Panini Comics: Mirka Andolfo ci parla del suo lavoro per Le cronache di Under York
Abbiamo intervistato per voi Mirka Andolfo, artista di Le cronache di Under York e autrice di successo
Nel corso della chiacchierata, la fumettista napoletana ci ha parlato del suo lavoro per Le cronache di Under York, della sua esperienza come autrice completa di Sacro/Profano e ControNatura, del suo impiego nel mercato statunitense e dei progetti per il futuro.
Ciao, Mirka! Bentornata su BadComics.it.
Con “Le cronache di Under York” ti stai misurando direttamente con il mercato francese, un prodotto targato Glénat e importato in Italia da Panini Comics. Com’è nato questo progetto?“Le cronache di Under York” è una serie francese, ma è strutturata come se fosse un fumetto americano, basti vedere il numero di vignette e il tipo di narrazione. Ogni tanto, Glénat fa questi esperimenti! Sono stata coinvolta sul progetto dallo sceneggiatore, Sylvain Runberg.
Lo conoscevo perché lavora sempre con autori molto fighi, oltre che perché ci eravamo incontrati diverse volte in fiere internazionali! Mi sono sentita davvero onorata, quando mi ha contattata. Come in altri miei lavori precedenti, ci sono degli elementi sovrannaturali e una donna protagonista. È un fumetto molto divertente, lo sento davvero nelle mie corde. E poi, Sylvain è uno scrittore bravissimo e molto affermato.Non essendo una storia in cui sei autrice unica, com’è andata la lavorazione sul fronte del character design, in particolare per quanto riguarda la protagonista Alison Walker?
È stato davvero tutti molto stimolante. Sotto questo punto di vista in particolare, è stato come lavorare su personaggi miei: ho avuto totale carta bianca. L’unico input che mi è stato dato riguardava il suo carattere. Alison è un’artista ribelle, ed essendomi stata data totale libertà mi è venuto naturale darle un look da badass.
In generale, ho cercato di dare ai personaggi un aspetto adeguato al loro carattere. Il character design non è una scienza esatta, ma comunque provo a realizzarli al meglio. Anche questo è un lato divertente!
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Come nascono, invece, le tue storie? Cominci dalla trama oppure dalla creazione dei personaggi?
Non nasco come sceneggiatrice. La mia voglia di raccontare... è una cosa davvero particolare. Se mi affeziono molto a un personaggio che creo, anche solo per gioco, nella mia testa inizio a renderlo reale. Mi viene naturale creargli una storia attorno! Quindi, i miei protagonisti nascono sempre prima come personaggi.
Quando ne immagino il design, come dicevo prima, provo a farli coincidere al loro caratteri! In base al loro aspetto, penso al mondo in cui potrebbero vivere. “Sacro/Profano” è nato per caso, quando ho disegnato un diavolo che tocca il seno a un’angioletta. Sono partita da lì e ci ho “ricamato” sopra.
Come lavori allo sviluppo delle tue storie? E com’è il tuo rapporto con i loro editor?
Quando ho creato “Sacro/Profano” ero decisamente inesperta: è un progetto che alla nascita non aveva un editing, disegnavo e tenevo tutto nel cassetto. Solo successivamente, quando ho iniziato a pubblicarlo (online prima, in edizione cartacea poi) è arrivato nelle mani di un editor. Però fin dall’inizio avevo i feedback da parte del mio ragazzo, Davide Caci (che poi ne è diventato l’editor): avendolo in casa mi ha seguita durante la lavorazione.
Nel caso di “ControNatura”, a cui sono arrivata quando ero un po’ più esperta, avevo tre libri sulle spalle, ho realizzato una presentazione per l’editore. Ovviamente, ho messo tutto in discussione: realizzo una proposta, loro mi presentano i loro appunti e io rielaboro. Si tratta di un lavoro creativo che viene sottoposto all’editore, e che non è “scritto nella pietra”. Sono sempre pronta a cambiare direzione, se è per il bene del progetto. Un autore lasciato a sé stesso rischia di fare delle cavolate. È importantissimo avere un feedback.
