Panini Comics: Marco Nucci e Lorenzo Zaghi ci parlano di L'uomo delle valigie
Al Comicon 2019 abbiamo intervistato per voi Marco Nucci e Lorenzo Zaghi, autori di L'uomo delle valigie
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
La graphic novel è scritta da Marco Nucci (Sofia dell’Oceano) per i disegni di Lorenzo Zaghi (Sockman) e i colori di Mattia Iacono, e data la presenza dei primi due allo stand della casa editrice modenese, abbiamo colto l'occasione per fare con loro una bella chiacchierata e farci raccontare qualche retroscena su quello che è senza dubbio uno dei progetti più intriganti dell'anno.
Marco e Lorenzo, benvenuti su BadComics.it!
“L’uomo delle valigie” è un noir dallo sviluppo coinvolgente e ricco di colpi di scena: com’è nato lo spunto per questa storia?Marco Nucci – Ciao a tutti! Ho sempre amato le storie dagli sviluppi imprevedibili, essendo un fan di “Ai confini della realtà”, la serie telvisiva anni ’50 creata da Rod Serling, di scrittori italiani come Dino Buzzati o di autori fantascientifici americani come Richard Matheson. Amo quei racconti che ti lasciano a bocca aperta, e una decina di anni fa mi venne uno spunto per un racconto breve, alla Thomas Ott, in cui una persona veniva perseguitata da un numero. Il problema non era rappresentato dal numero iniziale, quanto dal fatto che la cifra ogni giorno calava di un’unità, avvicinandosi allo zero, e creando così un orizzonte di paura. Era solo uno spunto più che una storia vera o propria.
Qualche anno fa ho conosciuto Lorenzo, e sono rimasto colpito dal suo stile eisneriano, in cui ho ritrovato l’America degli anni ’30. Quell’immaginario mi ha fatto tornare in mente la vecchia idea del numero “calante”, che ben presto si è trasformata in una “parabola” newyorkese di stampo noir. Lavorando con Lorenzo, sono nate le peculiarità della storia: dalla lavanderia alle valigie, dalla lista dei compiti alla rottura del codice delle valigie, e soprattutto l’atmosfera ebraica che pervade le pagine del libro. Sul protagonista, come in ogni racconto yiddish, sembra gravare lo sguardo di un dio severo, che da un giorno all’altro ha posato gli occhi sul suo destino.Il racconto presenta quattro punti di rottura, colpi di scena o variazioni tramite cui ho cercato di rendere la storia imprevedibile. Alla fine, mi sono trovato a creare una sorta di Congrega degli uomini delle valigie, un’organizzazione indefinita di cui non conosciamo nulla, se non la superficie. Abbiamo molte idee in merito al nostro mondo narrativo: per esempio, esiste già un racconto breve, in prosa, che offre una spiegazione beffarda ed ermetica su chi siano questi uomini.
Come nasce, invece, la figura di Ira Zimmer? A chi ti sei ispirato per plasmare questo vinto?Marco Nucci – Generalmente, i noir hanno due tipi di protagonisti: i duri puri, tipo Humphrey Bogart, o dei loser, dei perdenti con delle debolezze. Per “L’uomo delle valigie” ho scelto un underdog, un perdente che si accontenta, che accetta il lavoro senza farsi troppe domande.
Nelle mie precedenti prove avevo sempre presentato brillanti e logorroici, cosa che in questo caso ho evitato, modellando un personaggio più taciturno. Di base, si ispira al protagonista di “L’uomo che non c’era” dei fratelli Coen, Ed Crane, un barbiere che “taglia solo i capelli”, come è solito ripetere. È un personaggio che non ha più stimoli, non è curioso, e si ritrova a vivere una vicenda passionale senza passione, un delitto senza pentimento, un amore senza stimolo sessuale. Uno spettro. Ira non è un calco di Ed, certo, ma appartiene alla sua “famiglia”. Una famiglia silenziosa, in cui si fuma molto e si sorride poco.
C’è un punto in cui Ira lascia emergere un aura diversa, da duro quasi, che lo porta a compiere azioni molto discutibili.
Marco Nucci – Ira è un disilluso, un perdente picchiato dalla vita, ma quando in gioco c’è la sua pelle, attinge a tutte le sue risorse. Nessuno vuole morire, neanche nei romanzi noir. E in fondo anche lui prova sentimenti (desaturati, impercettibili, inconsapevoli): Ira è innamorato di Ronda, anche se a modo suo (e qui si torna alla famiglia che fuma e non ride).
Il noir è un genere di nicchia (anche se nel suo periodo d’oro ebbe enorme diffusione), che ha regole molto specifiche: per esempio, la donna è vista o come angelica o come dark lady, le vie di mezzo sono rare. Ronda esce da questo schema in modo tanto netto da far deragliare la storia fuori dal genere: è una donna forte, carismatica, il vero deus ex machina del libro.
Lorenzo, che tipo di indicazione hai ricevuto da Marco? Sei stato libero di creare il character design dei personaggi o hai sfruttati gli spunti che ti sono stati offerti?
Lorenzo Zaghi – Marco mi ha dato dei riferimenti, pescati dal vasto immaginario cinematografico. Non sono un grande fan del noir come lui, però è il genere che preferisco leggere. Sin dalla prima lettura della sceneggiatura riuscivo a prefigurarmi graficamente i personaggi, ero in grado di immaginarli nei ruoli predefiniti. Sebbene non mi sia particolarmente sbizzarrito nella creazione del character design, posso dirti di essermi trovato subito a mio agio, cercando di variare altre cose.
