Le stagioni del Commissario Ricciardi vol. 4: Il giorno dei morti, la recensione
Abbiamo recensito per voi il quarto e ultimo volume di Le stagioni del Commissario Ricciardi
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
L'adattamento a fumetti della tetralogia Le stagioni del Commissario Ricciardi si è conclusa lo scorso novembre con il quarto e ultimo atto, Il giorno dei morti, uno dei romanzi più amati dai lettori di Maurizio De Giovanni.
I disegni di Luigi Siniscalchi e i colori di Marco Matrone producono tavole di enorme potenza espressiva, talvolta grottesche in alcuni dettagli ma feroci e plumbee come la narrazione che devono rappresentare. Il tratto ruvido, spigoloso di Siniscalchi e le varie tonalità di grigio seppia di Matrone sono la perfetta resa visiva dell'infamia e della disperazione che attraversano tutta la vicenda, che si materializzano - come in un girone dell'Inferno dantesco - nella pioggia che sferza implacabile l'autunno partenopeo del 1931.
Ricciardi, tuttavia, è stato profondamente colpito dal ritrovamento del cadavere di un bimbo di appena sette o otto anni, vegliato dal suo unico e fedele amico: un cagnolino che inizia a seguirlo come un'ombra e che sembra il solo a pretendere giustizia per il suo piccolo padrone. Il commissario viene irrimediabilmente conquistato dal caso: mettendo a repentaglio la propria vita è deciso a fare chiarezza sulle ragioni del decesso di Tettè, perché non finisca dimenticato al pari dei tanti altri orfani che vivono per i vicoli della Napoli.
Un'ulteriore stranezza tormenta il Nostro, perché il suo dono e la sua condanna, il Fatto che lo perseguita fin dall'infanzia mostrandogli le vittime di ogni omicidio nell'attimo prima del trapasso, sembra non funzionare affatto, negandogli inspiegabilmente gli ultimi istanti del trovatello.
Il giorno dei morti è un'opera tragicamente straordinaria, sprezzante di ogni morale, di ogni ipocrisia e istituzione, laica o religiosa che sia. A differenza de Il senso del dolore, La condanna del sangue e Il posto di ognuno, non c'è momento alcuno di leggerezza né per quella languida nostalgia che aveva contraddistinto i precedenti racconti.
Il capitolo finale delle Stagioni è una denuncia lucida e precisa di uno scempio che si ripete senza pace nel corso dei secoli e in ogni luogo, fino ai nostri giorni, falciando le creature più indifese: i bambini. Ricciardi dimostra l'immensa umanità che potrebbe essere anche la nostra, volessimo reagire in qualche modo e non restare indifferenti sentendoci addirittura complici nel vedere un corpicino martoriato, abbandonato in mare o sul bagnasciuga.
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