scontro durissimo

È stato uno scontro durissimo, molto più duro di quello dello sciopero del 2007, quando gli sceneggiatori vennero incastrati dagli studios, che riuscirono a far firmare un nuovo contratto al sindacato dei registi e a quello degli attori tornando poi a trattare con la WGA a cose fatte. Stavolta, anche grazie alla mobilitazione degli attori che hanno deciso di affiancare gli sceneggiatori, sono gli studios a essere rimasti chiusi in una morsa, e la contrapposizione è diventata sfiancante per entrambe le parti. Studios e streamer sono stati costretti a rendere conto ai loro azionisti del lungo stop alla produzione, e nel contempo migliaia di sceneggiatori (e un'intera industria) sono finiti sull'orlo della crisi economica.

Il risultato è stato un contratto collettivo storico, giudicato dai capi del sindacato come "eccezionale", un punto di partenza per le future contrattazioni (che si tengono ogni tre anni).

Chi ha vinto davvero la sfida?

La risposta più semplice e rapida è, ovviamente, il sindacato degli sceneggiatori. Quando il 1 maggio il contratto è scaduto senza che vi fosse un accordo per un rinnovo, facendo scattare lo sciopero, gli studios apparivano irremovibili su tutte le richieste della WGA: dagli aumenti salariali al riconoscimento di un bonus sui compensi residuali in base al successo di un contenuto in streaming, passando per il numero minimo di membri dello staff di una writers room fino al problema dell'intelligenza artificiale, diventato improvvisamente uno dei punti centrali della contesa. Ad agosto, una prima sessione di trattative ha alimentato le speranze di chi pensava fosse possibile concludere lo sciopero prima del Labor Day (4 settembre): così non è stato, e si è arrivati alla settimana scorsa con i membri del sindacato stremati. Gli studios, a quel punto, hanno mandato al tavolo delle trattative quattro "campioni", i CEO di Disney (Bob Iger), NBCUniversal (Donna Langley), Netflix (Ted Sarandos) e Warner Bros. Discovery (David Zaslav), sicuri che avessero più il polso della situazione e fossero più decisionisti. Resisi conto che la situazione iniziava a diventare urgente e grave (dopo cinque mesi, danni per miliardi di dollari all'industria e pressioni anche dalla politica), hanno avviato un dialogo costruttivo con il sindacato e sono riusciti a trovare dei compromessi giungendo alla firma entro la simbolica festività ebraica dello Yom Kippur (il giorno dell'espiazione).

Il nuovo contratto contiene molti compromessi, ma rispetto al muro alzato dagli studios il 1 maggio, le vittorie sono tante. Viene riconosciuta una protezione nei confronti dell'IA (pur lasciando spazio alla sperimentazione per le major). Vi sono importanti incrementi sia nei minimi salariali che nei compensi residuali, questi ultimi vedono riconoscere dei bonus in base al successo di film e serie tv in streaming, una delle richieste chiave anche del sindacato degli attori. Per contro, gli studios hanno trovato un modello di condivisione dei dati di ascolto molto distante da quella trasparenza che un po' tutti stanno chiedendo da tempo. Ma bisogna ricordare che questo contratto fungerà da punto di partenza per le contrattazioni dei prossimi anni: non è quindi da escludere che tra tre anni, quando verrà ridiscusso, vi siano margini di miglioramento nella condivisione di questi dati (e sui benchmark da cui partiranno i bonus).

Quando ripartiranno le produzioni?

Gli sceneggiatori hanno vinto, certo, ma a quale costo? Hollywood esce da questi cinque mesi (and counting: lo sciopero degli attori è ancora in corso) con delle ferite che ci vorranno mesi, se non anni, per curare. Non è solo Los Angeles a pagare le conseguenze della paralisi: anche Vancouver, Toronto, Atlanta in Georgia, New Orleans in Louisiana, Londra nel Regno Unito, la Gold Coast in Australia, tutte le aree cioè dove le grandi produzioni cinematografiche e televisive vanno a girare i loro film e serie tv sfruttando gli sgravi fiscali, hanno subito un drastico ridimensionamento in questi mesi, con licenziamenti e sospensioni.

Quando le produzioni potranno ripartire vi sarà un collo di bottiglia pesantissimo, non dissimile da quello post lockdown. Verrà data la priorità alle produzioni che si sono prenotate per tempo, e questo causerà non pochi problemi alle star, che vedranno affastellarsi gli impegni e dovranno quindi rinunciare ad alcuni film o serie tv (ricordate cosa accadde a Nicholas Hoult, che dovette rinunciare a Mission: Impossible 7 & 8?).