Marco Nucci – Lorenzo ha rielaborato i volti che gli ho indicato. Quando pensavo a Ira, me lo prefiguravo con il volto di Tim Roth, mentre per Ronda avevo in testa quello di Anjelica Huston. Ci sono comparse che riprendono Walter Matthau o John Turturro, che Lorenzo ha citato in maniera più evidente, ma comunque senza realizzare copie carbone: le riproposizioni fatte a stampino danno fastidio, sembra quasi si voglia realizzare un fumetto con un cast stellare. Grottesco, no? Offrire un riferimento iconografico, invece, è utile. Ma che sia solo un riferimento! Un’altra cosa sulla quale Lorenzo ha lavorato molto è stata la regia, l’utilizzo della gabbia, che rielaborato sulla sua sensibilità, con ottimi risultati.
Non solo la regia, mi permetto di aggiungere, ma anche l’utilizzo del colore che vi ha permesso di differenziare le diverse situazioni temporali.
Lorenzo Zaghi – Esatto. Ho utilizzato diversi modi per differenziare l’epoca in cui si svolgono i fatti narrati, e questo grazie al lavoro di Mattia Iacono, il colorista. Il colore è usato in modo narrativo, non come semplice orpello. Il noir è un genere che nasce in bianco e nero, ma noi non volevamo realizzare un omaggio di maniera, bensì di sostanza. E qui la sostanza richiedeva il colore!
Marco parlava del tuo stile “eisneriano”. È Will Eisner la tua sola fonte di ispirazioni o ci sono altri artisti che hanno influenzato in qualche modo il tuo stile?
Lorenzo Zaghi – Devo molto a Will Eisner, è lui il mio punto di riferimento principale, sia a livello di recitazione dei personaggi che di tratto. Davvero, non sono mai riuscito a trovare nessun altro artista di cui ho assorbito le lezioni tanto quanto le sue. Poi, ovviamente, le influenze sono molte. Alcune consapevoli, altre inconsapevoli. Credo funzioni così per tutti i disegnatori.
Non posso non tornare su un aspetto che ha citato prima Marco, ossia la possibilità che “L’uomo delle valigie” possa avere un seguito. Restando in casa Panini Comics, mi viene in mente la modalità in cui si sta sviluppando una saga come “Nomen Omen”, che prevede anche albi singoli e romanzi. Potrebbe essere questa la strada da seguire per la vostra opera?
Marco Nucci – Credo che proseguiremo solo con la forma Fumetto. Per quanto creda che l’opera si presti a essere portata avanti anche come romanzo, le idee che ho nella mia testa sono disegnate, e ormai non ci posso più fare niente.
Quindi il seguito di “L’uomo delle valigie” non può restare nel cassetto…
Marco Nucci – Chissà, dovremo chiedere a “L’uomo dei cassetti”. A parte gli scherzi, avremmo già in mente (e non solo in mente) una seconda storia, che ci piace davvero davvero molto. Non posso dirti niente, ma a tempo debito vedrai.
Marco, da questa chiacchierata emerge tutto il tuo amore per il noir, eppure “L’uomo delle valigie” è la tua prima prova su questo genere. Come ti sei approcciato alla sua realizzazione?
Marco Nucci – Sì, è la mia prima volta. Non mi andava di fare un noir classico, perché, se penso agli autori che mi hanno preceduto, sarei finito a fare qualcosa di ridondante. Il noir è un genere manierista, e soprattutto cinematografico e romanzesco: ripeterlo pedissequamente in forma fumetto non ha così senso, almeno per la mia sensibilità. Per questo, ho cercato di innestare su un hard boiled in senso classico una storia in stile “Ai confini dalla realtà”, per movimentare un po’ la cosa.
Se il libro piacerà ai lettori, gran parte del merito va a Lorenzo: infatto, è il suo stile che mi ha convinto a dare forma a questo soggetto. Il disegnatore è fondamentale per una storia, anche se a volte (incredibile a dirsi) ci sono persone che dimenticano la cosa.
Lorenzo Zaghi – Per quanto mi riguarda, ho subito accettato questa sfida per la sua compente surreale e kafkiana, ingredienti che da sempre esercitano grande fascino su di me. Marco mi ha fregato, insomma!
In chiusura volevo solo chiedervi: la situazione assurda in cui si ritrova Ira è una riflessione sul Tempo?
Marco Nucci – Ne “L’uomo delle valgie”, il concetto di Tempo è espresso in modo pratico, razionale, e il protagonista è tenuto a “guadagnare” come in un gioco il tempo che gli resta da vivere. Il discorso sul Tempo c’è, ma spetta a ogni lettore trovarne la chiave di lettura. Se vuole. Il nostro obiettivo era solo di raccontare una storia.
Lorenzo Zaghi – È un gioco matematico a cui tu puoi credere o meno. Loro decidono di crederci, ma è impossibile stabilire se sia vero fino in fondo.
Marco Nucci – Non amiamo dare certezze, ne averne: forse è per questo che facciamo fumetti. La vita di un fumettaro è più piena di incognite di quella di Uomo delle Valigie!