X-Men: Kurt Busiek ricorda come contribuì alla resurrezione di Jean Grey
Lo sceneggiatore Kurt Busiek ha raccontato di come contribuì alla prima, storica resurrezione di Jean Grey, amatissimo personaggio degli X-Men
L'amore dello sceneggiatore di Marvels per l'ex Marvel Girl è molto più radicato e risale agli epocali giorni della Saga di Fenice Nera, quando il giovane Busiek prese male la presunta morte di Jean e finì per... influenzarne il ritorno!
Busiek - All’epoca della saga di Fenice Nera, non era tanto la direzione che la serie aveva preso a non piacermi, quanto certi aspetti della caratterizzazione e della sceneggiatura. Ero un fan accanito degli X-Men, sia della squadra originale che del “nuovo” gruppo, quindi la cosa mi irritò più di quanto non avrebbe fatto se fosse accaduta, che so, con i Difensori o i Campioni. Oggi, con qualche decennio di esperienza come scrittore alle mie spalle, se guardo a certe cose che contestavo, penso: “Be', sono cose che capitano quando sei in ritardo e fai del tuo meglio per pubblicare il fumetto nei tempi previsti.” Ora sono in grado guardare alla cosa da un punto di vista più distaccato e più lucido.
Anzi, devo dire che non ebbi mai l’opportunità di sperimentare la morte di Jean completamente dal punto di vista di un fan. All’epoca avevo degli amici che conoscevano vari professionisti del settore, e così venimmo a sapere tramite passaparola del cambio di rotta dell’ultimo minuto di Uncanny X-Men #137, di come nacque e di quali sarebbero state le ripercussioni, ancor prima che il numero uscisse. Di conseguenza, lessi l'albo da una prospettiva diversa da quella degli altri. Per la maggior parte dei lettori, che non sapevano che si trattava di un cambiamento in corso d’opera dell’ultimo minuto, fu una storia drammatica e potente. Per me, sapendo quello che sapevo, era un mostro di Frankenstein assemblato artificialmente che nessuno aveva mai voluto o concepito.Oggi la morte di Jean è considerata un classico del Fumetto, cosa che rende più difficile ricordare che tutto ebbe inizio perché John Byrne aveva aggiunto qualcosa che non era previsto nella trama e Jim Shooter decise che non c’era altro modo di risolvere la cosa. Ma è così che vanno le cose a volte: devi occuparti di ciò che ti trovi di fronte al momento, e a volte ne esce fuori qualcosa di magico, mentre altre volte crolla tutto.
Guardandomi alle spalle ora, ammiro l’ingegno e il talento riversato in quegli episodi, e ne sono stato influenzato come sceneggiatore in molti modi. Ma ora ho un approccio a quelle storie molto diverso da quello dell’adolescente entusiasta che si precipitava ad afferrare ogni numero non appena arrivava in edicola. Non posso più vestire quei panni e nemmeno vorrei farlo, ma sicuramente mi emozionavo di più per le storie che mi piacevano e mi arrabbiavo di più per quelle che non mi piacevano.
Eppure non era specificamente la morte di Jean a infastidirmi. C’erano state altre cose che avevano infastidito il giovane Kurt prima di allora. Vari aspetti della serie, e non una singola storia, per quanto drammatica fosse.
Per quello che mi riguarda, la resurrezione di Jean fu veramente un gioco tra fan. I miei amici Richard Howell e Carol Kalish mi avevano parlato degli eventi imminenti, e dato che eravamo tutti appassionati della squadra originale degli X-Men, a nessuno di noi piaceva l’idea... specialmente perché nessuno era partito con l’intenzione di raccontare una storia dove Jean morisse, quindi ci sembrava che fosse tutto accaduto per caso, e non per la scelta di qualcuno. D’altro canto, avevamo sentito tutto il resto, e all’inizio avevamo reagito pensando: “Ehi, sono fumetti... tornerà”. Ma poi venimmo a sapere che Jim Shooter aveva decretato che Jean non sarebbe potuta tornare in vita senza che fosse scagionata in qualche modo dal crimine di genocidio.