Non solo: il collo di bottiglia avverrà in un momento in cui, solitamente, le produzioni vanno in pausa per le vacanze natalizie, il che causerà altri problemi logistici. Gli studios faranno di tutto per assicurarsi i teatri di posa e i talent per salvare il salvabile, in particolare per le serie tv della midseason, mentre a livello cinematografico ci sono alcuni film (come Deadpool 3) che non è scontato che riescano a rispettare l'uscita nell'estate del 2024.

Detto questo, si pensa che gli studios ora acquisteranno molti più spec script, sceneggiature scritte "spontaneamente" e non all'interno di accordi o contratti (e quindi potenzialmente meno costose).

Un'industria ferita?

Una grande differenza, rispetto allo sciopero del 2007-2008, potrebbero farla i toni. In questi cinque mesi, grazie anche al sapiente utilizzo dei social media, i sindacati di sceneggiatori e attori hanno fatto sentire la loro voce molto di più rispetto a quindici anni fa, mostrando una compattezza e un'unità che senza dubbio gli studios non immaginavano possibile. Non a caso, una delle richieste che non sono state soddisfatte nel nuovo contratto è quella di potersi unire agli scioperi di altri sindacati: gli studios hanno capito bene quanto potere mediatico sono riusciti ad avere questa volta la WGA e soprattutto la SAG (grazie anche alla visibilità dei propri iscritti).

Una vera lotta di classe che ha avuto toni estremamente duri, tuttavia non dovrebbero esserci conseguenze eccessive dopo la fine dello sciopero. Sebbene molti sceneggiatori si siano scagliati anche pubblicamente contro i CEO di Hollywood (e i loro stipendi milionari), le major hanno bisogno di nuove sceneggiature, ed è probabile che nessuno si leghi al dito qualche dichiarazione di troppo. La cosa fondamentale, dopotutto, sono gli affari e se uno sceneggiatore ha uno script davvero buono dovrebbe riuscire tranquillamente a venderlo nonostante il suo attivismo durante lo sciopero.

Il vento sta cambiando, l'era della Peak TV è finita

Il vero motivo per cui è molto difficile definire completa la vittoria degli sceneggiatori è che, in realtà, questo sciopero è arrivato al culmine di un profondo cambiamento in atto da anni nel mondo dei media. Possiamo dire che le mobilitazioni di sceneggiatori e attori, in realtà, sono una delle conseguenze di questo grande cambiamento. Negli ultimi anni John Landgraf, capo del canale FX, ha pronosticato e descritto l'arrivo della Peak TV, l'età d'oro della televisione, che ha raggiunto il suo apice nei primi anni della diffusione dello streaming. Netflix, alimentata dai miliardi dei fondi d'investimento, dall'euforia delle borse e, se vogliamo, anche dai bassi tassi d'interesse, ha investito miliardi di dollari in produzioni televisive originali riversando una montagna di denaro su Hollywood. Gli studios hanno seguito a ruota, lanciando piattaforme rivali, investendo miliardi in nuove produzioni e, durante la pandemia, arrivando a stravolgere le fondamenta su cui si basava la monetizzazione dei contenuti a Hollywood. Quando poi nel 2022 c'è stata "la grande correzione", ovvero il crollo in borsa di Netflix dovuto al raggiungimento del plateau di abbonati da parte dello streamer più grande del mondo, gli azionisti delle grandi multinazionali che possiedono le major hanno iniziato a chiedere che questi investimenti rendessero, imponendo una riduzione delle perdite. E così, il 2022/2023 è stato un anno di tagli, licenziamenti e riorganizzazioni.

Ora, lo sciopero degli sceneggiatori, quello degli attori e i nuovi contratti delle maestranze (tra cui IATSE) che verranno siglati l'anno prossimo comporteranno un forte incremento nelle spese degli studios per produrre contenuti. Tutto questo avrà una conseguenza immeditata: una grande frenata nella produzione (non è un caso che proprio ieri Starz, in difficoltà finanziarie, abbia cancellato ben 4 serie poco dopo l'annuncio della fine dello sciopero). L'era della Peak TV è finita, e dobbiamo farcene una ragione. Gli studios cercheranno e troveranno altre aree in cui tagliare, verranno senza dubbio prodotti meno film e meno serie tv, e ci sarà meno lavoro per gli sceneggiatori e gli attori: chi tra loro lavorerà, però, sarà protetto da contratti collettivi più vantaggiosi.

È una nuova correzione dell'industria, e non sarà l'ultima: da sempre si espande e si contrae, attraversando alti e bassi. È Hollywood, bellezza!

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