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I migliori film di gennaio 2023 visti al cinema e in streaming

La classifica dei migliori film di gennaio 2023 usciti tra cinema e streaming: da Babylon ad Aftersun 2 a M3gan

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Ecco i migliori film di gennaio 2023 che abbiamo visto al cinema o in streaming

Molto di quello che vediamo e raccontiamo con una recensione si perde. Alcune volte sono i film piccoli a non ricevere l’attenzione che meriterebbero, altre volte sono i migliori. Abbiamo così deciso di fare un piccolo riassunto ogni mese del meglio tra ciò che abbiamo visto. Senza distinzioni. Film usciti in sala, usciti in noleggio, usciti su una piattaforma in streaming come anche quelli visti ai festival e che non sono ancora usciti.

L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare.

Babylon

Dalle tre ore di Babylon emerge un’unica grande visione della produzione artistica, quella che Damien Chazelle porta avanti da tre film e una serie, qualcosa di rozzo, animalesco e demoniaco che è impossibile da separare dall’impeto verso il successo di chi la produce, un impeto così potente da spazzare via tutto nelle loro vite. Mai un’impresa intellettuale, sempre un trionfo di vitalità incontenibile. L’ha raccontato in film controllati (La La Land), impostando il tono e il look della serie The Eddy con moderato furore, e poi in film realizzati essi stessi in maniere effettivamente furiose (Whiplash), Babylon va ancora più in là nel campo del caotico e animalesco per trovare nelle radici del cinema americano e nei suoi noti eccessi anche la forma più pura di cinema. È stato quando il cinema era un mondo selvaggio, sregolato e maledetto che il suo cuore artistico pulsava più forte che mai.

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M3GAN

Ricorda molto Robocop la vita di M3GAN, bambola meccanica con intelligenza artificiale pensata per i bambini, una versione umanizzata e avanzata di Alexa, così il film di Gerard Johnstone (scritto a partire da un’idea del maestro di bambole & tensione James Wan) la presenta, mentre viene attivata nella stessa maniera in cui veniva attivato Murphy in versione robotica. Lungo il film però scopriamo che la grande idea che un film Blumhouse ha avuto (di nuovo), è quella di fare un cripto-remake di La bambola assassina e ribaltare la prospettiva. Il tono, l’idea di orrore e gli elementi di forza sono esattamente quelli del film con Chucky e soprattutto c’è il medesimo sottotesto, la medesima idea di parlare del capitalismo tramite un giocattolo assassino. Solo che stavolta non solo la tecnologia sostituisce la magia (dinamica tipica dei nostri anni) ma tutto il racconto è visto dai produttori e non dai consumatori.

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Aftersun

 Charlotte Wells (incredibile che sia il suo primo film!) crea una dinamica molto originale tra padre e figlia cioè Frankie Corio e Paul Mescal (che dopo la prestazione in Normal People qui trova tutto un altro modo di lavorare in sottrazione). Quando la bambina sembra avvicinarsi il padre non risponde, quando il padre manifesta un po’ di esitazione e senso di colpa lei sembra interessata ad altro. Su tutto regna la mestizia degli occhi tristi di Paul Mescal, perfetta per esprimere tutta l’amarezza di Sophie adulta che ricorda questi eventi, per il non essersi saputa godere quei momenti. Raramente infatti i due si incontrano sul medesimo terreno emotivo, raramente sono sulla stessa onda, eppure (e questa è la forza misteriosa del film) c’è una chiara tensione verso l’unione, fatta di affetto e della bramosia che ognuno dei due prova per un contatto con l’altro. L’inafferrabile sensazione che Aftersun racconta così bene è il rimpianto per non essere mai riuscita a capire il proprio padre come lo si potrebbe capire adesso. Eccezionale.

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Ma Nuit

Antoinette Boulat si innamora, più che dei personaggi, della filmabilità “triste” dei luoghi. La Senna di notte, i locali notturni, una strana costruzione in un parco, il métro. In questi luoghi accadono eventi piccolissimi che fungono da “semina emotiva” (un sussulto di Marion che la mette – e ci mette – a disagio): ecco allora che il film trae la sua bellezza, e la sua godibilità, proprio dall’atto stesso del vagabondaggio, da un’osservazione empatica e rassegnata. Per questo quando la storia prende una svolta ingenua e l’atmosfera si fa più intima, Ma Nuit sembra perdere la qualità migliore che lo aveva caratterizzato nella prima parte. Per fortuna che ha un finale davvero ottimo.

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Un bel mattino

Tra gli immancabili colori pastello, un ritmo scandito dal passare di giorni sempre uguali ma leggermente diversi mentre i personaggi continuano a muoversi negli stessi luoghi (diverse case, un autobus, qualche paesaggio da cartolina), Un bel mattino sembra infatti più di tutto un’affermazione ripetuta – per quanto piacevole – di ciò che Hansen-Løve vuole essere sullo schermo. La poetica visiva della regista, così come il suo approccio agli attori, non si denota per originalità ma ha tuttavia la forza di essere riconoscibile quasi a colpo d’occhio e, in sé, coerente. 

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A letto con Sartre

A letto con Sartre è scritto, realizzato e recitato con un contrasto bellissimo: quello tra la bassezza morale dei personaggi, o meglio il cinismo che incarnano attraverso i loro gesti (trafficanti di droga spietati, un’attrice omicida) e il loro struggersi – prima comico, poi quasi commovente – per la poesia delle cose quotidiane, per la bellezza inaspettata del vivere. Questo contrasto, sulla carta, è decisamente difficile da ottenere: Samuel Benchetrit tuttavia lo fa scorrere con naturalezza tra le pieghe di una trama esile (è più il racconto di un contesto che una storia vera e propria), riuscendo difatti a creare un film decisamente originale, costellato di momenti di inaspettata comicità e dolcezza dai toni teneramente surreali.

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Pamela: A Love Story

In sintesi si potrebbe dire che Pamela: A Love Story è un documentario che, più che volerci raccontare la storia di Pamela (e comunque lo fa in modo quasi filologico) ci spinge a ragionare a fondo sul rapporto di Anderson con le immagini. Questo vale sia per la sua immagine “vendibile” – quella delle copertine di Playboy, o di Baywatch – sia per la sua immagine sociale – come la vedono gli uomini, e di conseguenza l’hanno trattata – trovando nel famoso caso dei sex videotape rubati di lei e l’ex marito Tommy Lee l’esempio plateale di come per Pamela sia sempre stata una questione di limiti tra come si sentiva dentro e come voleva che gli altri la vedessero.

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