E così ne facemmo un gioco. In essenza ci sfidammo a trovare un modo per riportarla indietro rispettando le regole di Jim, e il sabato successivo ci incontrammo per confrontare le nostre idee, discuterne e divertirci un po’ con quella che ci sembrava una cattiva notizia.
Ed ecco qua: Richard e Carol ebbero l’idea di mettere la personalità di Jean, custodita nel cristallo olo-empatico degli Shi’ar, in un nuovo corpo fatto di energia. Io invece pensai a... be', alla soluzione che conoscete.
Nel 1983, un anno dopo aver iniziato la carriera come scrittore freelance, Kurt Busiek partecipò a una convention a Ithaca, New York, soggiornando a casa dello scrittore Marvel Roger Stern. Durante una conversazione, l'interesse di entrambi per gli X-Men emerse, e Stern espresse rammarico per il fatto che non ci fosse modo di riportare indietro Jean, non riuscendo a soddisfare l'editto di Shooter. Busiek parlò dunque della sua idea, non aspettandosi che equivalesse a qualcosa di più di una chiacchierata informale. In seguito, Stern raccontò l'idea a John Byrne, allora autore di Fantastic Four.
Nel 1985, Jim Shooter diede via libera a una nuova serie che avrebbe riunito gli X-Men originali in una nuova squadra chiamata X-Factor, scritta da Bob Layton. Venuto a sapere della cosa, Byrne chiamò Layton e gli suggerì l'idea di Busiek come mezzo per riportare Jean Grey in scena. Il resto è storia.
Busiek - Non l’avevo assolutamente concepita come una proposta ufficiale. Nessuno di noi lavorava ancora nel settore. Un paio di anni dopo avremmo iniziato, ma allora non lo sapevamo. Più tardi, per puro divertimento, iniziai a stilare la trama di una serie di storie sugli X-Men che avrebbe incluso quel materiale, ma non feci nemmeno quello con l’idea di proporla alla Marvel. Era sempre per divertirsi un po’.
Non avevo fatto nulla di tutto questo con l’intenzione di riportare veramente in vita Jean, non volevo perorare la causa della sua reintroduzione. Ma come dicevo più sopra, ero un grande appassionato dei cinque X-Men originali, mi sembravano una formula molto divertente di poteri, personalità e rapporti ben equilibrati. Erano un gruppo godibile, e mi sembrava un peccato che quel gruppo fosse finito in pezzi a causa di un errore.
Perché mi piaceva Jean? Mi piaceva perché era il centro “normale” degli X-Men: Scott il meditabondo, Bobby il buffone, Hank l’intellettuale, Warren l’egocentrico... e Jean, amichevole e pragmatica. Riusciva a far uscire Scott dalla sua depressione, scherzava con Hank e con Bobby, era l’unica ragazza immune al fascino di Warren... meccaniche semplici da Silver Age, ma molto divertenti. Inoltre, i suoi poteri psionici funzionavano bene con quelli degli altri. Jean non era un pezzo essenziale dell’Universo Marvel che, scomparendo, ne avrebbe provocato il crollo. Era semplicemente un personaggio che mi piaceva.
Successivamente proposi un paio di progetti che non giunsero mai in porto: uno era X-Men: The Secret Years, e qualche anno dopo, John Byrne fece X-Men: The Hidden Years, ma sicuramente non sono stato io il primo a pensare “Ehi, riempiamo il vuoto tra X-Men #66 e Giant-Size X-Men #1. Poi mi furono offerte una o due miniserie, ma si trattava sempre di qualcosa del tipo: “Vogliamo fare una miniserie su Bestia, la storia sarà così e così, e dovrà finire in questo modo.” E non le accettai perché non avevo proprio voglia di scrivere le storie di qualcun altro; la parte più divertente per me sta proprio nel fatto di immaginarle.
E così, sebbene X-Men sia una serie che da adolescente sognavo a tutti i costi di poter sceneggiare un giorno, in realtà per quasi tutto il tempo in cui ho lavorato per la Marvel è sempre stata nelle mani di qualcun altro, o era controllata così rigidamente a livello editoriale che non sarebbe stato affatto divertente. Ma in futuro, chi può dirlo? Cose molto più strane sono successe.