Con “Le cronache di Under York”, il lavoro con l’editore si è svolto così: ricevo la sceneggiatura, mi occupo dei layout e li invio per l’approvazione, in attesa di eventuali appunti. L’unica differenza è che quando scrivo personalmente la sceneggiatura, mando anche un soggetto all’editore. Una volta scritto il soggetto generale dell’opera, lo suddivido in mini-soggetti che coprono ogni capitolo. Una volta approvati anche loro, passo direttamente ai layout.
È più facile e veloce come metodo! Mi viene naturale. Non mi troverei a lavorare redigendo una sceneggiatura classica, mi è successo solo una volta, quando ai disegni di "Lo Straordinario mondo di Gumball" c’era la bravissima Alessandra Patané, ma quando lavoro come autrice unica preferisco fare decisamente così.
Come si struttura il tuo lavoro per il mercato americano? Qual è il tuo rapporto con i coloristi?
Quando lavoro su prodotti americani come disegnatrice, raramente vedo la fase di colorazione prima di avere tra le mani il libro stampato (o almeno: prima che l’albo sia già in stampa). Le deadline sono molto strette, quindi non c’è tempo di stare a discutere più di tanto.
Tutte le singole figure si rivolgono a un editor che le coordina. Ma spesso mi viene chiesto a monte se c’è un colorista con cui avrei piacere di lavorare, e… devo dire che spesso mi è capitato di avere modo di lavorare con professionisti bravissimi, con cui c’era già feeling per lavori precedenti fatti insieme.
Il lato positivo legato al lavoro con scadenze più rilassate è che posso interfacciarmi con tutti: se si crea sintonia tra disegnatore e colorista si raggiunge la condizione perfetta! Per esempio, quando ero una colorista, ho imparato tantissimo lavorando su “Topolino” e colorando le storie di Fabio Celoni. Ero molto giovane, e lui è anche bravissimo come colorista (oltre che ottimo disegnatore).
Il lavoro con lui è per me l’esempio di come sia importante il rapporto tra le due figure. Secondo me, l’importante è sempre rispettare il lavoro altrui. Se il disegnatore sottolinea una zona d’ombra, personalmente cerco di rispettarla, senza illuminarla con dei colori. Si tratta di armonia e logica!
Tempo fa, il disegnatore di “Uncanny X-Men” Salvador Larroca ha apertamente criticato il lavoro della colorista Rachelle Rosenberg sui suoi disegni. Che ne pensi?
Quando si fa un lavoro di squadra e si ha la possibilità di parlare, se un disegnatore non gradisce una soluzione di colorazione se ne parla, se ne discute insieme! Poi per me è tutto molto strano, perché sono stata prima da un lato della barricata, e ora sono “dall’altro lato”, nel 99% dei casi.
Ma mi rendo conto che in ambito statunitense è difficile: un disegnatore dovrebbe capire che anche il colorista sta facendo un lavoro su commissione, proprio come lui, rispettando dei tempi di consegna spesso molto stretti.
Penso non sia molto corretto lamentarsi online di queste cose. Io non lo farei: sostanzialmente “i panni sporchi si lavano sempre in casa”. Se c’è qualcosa che non ti piace, lo comunichi! Il colorista è sempre l’ultima ruota del carro, ma assolutamente non in senso dispregiativo.
Semplicemente, è l’ultima persona che mette mano alle cose, e con il doppio della difficoltà! Se non ha modo di interfacciarsi con il disegnatore e, in più, deve chiudere in breve tempo, trovo molto ingiusto lamentarsi del suo lavoro.
Parlando invece di rapporti lavorativi sani, com’è andata la lavorazione con lo sceneggiatore Sylvain Runberg?
Mi ha lasciato molta libertà, descrivendo solo le parti per le quali era utile farlo, lasciandomi libertà di manovra dove potevo, quindi è stata davvero un’ottima collaborazione. A volte può succedere che come disegnatrice possa notare qualcosa sfuggito allo sceneggiatore, magari inconsciamente, oppure all’editor. Basta solo comunicare e parlarne. Se disegno qualcosa di diverso rispetto a quanto specificato dalla sceneggiatura, faccio una proposta e attendo che l’approvino.
Lo stesso discorso vale anche per gli Stati Uniti?
In generale sì, basta far notare i cambi. Se è un dettaglio piccolo, magari non serve. Ma le modifiche importanti, sì.
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Come proseguirà il lavoro su “Le cronache di Under York”?
Abbiamo in programma tre volumi in tutto, e Alison sarà costretta ad affrontare il suo passato. Attualmente, sono al lavoro sul secondo.
Se le protagoniste dei tuoi lavori si sedessero al tavolino di un bar per un caffè, cosa direbbero di te?
Che sono una stron*a incredibile, perché faccio passar loro dei guai assurdi!
Qual è stato il momento che ti ha fatto capire che questo sarebbe stato davvero il tuo lavoro?
Il primo volume di “Sacro/Profano” era un po’ amatoriale, e molto ingenuo, non rifarei alcune cose come le ho realizzate a suo tempo. Ma aver fatto quel fumetto mi ha cambiato la vita, sia per il “successo” che è arrivato, sia perché si può imparare a fare questo lavoro solo… facendo. All’epoca lavoravo principalmente come colorista e desideravo essere una fumettista, un’autrice completa. Rinviavo questa cosa perché non mi sentivo pronta e avevo paura di sbagliare.
Nel mio ragazzo – che mi segue sempre, dei fumetti che realizzo io sono la mamma e lui e il papà – ho trovato una guida: grazie a lui ho imparato il mestiere mentre lavoravo su “Sacro/Profano”.
Ancora oggi mi piace tantissimo sfogliarlo e sono felice di rendermi conto delle ca**ate che facevo! Dagli errori si può sempre imparare. “Sacro/Profano” è il lavoro che mi ha cambiato la vita.
Ai tempi lavoravi già con altri collaboratori?
Del primo libro ho realizzato anche il lettering, che ora è stato rifatto da un letterista professionista. Facevo davvero tutto, dai colori piatti al lettering. Poi ho iniziato a collaborare con altre persone, per dei flat, Gabriele Bagnoli, che mi ha fatto da inchiostratore, e il letterista Fabio Amelia. Mi ricordo che all’inizio lavoravo a “Sacro/Profano” di notte, perché quando mi fisso con una mia idea o con i miei personaggi devo per forza portarla a termine, non importa se ho già da fare altri lavori. È uno sfogo, per me, e se lo tenessi dentro impazzirei.
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Ci potresti descrivere la tua giornata lavorativa tipo?
Se ho un mio progetto, sento la necessita di portarlo a termine, non mi importa delle altre cose. In questo momento sono strapiena: la mia giornata lavorativa è delirante! Ma spero di sistemarla in futuro. Lavoro quasi tutti i giorni, e se ho delle scadenze molto strette anche nei weekend.
La mattina mi alzo intorno alle sei, vado in studio alle sette e fino a mezzogiorno finisco circa una tavola, poi faccio pausa pranzo, e verso le due mi rimetto al lavoro. Poi, alle sei – se tutto va bene – ho finito di lavorare, forse chiudendo un’altra tavola. In caso contrario, a casa continuo il lavoro.
I miei amici e colleghi mi dicono che sono pazza, e forse un po’ hanno ragione. Amo lavorare su commissione per gli Stati Uniti, ma amo anche i miei progetti, e non voglio rinunciare a nessuna delle due cose. Finché sono giovane, continuerò a farlo. Poi, magari con i trent’anni, mi sentirò più stanca. So già che in futuro dovrò sicuramente rallentare!